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Il caffè che conosciamo è destinato a sparire: che gusto avrà il caffè sintetico

Secondo un’analisi pubblicata dal Wall Street Journal, entro il 2050 circa il 50% delle terre su cui si produce caffè diventeranno inadatte alla coltivazione di questa pianta. In Brasile, uno dei maggiori produttori di caffè al mondo, questa percentuale dovrebbe arrivare all’88%.
A cura di Valerio Berra
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Sveglia, cucina, moka, caffè. Oppure, se siete di fretta: sveglia, cucina e poi caffè al bar sotto all'ufficio. In Italia il caffè è una delle routine più comuni, un'abitudine che incide anche sulla pressione. Anche se ci sono dei limiti su quanto ne dovreste bere ogni giorno.  Ma non solo in Italia. Secondo un’analisi pubblicata sul Wall Street Journal e firmata da Christopher Mims, il caffè è diventato così tanto un'abitudine per una certa parte del mondo che in futuro non sarà più sostenibile produrlo.

Mims parte da un dato. In tuto il mondo vengono consumate circa due miliardi di tazze di caffè al giorno. Un albero di caffè di qualità Arabica produce circa due chili di caffè ogni anno. Questo vuol dire che se una persona beve due tazze di caffè al giorno nel corso di un anno ha bisogno di tutta la produzione che viene da circa 20 alberi di caffè. Una produzione così massiccia però non può reggere al cambiamento climatico.

In che anno raggiungeremo il limite per la produzione

Secondo il Wall Street Journal ci sono vari motivi per cui la produzione di caffè non riuscirà più a sostenere la domanda. Il principale però è il cambiamento climatico che entro il 2050 farà diventare inadatte circa il 50% delle terre su cui oggi si produce il caffè. In Brasile, uno dei maggiori produttori mondiali di caffè, questa percentuale potrebbe raggiungere l’88%.

Quali saranno le alternative al caffè

Il problema principale a questo punto diventa già un altro: cosa berremo al posto del caffè? Le soluzioni passate in rassegna dal quotidiano finanziario sono parecchie. La prima è quella di creare delle miscele che sostituiscano il caffè. Estratti provenienti da noccioli di datteri, ceci o scarti agricoli. Nell’analisi viene citato il parere, certo interessato, di Adam Maxwell, Chief Executive di Voyager Foods. Secondo lui il sapore del caffè non arriva dal seme ma da tutto il processo di tostatura: “L'esperienza che otteniamo dal caffè o dal cioccolato è in realtà guidata dal processo utilizzato per produrli”.

Al netto delle miscele più esotiche forse la soluzione più interessante tra quelle proposte parte dai bioreattori. Si tratta di macchinari in cui è possibile allevare cellule vegetali in un ambiente artificiale.

Questa tecnologia è stata usata anche per coltivare piante a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Il risultato? Una volta tostato il sapore dovrebbe essere indistinguibile dal caffè normale. Qui ovviamente arriva però un altro problema: i costi di produzione aumenterebbero e di conseguenza si alzerebbe anche il prezzo al consumatore. Quanto siamo disposti a spendere per tenerci le nostre abitudini?

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