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I super alberi della Silicon Valley promettono di risolvere l’emergenza climatica (ma non è proprio così)

Sono foreste geneticamente modificate per assorbire più carbonio sfruttando il processo di fotosintesi. Dietro le promesse però ci sono diversi rischi e incertezze.
A cura di Elisabetta Rosso
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In una striscia della Georgia, a febbraio, sono stati piantati i primi "pioppi potenziati". Sono alberi geneticamente modificati che promettono di risolvere, almeno in parte, il cambiamento climatico. Si basano su un processo fondamentale: la fotosintesi. “Studiamo le piante con delle prove sul campo, e cerchiamo di potenziare l’estensione della durata dell’immagazzinamento del carbonio negli alberi” hanno spiegato i ricercatori di Living Carbon.

Living Carbon è una startup biotecnologica creata da Patrick Mellor, CTO e paleobioloho, e da Maddie Hall, che lavora in diverse startup della Silicon Valley. Dopo un incontro casuale e un investimento di 15 milioni di dollari decidono di creare le prime foreste di alberi geneticamente modificati, capaci di assorbire una quantità maggiore di carbonio. Al di là delle profezie salvifiche rimangono alcuni nodi scoperti. Per esempio, come questi esemplari influenzeranno gli alberi non geneticamente modificati, se ci saranno dei rischi di deriva genetica e soprattutto: sono davvero la soluzione giusta per il cambiamento climatico?

Steve Strauss, genetista di alberi presso l'Oregon State University che ha lavorato anhce per Living Carbon ha detto al Mit Technology Review che potrebbero esserci dei problemi: "Sono un po' in conflitto, stanno andando avanti con questo progetto, con tutte le pubbliche relazioni e il finanziamento ma in realtà non sappiamo ancora se funziona".

Come nasce l'idea di Living Carbon

Parte tutto dalla fotosintesi. L'idea alla base è elementare, le piante già estraggono anidride carbonica dall'atmosfera, attraverso l'energia solare la trasformano in zuccheri che servono alla pianta per autosostenersi e produrre energia a sua volta. Nel 2019 l'Università dell'Illinois Urbana-Champaign è riuscita ad alimentare questo processo potenziando l'enzima utilizzato per catturare il carbonio. In poche parole hanno modificato geneticamente le piante. C'è un problema, in realtà gran parte del carbonio contenuto nella biomassa di una pianta viene poi restituito all'atmosfera dopo essere stato consumato da microbi, funghi o esseri umani. Quindi non è chiaro quanto incida alla fine del processo la maggior quantità di carbonio assunta dalla pianta.

Il risultato però incuriosicche Maddie Hall che decide di conttatare i ricercatori dello studio per capire come funziona il processo. Qualche mese dopo incontra Mellor a una conferenza sul clima, anche lui ha un progetto, vuole trasferire il gene della Pycnandra acuminata, albero della Nuova Caledonia, in altre specie. La pianta infatti è resistente e raramente marcisce, usando il suo gene vuole potenziare le altre piante. Quando si parlano, Mellor e Hall, capiscono che i loro sono progetti complementari. Raccolgono 15 milioni di dollari e battezzano la loro startup: Living Carbon.

I rischi degli alberi geneticamente modificati

I pioppi di Living Carbon sono stati modificati con geni di alghe verdi, che riducono la fotorespirazione, e quindi rendono la fotosintesi più efficiente. Sono cresciuti di del 53% rispetto agli alberi normali e c'è già chi intravede nelle foreste geneticamente modificate la soluzione per il cambiamento climatico.

La genetica però è più complessa, soprattutto se applicata ad ambienti esterni con varibili non controllaboli. Insomma gli alberi non vengono piantati dentro delle serre, e quindi non è prevedibile come regiranno fuori. Anche se i primi test in serra hanno dato risultati promettenti non c'è alcuna garanzia che in natura quegli alberi riescano a reagire bene ad agenti atmosferici variabili. Banalmente un periodo di seccità o caldo estremo.

E poi i regolamenti del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) hanno raccomandato di ridurre al minimo la deriva genetica. Non è infatti chiaro come i nuovi geni possano diffondersi in natura. Per questo è necessario piantarli lontani da altre specie con le quali potrebbero riprodursi e rimuovere i fiori per limitare le possibilità di diffusione. Ci sono già stati esperiementi simili che hanno sollevato diverse proteste, per esempio nel 2001 gli attivisti anti-GE mutilarono o sradicarnono gli alberi in prova, e avevano anche manifestato nel 2015 quando l'azienda di biotecnologie ArborGen provò a creare un nuovo pino con un legno a maggior densità. Ora Living Carbon rimane un'incognita, secondo Strauss è ancora troppo presto per prevedere i risultati del progetto: "Potrebbe esserci un aspetto negativo. Non lo sappiamo."

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