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I grandi licenziamenti di LinkedIn: “Taglieremo 700 posti di lavoro e chiuderà l’app in Cina”

Secondo Layoffs.fyi negli ultimi sei mesi sono stati tagliati 270.000 posti di lavoro nelle aziende tech, dopo Meta, Twitter, Amazon e Microsoft anche LinkedIn decide di ridurre i posti di lavoro.
A cura di Elisabetta Rosso
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Nemmeno LinkedIn resiste all'ondata di licenziamenti. Taglierà 716 posti di lavoro e chiuderà la sua app cinese In Career. Lo ha scritto in una lettera Ryan Roslansky, amministratore delegato della piattaforma di networking professionale, ha spiegato che la decisone è stata dettata dalla necessità di rispondere alle condizioni economiche con l'obiettivo di rendere il business più agile. Insomma cambiano le aziende il mantra è sempre lo stesso, è stato ripetuto da tutte le Big Tech che dopo la pandemia si sono trovate a fronteggiare un mondo che ha disatteso le aspettative di successo.

"Con il mercato e la domanda dei clienti che fluttuano maggiormente, e per servire i mercati emergenti e in crescita in modo più efficace, stiamo espandendo l'uso dei fornitori", ha scritto. "Stiamo anche rimuovendo i livelli, riducendo i ruoli di gestione e ampliando le responsabilità per prendere decisioni più rapidamente".

I tagli al personale di LinkedIn

Roslansky ha spiegato che l'azienda subirà cambi importanti, i team di prodotto e ingegneria diventeranno responsabili della roadmap tecnologica dell'azienda, il team di produttività aziendale invece sarà gradualmente eliminato e integrato in altre parti dell'azienda. Ha anche aggiunto che il 15 maggio verranno creati 250 nuovi posti di lavoro per i team di business e gestione degli account.  Non solo tagli per il gruppo di produttività, l'azienda ha anche annunciato che il 9 agosto chiuderà la sua società con sede in Cina, InCareer. "Sebbene InCareer abbia avuto un certo successo nell'ultimo anno grazie al nostro forte team con sede in Cina, ha anche incontrato una concorrenza agguerrita e un clima macroeconomico difficile", ha affermato Roslansky. Un portavoce di LinkedIn ha però spiegato che l'azienda manterrà una presenza in Cina per aiutare le aziende ad assumere e formare dipendenti al di fuori del Paese.

L'azienda ha spiegato anche che i lavoratori con sede negli Stati Uniti avranno diritto all'indennità di licenziamento, alla copertura sanitaria continua e ai servizi di transizione professionale, per tutti i dipendenti che non lavorano in Usa invece varranno i requisiti del Paese di appartenenza.

I grandi licenziamenti delle Big Tech

Secondo Layoffs.fyi, negli ultimi sei mesi sono stati tagliati 270.000 posti di lavoro nelle aziende tech. Meta ha lasciato a casa 21.000 dipendenti, come aveva spiegato Zuckerberg nel post: "Aggiornamento sull'anno di efficienza di Meta”, pubblicato  sulla pagina ufficiale dell’azienda, Meta ha deciso di tagliare il 12% del personale e chiudere 5.000 offerte di lavoro. Anche Google ha licenziato 12.000 lavoratori, mentre Amazon 27.000. Si accoda anche Microsoft, società madre di LinkedIn che ha tagliato 10.000 posti di lavoro.

Nella lunga lista delle BigTech che si ridimensionano c'è poi Twitter, dopo l'acquisto di Elon Musk l'azienda ha ridotto il personale, i licenziamenti a cascata iniziati a novembre hanno anche messo a rischio aree delicate della piattaforma, come il team di moderazione, e infatti il nuovo Ceo è stato ampiamente criticato perché dopo il suo arrivo Twitter si è trasformato in una terra selvaggia senza controlli sui contenuti pubblicati.

In un anno finanziariamente molto difficile per le Big Tech, i licenziamenti sono anche un modo per essere più appetibili sul mercato. I tagli infatti hanno fatto salire le azioni di società come Alphabet, Spotify, Salesforce, o Zoom. E questo fenomeno potrebbe continuare per tutto il 2023. Come ha spiegato l'analista di Wedbush Daniel Ives a Forbes, i licenziamenti costituiscono il "primo grande passo nella stabilizzazione dei titoli in difficoltà”, soprattutto dopo le ambiziose assunzioni durante la pandemia. Agli occhi degli investitori infatti i licenziamenti potrebbero essere non il sintomo di un'azienda in difficoltà, ma un segnale positivo per una realtà che intende rimanere redditizia e appetibile sul mercato.

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