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Esistono già armi in grado di manipolare la nostra mente: “Il cervello è il nuovo campo di battaglia”

Secondo due ricercatori britannici le tecnologie capaci di influenzare coscienza e comportamento ora potrebbero essere sfruttate in ambito militare.
A cura di Elisabetta Rosso
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Siamo forse la prima generazione che potrebbe veder avverarsi le promesse distopiche della fantascienza che leggevamo da ragazzi. Per esempio? A 17 anni ho iniziato Brave New World di Aldous Huxley.  Nel romanzo lo Stato distribuisce a tutta la popolazione sin dall'infanzia il soma: una pillola capace di cancellare ansia, dolore e dissenso, mantenendo la società docile e obbediente. Un modo per controllare da dento. Oggi, a più di dieci anni di distanza mi ritrovo a leggere una nuova pubblicazione edita dalla Royal Society of Chemistry. Si intitola "Preventing Weaponization of CNS-acting Chemicals: A Holistic Arms Control Analysis" e parla di nuove sostanze e tecnologie capaci di influenzare coscienza, memoria e comportamento umano. 

L’avvertimento è stato lanciato da Michael Crowley e Malcolm Dando, due ricercatori dell’Università di Bradford, che analizzano l’evoluzione delle scienze neurologiche e i potenziali rischi della loro applicazione in ambito militare e di sicurezza. "Stiamo entrando in un'era in cui il cervello stesso potrebbe trasformarsi in un campo di battaglia", ha spiegato Crowley. "Gli strumenti per manipolare il sistema nervoso centrale – per sedare, confondere o persino costringere – stanno diventando più precisi, più accessibili e più attraenti per gli Stati".

La mente come nuovo teatro di conflitto

Crowley e Dando spiegano che il cervello umano potrebbe diventare un “campo di battaglia” di prossima generazione. Le tecnologie progettate per curare malattie neurologiche — per esempio nuovi sedativi mirati, modulatori dell’umore o sostanze che influenzano memoria e orientamento — potrebbero essere adattate per provocare confusione, incapacità temporanea o perdita di controllo cognitivo. Il rischio, avvertono gli studiosi, non deriva dall’avanzamento scientifico in sé, ma dalla possibilità che attori statali o non statali sfruttino gli sviluppi nel settore con finalità coercitive.

Una storia che viene da lontano

L’interesse dei governi per sostanze che agiscono sul sistema nervoso è documentato da decenni. Durante la Guerra Fredda, Stati Uniti, Unione Sovietica e altri Paesi condussero ricerche su composti chimici capaci di disorientare o immobilizzare individui. Questi programmi puntavano a creare sostanze in gradi di dar perdere la coscienze o modificare la percezione.

Uno dei casi più noti risale al 2002, quando le forze di sicurezza russe utilizzarono un aerosol contenente derivati del fentanyl per porre fine all’assedio del Teatro Dubrovka di Mosca. L’operazione consentì di neutralizzare un commando armato che teneva in ostaggio centinaia di persone, ma provocò anche la morte di oltre un centinaio di ostaggi a causa degli effetti tossici del gas. 

Tecnologie sempre più raffinate

Secondo i due ricercatori britannici, gli sviluppi più recenti nell'ambito delle neuroscienze stanno ampliando le possibilità di interferire in modo selettivo con funzioni cognitive specifiche. L’analisi delle reti neuronali, la conoscenza più dettagliata dei recettori cerebrali e la capacità di progettare molecole mirate possono — se usate impropriamente — portare alla creazione di strumenti molto più sofisticati rispetto ai composti del passato.

La neurofarmacologia di precisione, con farmaci capaci di agire su specifici recettori cerebrali, e tecniche di modulazione non invasiva come la stimolazione magnetica transcranica, nate per trattare depressione e disturbi neurologici, mostrano quanto oggi sia realistico influenzare in modo controllato determinate funzioni cognitive. 

Un vuoto normativo da colmare

A livello internazionale esiste già un quadro giuridico, la Convenzione sulle Armi Chimiche (CWC), entrata in vigore nel 1997, proibisce produzione e uso di armi chimiche. Tuttavia, Crowley e Dando sostengono che la Convenzione non affronta in modo specifico le tecnologie emergenti né gli agenti di nuova generazione, lasciando zone grigie.

I ricercatori propongono un approccio più ampio e integrato, che includa definizioni più precise degli agenti capaci di agire sul sistema nervoso centrale, un monitoraggio più attento degli sviluppi scientifici, la creazione di gruppi di lavoro internazionali incaricati di valutare le tecnologie emergenti e, non da ultimo, una formazione etica obbligatoria per i ricercatori che operano in settori sensibili. Non si tratta, ribadiscono, di porre un freno al progresso scientifico, ma di evitare che conoscenze nate per curare possano essere distorte e trasformate in strumenti di coercizione o controllo.

"Il nostro lavoro è un campanello d’allarme”: è necessario agire prima che strumenti nati per curare diventino mezzi per controllare. La mente umana, spiegano i ricercatori, è uno degli spazi più sacri e vulnerabili della persona — e proprio per questo deve essere protetta con nuove forme di governance internazionale.

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