
La storia di Tea inizia con un app che prometteva di proteggere le donne e finisce con un leak di dati che le espone sul web: che terribile ironia. Ancora più terribile se si pensa a cosa si nasconde dietro alla violazione dell’app. Quella di Tea infatti non è una semplice fuga di dati ma un attacco mirato commissionato dagli uomini che odiano le donne.
Per chi non lo sapesse, Tea è un’app per “recensire gli uomini", permette di assegnare una valutazione "bandiera verde" o "bandiera rossa", cercare informazioni su potenziali partner e controllare precedenti penali. Il suo slogan è “Aiutiamo le donne a frequentare in sicurezza”. Le intenzioni sono buone, il prodotto un po’ meno. Nessun contraddittorio, nessuna verifica, nessuna possibilità per gli uomini di difendersi. Basta un sospetto o un rancore per diventare una “bandiera rossa”. E sì, esistono uomini pericolosi. Ma non tutti gli uomini sono un pericolo, e coltivare un clima in cui si presume che lo siano è non solo ingiusto, ma anche controproducente.
Questo è un lato della medaglia, poi c’è l’altro, quello che sta all’origine di Tea app. Qui troviamo i riti che le donne fanno prima di un appuntamento al buio: condividere la posizione in tempo reale con le amiche, scegliere un luogo affollato come punto di ritrovo, mai salire in auto o farsi riaccompagnare a casa. Qui troviamo anche le molestie, gli stalker, gli sposati che si tolgono la fede prima di uscire di casa, i violenti e i collezionisti seriali. Tea app infatti non nasce a caso c’è un lunga lista di precedenti che giustificano la paura delle donne (e infatti già da tempo esistono siti simili, basti pensare al gruppo Facebook Are We Dating the Same Guy?)
La fuga di dati è la conferma di questo altro lato della medaglia. E infatti, il 24 luglio un gruppo di uomini arrabbiati si sono riuniti su 4chan, un forum anonimo, chiedendo un’azione di “hack and leak” (violazione e diffusione) per esporre – e punire– pubblicamente le utenti di Tea App. Il giorno dopo un account anonimo ha pubblicato un link con nomi, cognomi, fotografie, conversazioni private, account social, numeri di telefono e una mappa per localizzare le donne che avevano scaricato l’app. “Buon divertimento”, scrive. Sotto il post si è scatenata la parata della vergogna. Sono stati pubblicati i selfie delle ragazze accompagnati da una lunga serie di “cagna”, “balena”, “tro*ia”, “cessa” e via dicendo.
Il triste epilogo di Tea app mette in luce due punti. Il primo, le donne non sono state sufficientemente tutelate dall'azienda che aveva promesso di proteggerle, l'informativa sulla privacy di Tea Tea app, per esempio, assicurava che i selfie sarebbero stati cancellati subito dopo l’autenticazione. Così non è stato. Il secondo, gli uomini che odiano le donne ci sono ancora. E sono pronti a vendicarsi.
Forse, quindi, il vero scandalo non è un’app per recensire gli uomini, ma un mondo in cui una donna ha paura di un primo appuntamento. E anche se siamo tutte d'accordo sul fatto che no, non è bello assegnare bandiere rosse e guardare con l'occhio del sospetto l'aspirante partner di sesso maschile, alla fine, bisogna scegliere sempre il male minore.
