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Uno sciroppo per la tosse protegge dai sintomi più gravi del Parkinson

L’ambroxolo, un agente mucolitico ampiamente utilizzato negli sciroppi per la tosse, ha mostrato effetti promettenti nel rallentare la progressione del Parkinson: nello studio clinico, i pazienti trattati con ambroxolo hanno mostrato una stabilizzazione dei sintomi neurocognitivi, suggerendo che il farmaco può preservare le funzioni cerebrali.
A cura di Valeria Aiello
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Uno sciroppo per la tosse utilizzato da decenni per fluidificare ed favorire l’eliminazione del muco si sta rivelando un promettente alleato nel trattamento dei sintomi più gravi del Parkinson: si tratta dell’ambroxolo, un agente mucolitico brevettato nel 1966 e in uso medico dal 1979, oggi oggetto di crescenti attenzioni da parte della comunità scientifica per i suoi effetti neuroprotettivi.

In un recente studio clinico di fase 2, i pazienti trattati con ambroxolo hanno mostrato un rallentamento nella progressione della malattia, con una stabilizzazione dei sintomi psichiatrici più comuni, come deliri, allucinazioni, ansia, irritabilità e anomalie dell’attività motoria, e un miglioramento delle funzioni cognitive nei soggetti geneticamente a rischio. I pazienti hanno inoltre mostrato un minor numero di cadute rispetto ai partecipanti non trattati. I risultati della sperimentazione clinica sono stati pubblicati sulla rivista Jama Neurology.

Ambroxolo, il farmaco per la tosse per combattere il Parkinson

Lo studio clinico sull’ambroxolo nel trattamento del Parkinson ha coinvolto 55 pazienti con demenza associata alla malattia, monitorando memoria, i sintomi psichiatrici e i livelli di glucocerebrosidasi (GFAP), un marcatore ematico collegato al danno cerebrale.

La demenza associata al morbo di Parkinson causa perdita di memoria, confusione, allucinazioni e sbalzi d’umorehanno spiegato i ricercatori del Lawson Research Institute (Lawson), il ramo di ricerca del St. Joseph’s Health Care London che sta valutando l’uso dell’ambroxolo nel Parkinson. “Circa la metà delle persone a cui viene diagnosticato il morbo di Parkinson sviluppa demenza entro 10 anni, con un impatto profondo sui pazienti, sulle famiglie e sul sistema sanitario”.

Nell’ambito dello studio, guidato dal neurologo cognitivo Stephen Pasternak, i ricercatori hanno diviso i pazienti in tre gruppi, somministrando ambroxol a basso dosaggio (525 mg al giorno), alto dosaggio (1050 mg al giorno) o placebo per un anno. Al termine del periodo di trattamento, i risultati hanno suggerito che alcuni dei sintomi più gravi del morbo di Parkinson possono essere gestiti dall’ambroxolo se assunto regolarmente ad alti dosaggi. Tra i principali esiti, i ricercatori hanno rilevato che:

  • L’ambroxolo si è rivelato sicuro, ben tollerato e ha raggiunto livelli terapeutici nel cervello
  • I sintomi psichiatrici sono peggiorati nel gruppo placebo, ma sono rimasti stabili nei pazienti trattati con ambroxol
  • I soggetti con varianti del gene GBA1 ad alto rischio hanno mostrato prestazioni cognitive migliorate con l’ambroxol
  • I livelli del marcatore del danno alle cellule cerebrali GFAP sono aumentati nel gruppo placebo, ma sono rimasti stabili nei pazienti trattati con ambroxol, suggerendo una potenziale protezione cerebrale

“Le attuali terapie per il morbo di Parkinson e la demenza affrontano i sintomi, ma non bloccano la malattia di base – ha affermato il dottor Pasternak – . Questi risultati suggeriscono che l’ambroxolo possa proteggere le funzioni cerebrali, soprattutto nei soggetti geneticamente a rischio. Offre una nuova promettente via terapeutica, laddove attualmente ne esistono poche”.

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