Sulla Luna ci sono minuscole perle di vetro arancione, ora sappiamo perché

Le minuscole perle di vetro arancione trovate sulla Luna dagli astronauti della missione Apollo 17 della NASA sono il risultato di antichi eventi che hanno segnato il passato lunare: decenni dopo il loro recupero, utilizzando tecniche di analisi che non erano disponibili quando i campioni lunari arrivarono sulla Terra, un team di ricerca guidato dagli scienziati planetari della Brown University di Providence, negli Stati Uniti, ha finalmente fatto luce sulla loro origine.
“Sono alcuni dei campioni extraterrestri più straordinari che abbiamo – hanno spiegato i ricercatori – . Queste perle sono minuscole capsule incontaminate dell’interno lunare, che ci raccontano preziosi dettagli sulla storia della Luna”. In un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Icarus, i ricercatori hanno svelato la loro composizione e chiarito le condizioni in cui si sarebbero formate, collegandole a diverse eruzioni vulcaniche avvenute miliardi di anni fa.
Perché sulla Luna ci sono perle di vetro arancione
Le perle di vetro arancione che si trovano sulla superficie della Luna sono il risultato di eruzioni vulcaniche avvenute tra 3,3 e 3,6 miliardi di anni fa: in quelle antiche espulsioni di materiale, ogni goccia di lava si sarebbe “solidificata all’istante nel vuoto gelido che circonda la Luna – hanno precisato gli studiosi – . L’esistenza stessa di queste perle ci dice che ha Luna ha avuto eruzioni esplosive, simili alle fontane di fuoco che si possono vedere oggi alle Hawaii”.
Come conseguenza di questa loro origine e delle caratteristiche dell’ambiente lunare, le perle sono diverse da qualsiasi cosa si trovi sulla Terra.
“Le perle, alcune di un arancione brillante, altre di un nero lucido, si sono formate quando i vulcani lunari hanno espulso materiale dall’interno verso la superficie della Luna – hanno aggiunto gli studiosi – . Le analisi hanno anche suggerito che le perle arancioni e nere siano una conseguenza di diverse eruzioni vulcaniche, cambiate nel tempo”.
Fondamentale, per questa scoperta, è stato l’uso del NanoSIMS 50, uno strumento che si trova nei laboratori della della Washington University di St. Louis, che utilizza un fascio di ioni ad alta energia per frammentare piccoli campioni di materiali da analizzare. Per lo studio sono inoltre state combinate diverse tecniche analitiche (dalla tomografia a sonda atomica, alla microscopia elettronica a scansione e a trasmissione, fino alla spettroscopia a raggi X a dispersione di energia.
“Questi campioni erano sulla Terra da più di 50 anni, ma solo adesso abbiamo la tecnologia per comprenderli appieno – ha osservato l’autore principale dello studio, il professor Ryan Ogliore della Washington University – . Molti di questi strumenti erano inimmaginabili quando vennero raccolte le perle”.