Sintomi influenza K e quanto dura: casi in aumento in Italia, Bassetti segnala anche vomito e diarrea

L’influenza 2025-2026, caratterizzata dalla variante K (sottoclade K del virus A(H3N2) attualmente prevalente), continua a far registrare alti tassi di positività in Italia. I dati più recenti del sistema di sorveglianza RespiVirNet dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) indicano un nuovo aumento delle sindromi simil-influenzali nella settimana compresa tra il 15 e il 21 dicembre, con oltre 950.000 casi stimati e una circolazione sostenuta di diversi virus respiratori, tra cui influenza, rhinovirus, virus respiratorio sinciziale e adenovirus.
Oltre ai sintomi respiratori più comuni, come febbre, tosse e dolori muscolari, i medici stanno osservando con maggiore frequenza anche disturbi a carico dell’apparato gastrointestinale. “Quest’anno l’influenza colpisce anche la pancia, provocando vomito e diarrea” segnala l’infettivologo Matteo Bassetti. Un quadro che non rappresenta un’anomalia, ma che in questa stagione può rendere meno immediato il riconoscimento dell’influenza, soprattutto nelle fasi iniziali.
Comprendere quali sono i sintomi associati all’influenza K, quanto può durare l’infezione e quali indicazioni seguire per la gestione di questi disturbi diventa essenziale per orientarsi correttamente durante in questa fase della stagione influenzale.
Quali sono i sintomi dell’influenza K
I sintomi dell’influenza stagionale, inclusa quella causata alla variante K (virus A(H3N2) sottoclade K) – si presentano con un quadro clinico molto simile a quello delle altre influenze stagionali, con un esordio improvviso e disturbi che interessano sia le vie respiratorie sia l’intero organismo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, i segni più comuni dell’influenza includono:
- febbre
- tosse
- mal di gola
- dolori muscolari e articolari
- mal di testa
- brividi
- marcata sensazione di stanchezza
Anche il Centro Europeo per Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC) conferma che questi sintomi rappresentano il quadro tipico dell’influenza stagionale, precisando che l’intensità può variare da persona a persona e che non tutti i pazienti presentano l’intera gamma di manifestazioni cliniche. In alcuni casi, soprattutto nei bambini, possono comparire anche sintomi gastrointestinali, come vomito e diarrea, che tuttavia sono meno comuni negli adulti.
In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità chiarisce inoltre che, sul piano epidemiologico, molti dei casi che arrivano all’attenzione dei medici rientrano nella definizione di sindrome simil-influenzale: un insieme di sintomi compatibili con l’influenza, ma che non corrispondono necessariamente a un’infezione influenzale confermata in laboratorio. La distinzione è centrale per interpretare correttamente i dati settimanali, che includono anche infezioni causate da altri virus respiratori circolanti.
Perché quest’anno l’influenza colpisce anche la pancia
In genere, i sintomi gastrointestinali come nausea, vomito e diarrea non fanno parte del quadro tipico dell’influenza, che resta una malattia prevalentemente respiratoria. Possono tuttavia comparire in un alcuni pazienti, in particolare nei bambini o in caso di coinfezioni virali.
Tuttavia, nel corso della stagione influenzale 2025-2026, alcuni medici italiani hanno segnalato un coinvolgimento più frequente del tratto gastro-intestinale nei casi osservati. In un video diffuso sui social, l’infettivologo Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie Infettive del Policlinico San Martino di Genova, ha richiamato l’attenzione su questo aspetto, spiegando che:
“L’influenza di quest’anno si presenta con la classica febbre intorno ai 38–38,5 °C, ma colpisce spesso anche la pancia, con nausea, vomito e diarrea. È un elemento che stiamo osservando con maggiore frequenza nei casi seguiti in ambito ospedaliero, in una fase in cui il numero di infezioni influenzali è in aumento”.
Quanto dura l’influenza e cosa fare
La durata dell’influenza stagionale può variare da persona a persona, anche se nella maggior parte dei casi l’infezione ha un decorso limitato nel tempo. I sintomi compaiono in genere dopo un breve periodo di incubazione (circa 2 giorni) e inizialmente tendono a essere più intensi, per poi attenuarsi gradualmente. Secondo le indicazioni riportate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, la fase acuta dell’infezione si risolve generalmente entro una settimana, anche se tosse, stanchezza e senso di spossatezza possono persistere più a lungo..
Durante l’infezione, la gestione dell’influenza non complicata è principalmente di supporto. In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità ricorda che riposo, adeguata idratazione e l’uso di farmaci per alleviare febbre e dolori — seguendo le indicazioni del medico o del farmacista— rappresentano le misure più appropriate. Gli antibiotici non agiscono contro i virus influenzali e non devono essere utilizzati se non in presenza di complicanze batteriche accertate.
È importante prestare attenzione all’evoluzione dei sintomi. L’ISS segnala che in presenza di peggioramento clinico, febbre elevata persistente, difficoltà respiratorie, confusione, disidratazione o sintomi che non migliorano dopo alcuni giorni, è sempre opportuno rivolgersi al medico. Particolare cautela è raccomandata per bambini piccoli, anziani, donne in gravidanza e persone con patologie croniche, per le quali il rischio di complicanze è più elevato.
Sul fronte della prevenzione, la vaccinazione antinfluenzale resta lo strumento principale per ridurre il rischio di forme gravi e di complicanze. Le autorità sanitarie ricordano che il vaccino è aggiornato ogni anno per adattarsi ai ceppi in circolazione e non elimina completamente la possibilità di infezione, ma contribuisce a renderla più lieve e a proteggere le persone più vulnerabili. A questo si affiancano misure semplici ma efficaci, come il lavaggio frequente delle mani, l’aerazione degli ambienti chiusi e l’attenzione ai contatti in presenza di sintomi respiratori.
Casi in aumento in Italia: cosa dicono gli ultimi dati RespiVirNet
Secondo l’ultimo rapporto settimanale RespiVirNet dell’ISS (settimana 2025-51), l’incidenza delle infezioni respiratorie acute (ARI) in Italia è in aumento, con una media di 17,1 casi per 1.000 assistiti, in crescita rispetto alla settimana precedente. L’aumento riguarda tutte le fasce di età, ma l’incidenza più elevata si osserva nei bambini tra 0 e 4 anni, con circa 50 casi per 1.000 assistiti.
Nella stessa settimana, per l’influenza si registra un alto tasso di positività sia nella comunità sia in ambito ospedaliero, pari rispettivamente al 31,5% e al 46,2%. Tra i virus respiratori circolanti, i virus influenzali risultano i più frequentemente rilevati, seguiti da rhinovirus, virus respiratorio sinciziale (VRS) e adenovirus. Questa co-circolazione di più virus contribuisce all’aumento complessivo delle infezioni respiratorie osservato in questa fase della stagione.

Le regioni più colpite risultano la Campania (24,38 casi per 1.000 assistiti) e le Marche (23,6 casi per 1.000), seguite da Provincia Autonoma di Bolzano (21,69 casi per 1.000) e il Veneto (20,21 per 1.000), dove i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta della rete sentinella riportano un aumento significativo delle infezioni respiratorie acute (ARI). Tassi di incidenza superiori alla media nazionale si osservano anche in Piemonte (19,51 casi per 1.000) ed Emilia Romagna (19,29 casi per 1.000). In linea con la media nazionale, Sicilia (17,78 casi per 1.000), Abruzzo (17,76 casi per 1.000) e Lazio (17,56 casi per 1.000).
Dal punto di vista virologico, la sorveglianza mostra che la maggior parte dei casi italiani di influenza è causata da virus influenzali di tipo A, che risultano ampiamente dominanti (99,4%), rispetto ai virus di tipo B (0,6%), con una proporzione crescente di virus appartenenti al sottotipo H3N2 (67,3% dei ceppi A sottotipizzati).
Le analisi di sequenziamento indicano inoltre che, tra i ceppi attualmente circolanti in Italia, la variante K (sottoclade K) è attualmente quella prevalente in Italia. I dati epidemiologici finora disponibili non segnalano un aumento della gravità delle manifestazioni cliniche associate a questa variante, sebbene le mutazioni a livello del gene dell’emoagglutinina (HA) ne aumentino la trasmissibilità.