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Long Covid

Più problemi di memoria tra chi ha perso l’olfatto dopo il Covid

Il disturbo non è associato a sintomi psichiatrici come depressione o ansia ma è correlato alla parosmia, l’errata percezione degli odori che si manifesta come conseguenza della perdita dell’olfatto dovuta al Covid.
A cura di Valeria Aiello
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Fin dai primi mesi della pandemia, i ricercatori hanno identificato che la perdita dell’olfatto – totale (anosmia) o parziale (iposmia) – può essere uno dei sintomi più frequenti del Covid-19, indipendente dalla gravità della malattia nella sua fase acuta. Con il tempo, tuttavia, è diventato evidente che parte delle persone che ha sviluppato questo sintomo non ha avuto solo problemi nel rilevare gli odori ma, come conseguenza della perdita dell’olfatto, ha successivamente manifestato un’ulteriore condizione chiamata parosmia, un’alterazione sensoriale che, il più delle volte, si presenta come la trasformazione di un odore gradevole in uno sgradevole. In altre parole, la parosmia può presentarsi come una comune sequela del Covid, che spesso fa seguito a una malattia iniziale associata alla perdita dell’olfatto, descritta come un sintomo ad esordio tardivo dalla maggior parte dei pazienti che, ad esempio, notano odori differenti, per lo più di rancido o di bruciato, in relazione a una serie di cibi e profumi precedentemente apprezzati.

Ciò che però non era ancora noto, ma è stato recentemente riscontrato, è che chi manifesta questo disturbo dell’olfatto spesso sperimenta anche problemi di memoria. Questa relazione è stata osservata in nuovo studio pubblicato negli European Archives of Psychiatry and Clinical Neuroscience e che ha preso in esame i dati clinici di 701 pazienti trattati per Covid moderato o grave presso l’Hospital das Clínicas di San Paolo, in Brasile, tra marzo e agosto 2020.

Disturbi dell'olfatto post-Covid e perdita della memoria

Lo studio, in particolare, ha mostrato che sei mesi dopo la dimissione dall’ospedale, i pazienti che hanno sviluppato disturbi dell’olfatto e del gusto post-Covid hanno ottenuto risultati peggiori nei test cognitivi, soprattutto quando questi riguardavano la memoria, e che i risultati dei test non erano correlati alla gravità della loro condizione nella fase acuta della malattia. “L’olfatto è un legame importante con il mondo esterno ed è strettamente correlato alle esperienze passate – ha affermato il professor Fabio Pinna, specialista in otorinolaringoiatria e autore senior dello studio – . L’odore della torta, ad esempio, può evocare i ricordi di una nonna, dimostrando che, in termini di connessioni cerebrali, l’olfatto interagisce in modo molto più robusto con la memoria che con la vista e l’udito”.

In percentuale, i dati hanno indicato che il deficit gustativo moderato o grave (ridotto senso del gusto) è stata la complicanza sensoriale riportata più frequentemente (20%), seguita dal deficit olfattivo moderato o grave (18%), dal deficit moderato o grave sia dell’olfatto che del gusto (11% ) e dalla parosmia (9%). Gli studiosi hanno anche esaminato i sintomi psichiatrici, come ansia e depressione, e utilizzato test neuropsicologici per misurare le funzioni cognitive, incluse la memoria, l’attenzione e la velocità di ragionamento.

Dall’analisi di questi dati è emerso che le persone che hanno sviluppato la parosmia hanno mostrato più frequentemente problemi di memoria rispetto agli altri pazienti, mentre chi ha sperimentato un deficit gustativo moderato o grave ha ottenuto risultati significativamente peggiori nei test utilizzati per valutare la memoria episodica e l’attenzione. Anche coloro che hanno sperimentato una perdita moderata o grave sia dell’olfatto che del gusto hanno mostrato problemi con la memoria episodica, risultata significativamente ridotta.

Non abbiamo riscontrato alcun sintomo psichiatrico [come ansia o depressione] associato alla perdita dell’olfatto e del gusto, ma come previsto abbiamo osservato che l’attenzione e la memoria episodica erano più compromesse nei pazienti con più alterazioni chemiosensoriali – ha precisato Rodolfo Damiano, ricercatore presso la Facoltà di Medicina dell’Università di San Paolo e primo autore dell’articolo – . Questa scoperta corrobora l’ipotesi che il Covid influisca sulla cognizione e che il danno in quest’area non abbia solo cause psicosociali o ambientali”.

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