Perché un ortaggio è diventato l’opera d’arte più amata di Taiwan: la storia del cavolo di giadeite

In questi mesi, nelle sale del Museo Nazionale di Praga, è esposta per la prima volta in Europa un'opera che da decenni incuriosisce milioni di visitatori. Non è un quadro, né una preziosa armatura imperiale o un manoscritto millenario. È un cavolo. Un cavolo di giadeite, bianca e verde, talmente realistico da sembrare appena raccolto da un campo e ancora lucido di rugiada.
Jadeite Cabbage è infatti una scultura alta poco più di diciotto centimetri che rappresenta per l'appunto un bokchoy, cavolo cinese, con due piccoli insetti — una cavalletta e una locusta — nascosti tra le sue foglie. Realizzata da uno scultore anonimo e priva di una datazione ufficiale, è da tempo l'opera più fotografata e amata del National Palace Museum di Taipei, tanto da meritare una sala espositiva tutta per sé. Ogni anno oltre due milioni di visitatori attraversano il museo, e molti di loro lo fanno solo per vedere da vicino questo piccolo capolavoro, diventato il simbolo di un'intera nazione.
Il fascino di un cavolo di pietra
Il Cavolo di giadeite affascina soprattutto per il modo in cui l'artista senza nome seppe trasformare le imperfezioni naturali del materiale – di per sé molto duro e difficile da lavorare – in un effetto di straordinario realismo. Le venature e le incrinature della giada divennero nervature e foglie, mentre le sfumature bianche e verdi della giadeite furono modellate per rendere il contrasto tra gambo e fronde. "La maestria tecnica, unita alle tonalità uniche di questo specifico blocco di giada, ha dato vita a un risultato straordinario", ha spiegato recentemente alla CNN Hsu Ya-hwei, professore di storia dell’arte all'Università Nazionale di Taiwan.

La giada è una pietra preziosa dura e compatta, apprezzata per il suo colore verde intenso ma disponibile anche in tonalità bianche, gialle o nere (le più rare). Si ricava principalmente da due minerali, la nefrite e la giadeite . Nella scultura asiatica, soprattutto in Cina, la giada è molto utilizzata per la sua resistenza e durezza, che permette lavorazioni dettagliate, nonché per la sua portata simbolica legata ai concetti di longevità e purezza. Anche il cavolo cela però un piccolo universo ricco di significato. Nella tradizione cinese, questa verdura umile e comune incarna infatti la genuinità, la fertilità e l'abbondanza.
L'opera – che probabilmente faceva parte della dote di una delle consorti dell'imperatore Guangxu (1871-1908) – potrebbe dunque rappresentare un augurio di felicità e di discendenza numerosa per il sovrano. E anche se le fonti storiche non confermano con certezza questa ipotesi, l'immaginario popolare non ha mai smesso di alimentare questa leggenda.
Dalla Città Proibita a Taiwan
Come molti altri tesori custoditi oggi a Taipei, anche il Cavolo di giadeite proviene dalla Città Proibita di Pechino, l'antica residenza degli imperatori cinesi. L'opera venne ritrovata nel 1912, all’interno di una pentola di smalto colorato, poco dopo la caduta della dinastia Qing, la stessa del sovrano Guangxu, e l'instaurazione della Repubblica cinese (da non confondere con l'odierna Repubblica Popolare Cinese). Inizialmente esposta al Museo del Palazzo di Pechino, divenne ben presto una delle attrazioni più amate dal pubblico.
Nei turbolenti anni Trenta, quando la Cina dovette fronteggiare prima l'avanzata dell’esercito giapponese e poi una tremenda guerra civile, una parte consistente della collezione imperiale venne trasferita in gran segreto in diverse città, fino a quando, con la vittoria di Mao Zedong nel 1949, le forze in ritirata di Chiang Kai-shek, leader della fazione perdente, portarono con loro i tesori più preziosi sull'isola di Taiwan, dove ancora oggi è ospitato il governo della Repubblica di Cina, non riconosciuto da Pechino. Tra le migliaia di casse imbarcate vi era anche il piccolo cavolo di giada, destinato a diventare il simbolo culturale del nuovo Stato. Il Museo del Palazzo Nazionale di Taipei venne inaugurato nel 1965 per custodire e valorizzare quel patrimonio di oltre 700.000 oggetti. Tre anni più tardi, la fama del cavolo esplose anche grazie a un francobollo commemorativo stampato in 3,5 milioni di copie, che contribuì a trasformarlo in una vera e propria icona pop.
Oggi il Cavolo di giadeite è considerato una delle "tre meraviglie" del museo, insieme alla "Pietra a forma di carne", un blocco di diaspro scolpito che sembra un pezzo di pancetta di maiale, e al Mao Kung Ting, un antico vaso bronzeo decorato con la più lunga iscrizione conosciuta di caratteri cinesi. I tre oggetti, scherzano le guide, compongono idealmente un "hotpot di cavolo e maiale", un pasto simbolico che unisce arte, ironia e identità culturale. Sebbene alcuni storici dell'arte sottolineino che il cavolo non sia l'unico esempio eccellente di scultura in giadeite dell'epoca Qing, nessun'altra opera è riuscita a conquistare il cuore del pubblico con la stessa forza.

Un tesoro da custodire
L'esposizione a Praga – che durerà fino al prossimo 31 dicembre – rappresenta un evento raro. Il cavolo viaggia di rado all'estero: la sua ultima trasferta risaliva al 2014, quando fu prestato al Giappone. Per proteggerlo dai rischi di un Paese sismico come Taiwan, l'opera è custodita in una teca blindata e fissata con corde elastiche che ne impediscono il movimento. Quando deve essere spostata, viene imballata in un contenitore su misura e scortata da personale specializzato e dalla polizia fino all'aeroporto.
Il prestito al Museo Nazionale di Praga, che coincide con il centenario della fondazione del Palace Museum, ha anche l'intento di testimoniare il rafforzamento dei rapporti culturali tra Taiwan e la Repubblica Ceca, in un momento di crescente tensione con la Cina. Così, in mezzo alle imponenti sale del museo di Praga, un piccolo cavolo di pietra continua a esercitare lo stesso incanto che da un secolo affascina imperatori, studiosi e turisti. Umile e perfetto, delicato e resistente, il Cavolo di giadeite è diventato molto più di una scultura: è il simbolo di come l'arte possa trasformare anche l'oggetto più comune in un mito senza tempo.