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Covid 19

Perché i pazienti Covid rischiano di più infarto e ictus: nuovo studio svela la causa scatenante

Un team di ricerca internazionale guidato da una ricercatrice italiana, la professoressa Chiara Giannarelli dell’Università di New York, ha scoperto la possibile causa dell’aumento del rischio di infarto e ictus nelle persone che hanno avuto la Covid, anche a mesi di distanza dalla fase acuta dell’infezione.
A cura di Andrea Centini
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Sin dall'inizio della pandemia di COVID-19, nel 2020, medici e scienziati hanno determinato che il coronavirus SARS-CoV-2 è in grado di catalizzare il rischio di malattie cardiovascolari, come l'infarto del miocardio e l'ictus ischemico. Tale rischio non è limitato al periodo della fase acuta dell'infezione o immediatamente successivo, ma si protrae anche oltre un anno dopo la positività al tampone oro-rinofaringeo. Diversi studi hanno fatto emergere le possibili cause dell'aumento significativo di rischio cardiovascolare nei pazienti Covid. Ad esempio una recente ricerca italiana guidata da scienziati del Laboratorio di Immunità Adattiva e del Dipartimento Cardiovascolare dell'Istituto Humanitas di Rozzano (Milano) ha dimostrato che, nei pazienti con Long Covid, il SARS-CoV-2 riesce a eliminare il “freno” che impedisce alle cellule del sistema immunitario di attaccare i nostri organi e tessuti. In pratica, può innescare una severa reazione autoimmune nella quale gli autoanticorpi possono aggredire il tessuto cardiaco, aumentando così il rischio di eventi cardiovascolari. Ma ci sono anche altre possibili spiegazioni di questo fenomeno (e naturalmente l'una non esclude l'altra).

Uno studio pubblicato alla fine di settembre 2023, ad esempio, ha trovato un forte legame tra la COVID-19 grave e le probabilità di sviluppare un infarto o un ictus nei pazienti con placche aterosclerotiche, accumuli di grasso e tessuto cicatriziale sulle pareti dei vasi – come le coronarie – che oltre a restringere il lume degli stessi, ostacolando il flusso sanguigno e l'ossigenazione degli stessi, possono rompersi creando otturazioni responsabili dei gravi eventi cardiovascolari. In parole semplici, gli autori del nuovo studio hanno dimostrato che il coronavirus SARS-CoV-2 infetta i macrofagi presenti nei vasi coronarici, con particolare predilezione per quelli carichi di lipidi. Questa interazione innesca forti reazioni infiammatorie che oltre a promuovere la produzione di altre placche aterosclerotiche favorisce la secrezione di citochine (proteine pro-infiammatorie) notoriamente associate a infarto e ictus. Questa scoperta potrebbe spiegare il collegamento diretto tra il patogeno pandemico e le complicanze cardiovascolari rilevate nei pazienti COVID-19, sensibilmente superiori a quelle scatenate dall'influenza (provocata da un altro virus respiratorio). Anche a mesi di distanza dall'infezione.

A condurre il nuovo studio è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Divisione di Cardiologia – Centro di ricerca cardiovascolare dell'Università di New York, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Patologia del NYU Winthrop Hospital, del Dipartimento di Chirurgia della Icahn School of Medicine at Mount Sinai e di altri centri di ricerca. Tra gli studiosi figurano diversi italiani, compresa la coordinatrice Chiara Giannarelli, docente presso il Dipartimento di Medicina e Patologia dell'ateneo newyorchese, laureatasi all'Università di Pisa. Gli scienziati sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato campioni autoptici di coronarie con aterosclerosi di pazienti morti per COVID-19. Attraverso molteplici tecniche hanno rilevato RNA virale infettivo nei macrofagi presenti nelle coronarie, in particolar modo in quelli carichi di colesterolo / lipidi. L'affinità del virus pandemico ai macrofagi delle placche aterosclerotiche risultava essere superiore a quella del grasso perivascolare adiacente.

“Abbiamo scoperto che i macrofagi erano più suscettibili al virus quando erano carichi di lipidi. Questi macrofagi ricchi di lipidi erano anche meno capaci di ripulire il virus”, ha dichiarato la professoressa Giannarelli. I ricercatori hanno osservato che anche le cellule schiumose, anch'esse associate all'aterosclerosi, potrebbero ospitare il coronavirus SARS-CoV-2. Grazie a campioni chirurgici di tessuto arterioso aterosclerotico e colture di macrofagi, è stato rilevato che il coronavirus SARS-CoV-2 induce una forte risposta infiammatoria, innescando la secrezione di citochine come l'interleuchina-1 beta e l'interleuchina-6, che precedenti studi hanno associato sia allo sviluppo delle placche aterosclerotiche che alla loro rottura, con conseguenti e probabili eventi ischemici. I dettagli della ricerca “SARS-CoV-2 infection triggers pro-atherogenic inflammatory responses in human coronary vessels” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Cardiovascular Research.

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