Perché bisogna abbandonare l’ora legale, ma nessuno ha il coraggio di farlo

Nella notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre in Italia, come nel resto dell'Unione Europa, tornerà all’ora solare. Le lancette si sposteranno indietro di sessanta minuti, segnando l’inizio di giornate più corte e pomeriggi bui. Un rituale che da decenni accompagna il cambio di stagione, ma che molti considerano ormai inutile. Tra queste, quella del premier spagnolo Pedro Sánchez, che pochi giorni fa ha pubblicato su X (il fuTwitter) un video in cui ha definito il passaggio semestrale tra ora legale e solare "privo di senso". Un gesto simbolico, ma che riaccende un dibattito mai sopito sull'opportunità di adottare un solo orario per tutto l'anno. L'idea non è affatto campata in aria, ma è anzi sul tavolo dell'Unione Europea fin dal periodo pre-Covid, quando l'abbandono del cambio orario sembrava un'ipotesi molto più concreta. Tra i tentennamenti dei vari Paesi, lo scoppio della pandemia e il susseguirsi delle varie crisi internazionali hanno però reso il cambiamento sempre meno prioritario.
Un'idea nata per risparmiare e i dubbi sulla salute
L'ora legale venne introdotta per la prima volta durante la Prima guerra mondiale con l'obiettivo di risparmiare energia, sfruttando un'ora in più di luce naturale alla sera. Dopo vari tentativi intermittenti – dopo la parentesi tra il 1916-1920 venne adottata nuovamente durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, fino al 1948 – in Europa e in Italia divenne stabile nel 1966. L'intento era semplice: creare un orario artificiale (l'ora solare, pur rimanendo una convenzione, è quella che coincide con la posizione del Sole rispetto alla Terra) durante i mesi primaverili ed estivi per ridurre i consumi elettrici e migliorare l'efficienza produttiva. Per decenni la misura ha mantenuto una certa logica economica, tanto che molti Paesi ne hanno seguito l'esempio, considerandola un compromesso efficace tra esigenze industriali e vita quotidiana.
Col passare del tempo, la presunta utilità dell'ora legale è stata però messa più volte in discussione. Diversi studi hanno segnalato possibili effetti negativi dei cambi di orario sui ritmi circadiani, ossia quei cicli biologici che regolano "l'orologio interno" degli individui e hanno un forte impatto sulle funzioni metaboliche, la pressione sanguigna e, ovviamente, il ritmo sonno/veglia. Nei giorni immediatamente successivi al passaggio dall'ora solare a quella legale (e viceversa), la ricerca scientifica ha infatti riscontrato l'aumento di inconvenienti come l'insonnia, i disturbi dell'umore, il calo della produttività e persino degli incidenti stradali. Un recente studio condotto pubblicato nel 2025 sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, ha aggiunto nuovi elementi alla discussione: secondo la ricerca, condotta negli Stati Uniti, l' adozione permanente dell'ora solare eviterebbe ogni anno circa 300.000 casi di ictus e potrebbe ridurre di 2,6 milioni il numero di persone affette da obesità. Un risultato che evidenzia come i benefici sanitari di un orario stabile potrebbero superare di gran lunga quelli economici derivanti dal cambio semestrale.
L'Europa ci ha provato, ma si è fermata a metà
Sulla spinta di una sempre maggiore perplessità nei confronti del cambio orario 2018 la Commissione Europea aveva avviato una consultazione pubblica per valutare l'opinione dei cittadini sul mantenimento dell’ora legale. Al sondaggio avevano partecipato più di quattro milioni e mezzo di persone, e l'84% dei votanti si dichiarò favorevole alla sua abolizione. L'anno successivo il Parlamento europeo ha anche approvato una mozione che prevedeva la fine dei cambi stagionali entro il 2021, lasciando a ogni Stato membro la scelta se mantenere l'ora solare o quella legale. Dal quel momento il processo si è però incagliato.
Nei negoziati successivi, diversi governi hanno iniziato a discutere sull’applicazione del provvedimento, evidenziando una netta divisione di posizioni legata alle differenze geografiche. I Paesi del Nord, come Svezia e Finlandia, temono gli effetti dell’ora legale sulla salute e si sono schierati per il mantenimento della sola ora solare. Una scelta coerente con la loro posizione geografica: alle latitudini scandinave, infatti, il sole tramonta molto più tardi in estate, rendendo poco utile guadagnare ulteriore luce serale. Al contrario, i Paesi del Sud, come Grecia o Portogallo, trovano più conveniente mantenere l'attuale sistema di alternanza. Questa impasse ha quindi alimentato il timore che, in assenza di un cambiamento ben orchestrato, l'Europa possa ritrovarsi ad essere frammentata in tanti fusi orari differenti.

L'arrivo della pandemia, la crisi economica e infine la guerra in Ucraina hanno però relegato la questione agli ultimi posti dell’agenda politica. Oggi il dossier è ancora fermo a Bruxelles e per sbloccare la situazione servirà una decisione del Consiglio dell'Unione Europea – composto dai ministri dei 27 Paesi membri – sull'importante tema energetico. Ad oggi però non è ben chiaro quali governi hanno davvero l'intenzione di abbandonare lo status quo.
La posizione dell'Italia
Nel dibattito europeo, l’Italia continua a mantenere un atteggiamento cauto. Il motivo è soprattutto economico. Secondo i dati diffusi proprio ieri 24 ottobre da Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale dell'energia elettrica, nei sette mesi di ora legale il sistema elettrico italiano ha registrato minori consumi per 310 milioni di kWh, pari al fabbisogno annuo medio di circa 120 mila famiglie. Il risparmio per il Paese è stato di oltre 90 milioni di euro, con una riduzione di 145 mila tonnellate di CO2 immesse in atmosfera. Numeri che spiegano perché il nostro Paese non abbia ancora spinto per un cambiamento che, stando alla scienza, potrebbe apportare benefici alla salute dei cittadini.