video suggerito
video suggerito

Eruzioni vulcaniche dimenticate potrebbero aver innescato la Peste Nera: le nuove prove scientifiche

Un nuovo studio su Communications Earth & Environment ricostruisce come eruzioni vulcaniche della metà del XIV secolo innescarono la sequenza climatica e commerciale che portò la Peste Nera nell’Europa medioevale.
A cura di Valeria Aiello
0 CONDIVISIONI
Yersinia pestis (in giallo), il batterio che causa la peste. Immagine al microscopio elettronica a scansione colorata digitalmente / Credit: NIAID/CDC
Yersinia pestis (in giallo), il batterio che causa la peste. Immagine al microscopio elettronica a scansione colorata digitalmente / Credit: NIAID/CDC

Eruzioni vulcaniche della metà del XIV secolo potrebbero essere state il primo tassello della “tempesta perfetta” che portò la Peste Nera nell’Europa medioevale. È la conclusione di un nuovo studio pubblicato su Communications Earth & Environment e firmato dai ricercatori dell’Università di Cambridge e del Leibniz Institute for the History and Culture of Eastern Europe (GWZO) di Lipsia, in Germania, che ricostruisce con dati climatici e fonti documentali la sequenza di eventi che, in pochi anni, contribuì allo scoppio della pandemia nel continente.

Gli autori mostrano per la prima volta un collegamento tra un collasso climatico post-eruttivo, le crisi agricole nel Mediterraneo, la riorganizzazione delle rotte commerciali del grano e l’arrivo del batterio Yersinia pestis nei porti europei. “È una domanda che volevo capire da molto tempo: quali furono i fattori scatenanti della Peste Nera e perché accadde proprio alloraspiega il professor Ulf Büntgen dell’Università di Cambridge, co-autore dello studio e specialista nell’analisi degli anelli degli alberi come archivio climatico.

L’evidenza parte proprio dai “blue rings” — anelli blu — rilevati nei pini dei Pirenei spagnoli, che indicano estati eccezionalmente fredde e umide nel 1345, 1346 e 1347. Una sequenza così anomala suggerisce l’impatto di un’eruzione, o di più eruzioni, che avrebbe disperso nell’atmosfera aerosol e cenere, abbassando le temperature in tutto il Mediterraneo. Le fonti di quel tempo parlano di “insolita nuvolosità” ed “eclissi lunari scure”, segnali compatibili con intensa attività vulcanica.

Sosteniamo che la ridotta visibilità atmosferica, in combinazione con le segnalazioni di cieli nebbiosi provenienti da Europa e Asia, renda molto probabile la presenza di uno strato di aerosol vulcanico su larga scala intorno al 1345 d.C. – scrivono gli autori dello studio – . Sebbene riconosciamo l’incertezza dei resoconti storici, i ricalcoli non hanno confermato le eclissi lunari segnalate in Boemia e Cina”. Secondo la ricostruzione, l’attività eruttiva si sarebbe verificata circa due anni prima dell’inizio della pandemia, da un singolo vulcano o da un gruppo di vulcani di posizione sconosciuta, probabilmente ai tropici.

Il crollo climatico provocò raccolti fallimentari e un rischio concreto di carestia. Per evitarla, le repubbliche marinare italiane di Venezia, Genova e Pisa attivarono rotte di approvvigionamento e iniziarono a importare grano dai Mongoli dell’Orda d’Oro, nella regione del Mar d’Azov. Ma insieme al grano, come mostrano anche studi precedenti, arrivarono pulci infette da Y. pestis.

La rete commerciale del grano di Venezia, Genova e Pisa, che impedì a gran parte dell’Italia di morire di fame nel 1347 d.C., ma che portò anche il batterio della peste Yersinia pestis nei porti del Mediterraneo durante la seconda metà del 1347 d.C. / Credit: Communications Earth & Environment 2025.
La rete commerciale del grano di Venezia, Genova e Pisa, che impedì a gran parte dell’Italia di morire di fame nel 1347 d.C., ma che portò anche il batterio della peste Yersinia pestis nei porti del Mediterraneo durante la seconda metà del 1347 d.C. / Credit: Communications Earth & Environment 2025.

Nello studio, gli autori precisano che “la carestia trans-mediterranea tra il 1345 e il 1347 costrinse le repubbliche marinare italiane a importare grano dal Mar Nero. Questo cambiamento nel commercio a lunga distanza non solo evitò la fame, ma introdusse anche Yersinia pestis nei porti del Mediterraneo, alimentandone la rapida dispersione in Europa.

La Peste Nerala prima ondata della seconda pandemia di peste — uccise decine di milioni di persone tra il 1347 e il 1353, con tassi di mortalità che in alcune aree superarono il 50%. Eppure, osservano gli studiosi, non tutte le grandi città italiane furono colpite allo stesso modo: “Milano e Roma potrebbero essere state risparmiate perché non ebbero bisogno di importare grano dopo il 1345” nota lo storico del clima e co-autore dello studio, il dottor Martin Bauch del GWZO.

Per Büntgen, la ricerca offre anche una lezione attuale: “La probabilità che malattie zoonotiche emergano a causa del cambiamento climatico aumenta in un mondo globalizzato. Le valutazioni del rischio dovrebbero integrare ciò che impariamo dalle interazioni storiche tra clima, malattie e società”.

Eruzioni vulcaniche e Peste Nera: cosa rivela il nuovo studio

Lo studio ricostruisce – attraverso dati dendrocronologici, documenti medievali, cronache climatiche e analisi concettuali dei sistemi commerciali – l’intera sequenza di eventi tra il 1345 e il 1347.

  • Le prove climatiche: gli “anelli blu” e le estati fredde consecutive. I ricercatori hanno analizzato gli anelli dei pini dei Pirenei, dove il legno presenta anomalie cromatiche legate a stress termici. La comparsa di tre anni consecutivi di anelli blu indica estati eccezionalmente fredde, evento rarissimo senza una forzante esterna.
    Parallelamente, le cronache europee riportano cieli “persistentemente velati”, scarsa luminosità lunare ed eventi meteorologici estremi, elementi tipici delle eruzioni ad alto impatto stratosferico.
  • Dalla crisi agricola alla geopolitica del grano. Il raffreddamento improvviso ridusse drasticamente i raccolti in Italia, Provenza e nel Levante mediterraneo. Le repubbliche marinare — grazie a secoli di relazioni con il Mar Nero — sfruttarono le loro rotte per importare grano dall’Orda d’Oro.
    Questo sistema commerciale, estremamente efficiente, permise di evitare carestie diffuse ma aprì un corridoio epidemiologico involontario.
  • Il vettore biologico: pulci, roditori e traffici mediterranei. Le navi cariche di grano trasportavano pulci infette da Yersinia pestis, ospitate su roditori selvatici e domestici. Le prime città esposte furono i porti mediterranei.
    L’elevata densità abitativa, l’assenza di misure igienico-sanitarie moderne e la mobilità tra città rese possibile una diffusione senza precedenti.

Perché proprio in quel momento? Secondo gli autori, il 1345 rappresenta un nodo storico in cui collasso climatico, vulnerabilità agricola, commercio globale pre-moderno e condizioni ambientali sono convergenti. È la prima volta che tali fattori vengono analizzati come ponte storico e naturale della pandemia di Peste Nera.

Lo studio conclude che l’interazione tra clima, sistemi produttivi e reti commerciali può amplificare il rischio di diffusione di patogeni zoonotici. Un modello che — osservano gli autori — risuona con eventi contemporanei, dalle recenti pandemie all’impatto dei cambiamenti climatici sulle catene globali.

0 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views