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Dallo spazio arrivano lampi blu luminosi: gli scienziati ora hanno una possibile spiegazione

Un nuovo studio guidato dall’Università della California, Berkeley, chiarisce l’origine di brevi e intensi lampi di luce blu osservati nello spazio, i cosiddetti LFBOT. L’analisi dell’evento più luminoso mostra che non si tratta di supernove e gas interstellare, ma di un’estrema distruzione stellare causata da un buco nero.
A cura di Valeria Aiello
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Uno degli enigmi più affascinanti dell’astrofisica moderna sembra aver trovato una risposta: qual è l’origine dei brevi e potentissimi lampi di luce blu e ultravioletta che arrivano dallo spazio profondo, comparendo e svanendo in pochi giorni, e lasciando dietro di sé deboli emissioni di raggi X e radio? Un nuovo studio internazionale guidato dagli astronomi dell’Università della California, Berkeley, propone la spiegazione più solida finora per questi eventi rari, noti come transienti ottici blu veloci luminosi (Luminous Fast Blue Optical Transient, o LFBOT).

Il lavoro, descritto in due articoli recentemente accettati dalla rivista The Astrophysical Journal Letters e disponibili su ArXiv (AT 2024wpp – analisi ottica/UV e AT 2024wpp – analisi Raggi X/Radio), si basa sull’analisi dell’LFBOT più luminoso mai osservato, scoperto nel 2024 e denominato AT 2024wpp. I risultati indicano che questi lampi non sono né supernove insolite né gas interstellare che cade in un buco nero, come ipotizzato in passato.

Illustrazione dell’origine di AT 2024wpp, l’LFBOT più luminoso finora osservato: un lampo blu prodotto dalla distruzione completa di una stella da parte di un buco nero  / Credit: Raffaella Margutti/UC Berkeley
Illustrazione dell’origine di AT 2024wpp, l’LFBOT più luminoso finora osservato: un lampo blu prodotto dalla distruzione completa di una stella da parte di un buco nero  / Credit: Raffaella Margutti/UC Berkeley

Secondo i ricercatori, gli LFBOT sono invece il prodotto di un’estrema distruzione mareale: un buco nero con una massa fino a 100 volte quella del Sole che, nel giro di pochi giorni, smembra completamente la sua stella compagna massiccia. Un processo violento e rapidissimo, capace di liberare enormi quantità di energia concentrata nelle lunghezze d’onda blu, ultraviolette e X.

Con poco più di una dozzina di eventi scoperti finora, gli LFBOT sono visibili a distanze che vanno da centinaia di milioni a miliardi di anni luce. Il primo, osservato nel 2014, è diventato celebre con il soprannome di “the Cow” (AT 2018cow), seguito da eventi chiamati Koala (Ztf 18abvkwla), Tasmanian Devil (diavolo della Tasmania, At 2022tsd) e Finch (Fringuello, At 2023fhn). AT 2024wpp – che forse verrà denominato Wasp (la Vespa) – si distingue nettamente: è tra cinque e dieci volte più luminoso della “Mucca” ed è stato osservato con una copertura senza precedenti.

A guidare lo studio è Raffaella Margutti, professoressa associata di astronomia e fisica a Berkeley, insieme a un team internazionale che ha utilizzato telescopi spaziali e terrestri per osservare l’evento lungo tutto lo spettro elettromagnetico. Tra questi figurano l’Osservatorio a raggi X Chandra della NASA, lo Swift-XRT, il NuSTAR, radiotelescopi come ALMA e ATCA, oltre agli osservatori ottici Keck, Lick e Gemini.

Lampi blu luminosi nello spazio: cosa rivelano i nuovi dati sugli LFBOT

L’analisi dettagliata di AT 2024wpp mostra che l’energia emessa è circa 100 volte superiore a quella di una normale supernova. Un valore incompatibile con qualsiasi modello di esplosione stellare tradizionale. “L’enorme quantità di energia irradiata da queste esplosioni è così grande che non può essere prodotta dal collasso e dall’esplosione di una stella massiccia” spiega Natalie LeBaron, studentessa laureata a Berkeley e prima autrice dello studio sulle emissioni ottiche e ultraviolette.

I dati suggeriscono che il sistema fosse composto da un buco nero e una stella massiccia, probabilmente una stella di Wolf-Rayet, con una massa superiore a 10 volte quella del Sole. Per lungo tempo, il buco nero avrebbe sottratto lentamente materiale alla compagna, avvolgendosi in un vasto alone di gas. Quando la stella si è avvicinata troppo, è stata fatta a pezzi dalle forze mareali, dando origine a un disco di accrescimento e a getti di materia espulsi a circa il 40% della velocità della luce, responsabili delle emissioni radio osservate.

La massa stimata del buco nero colloca l’oggetto in una categoria ancora poco compresa, talvolta definita di “massa intermedia”.

Gli LFBOT ci permettono di affrontare il problema dell’origine dei grandi buchi neri da una prospettiva completamente diversa” afferma Margutti. “Ci aiutano anche a capire dove si trovano all’interno delle loro galassie e come si formano sistemi così estremi”.

AT 2024wpp si trova in una galassia con formazione stellare attiva, coerente con la presenza di stelle giovani e massicce, ed è distante circa 1,1 miliardi di anni luce. Eventi di questo tipo sono rari — oggi se ne osserva circa uno all’anno — ma la situazione potrebbe cambiare presto.

Secondo Nayana Aj, borsista post-dottorato a Berkeley e prima autrice dello studio sulle emissioni radio e X, l’arrivo di nuovi telescopi spaziali dedicati all’ultravioletto, come ULTRASAT e UVEX, renderà possibile individuare questi fenomeni molto più rapidamente. “Quando avremo telescopi UV nello spazio, trovare LFBOT diventerà routine, come accade oggi per i lampi gamma” conclude.

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