Covid, quali sono le persone più a rischio con la nuova variante LP.8.1: le risposte di Giovanni Rezza

Dopo essere diventata dominante negli Stati Uniti, Regno Unito e Asia, la nuova variante del SARS-CoV-2, la LP.8.1, ha superato ora a livello globale la variante JN.1, da cui discende, diventando dominante in tutto il mondo. Lo ha annunciato l'Agenzia europea per i medicinali (EMA) il 19 maggio, raccomandando l'aggiornamento dei vaccini per adeguarli alle specificità della nuova variante in vista della prossima campagna vaccinale. Questo non significa però – come abbiamo spiegato in questo approfondimento – che i vaccini oggi disponibili siano diventati inutili.
Nonostante la rapida diffusione degli ultimi mesi, è bene chiarire che a inizio 2025 l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha assegnato a LP.8.1 lo status di "variante sotto monitoraggio", ma non quelle di "variante di interesse", né "variante di preoccupazione". Qual è la situazione attuale? Lo abbiamo chiesto al’epidemiologo Giovanni Rezza, ex direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute e attualmente professore di Igiene e Sanità Pubblica presso l'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Siamo davanti a una variante effettivamente più pericolosa delle precedenti?
Da quello che hanno rilevato i primi studi non sembrerebbe. Quello che lo studio su Lancet dice è che pur potendo evadere un po' di più la risposta immunitaria, allo stesso tempo la nuova variante sembrerebbe avere un'infettività minore rispetto a JN.1.
Tuttavia, LP.8.1 ha qualche mutazione in più rispetto a XEC, che già era mutata lievemente rispetto a JN.1. Quindi questo ulteriore passo che ha compiuto la nuova variante nell'allontanarsi rispetto a a JN.1 – alla quale mirano i vaccini oggi disponibili – ha portato gli esperti a pensare che sia il caso di adattare i prossimi vaccini alla nuova variante.
Cosa rischiamo?
Anche se c'è stata qualche mutazione in più, la variante appartiene pur sempre alla famiglia Omicron, la stessa delle varianti JN.1 e della XEC (che deriva dalla prima). Quello che si sospetta oggi è che questo nuovo lignaggio possa a poco a poco sostituirsi a XEC. Però l'effetto che potrebbe avere sulla popolazione mondiale non è facilmente prevedibile, perché gli studi finora non hanno rilevato né una maggiore infettività, né una diversa aggressività clinica. Il possibile impatto è ancora da definire.
Potrebbe esserci una nuova ondata significativa?
In genere, quando ci sono piccole mutazioni rispetto a un lignaggio precedente si potrebbe avere una piccola ondata, però senza un grande impatto sulla popolazione. Questo almeno è quello che ci si aspetta, poi ovviamente non possiamo fare previsioni certe.
Ma la maggiore evasività dipende dal virus in sé o dal fatto che ci siamo vaccinati tempo fa?
Dipende dalle caratteristiche del virus, perché quelle mutazioni intervenute lo rendono più efficace nell'evadere la risposta immunitaria prodotta, sia dalla composizione del vaccino sia da eventuali infezioni precedenti. Poi, su questo punto, ci sono due informazioni apparentemente in contrasto.
Quali sono?
Da una parte sembra che il virus abbia sviluppato una maggiore affinità per alcuni recettori tali che gli consentirebbero di legarsi più facilmente alle cellule umane. Abbiamo però altre evidenze che parlano di una minore infettività. Per ora è difficile fare previsioni. Ma se c'è una maggiore immunoevasività, ma una minore infettività, uno si può aspettare che questa questo lignaggio vada a sostituire i precedenti, ma senza dare un grande impatto clinico.
Ovviamente, se ci sono tante persone che non si vaccinano da molto tempo, parliamo soprattutto dalle persone fragile o anziane, un nuovo lignaggio potrebbe esporle a un maggiore rischio di infezione, in qualche caso anche in forma più grave. Ma questo non dipende tanto dalle mutazioni del virus quanto dalle condizioni dell'ospite. Ecco perché è fondamentale continuare a vaccinare i fragili e gli anziani.