Cosa ha reso Maria Branyas Morera la donna più anziana del mondo: uno studio rivela i segreti della sua salute

Maria Branyas Morera, la donna che deteneva il record di persona vivente più anziana del mondo prima di morire nel 2023 all’età di 117 anni, custodiva segreti chiave che hanno contributo alla sua longevità straordinaria. Un nuovo studio pubblicato su Cell Reports Medicine ha cercato di identificare i fattori che le hanno permesso di mantenere una salute eccezionale anche in età avanzata, rivelando caratteristiche in grado di spiegare la sua resistenza alle malattie.
I ricercatori hanno infatti individuato specifiche varianti genetiche che la proteggevano da comuni patologie legate all’età, come malattie cardiache e cancro, e scoperto che la sua flora intestinale erano molto più simile a quella di una persona molto giovane. In particolare, un noto batterio benefico chiamato Bifidobacterium, essenziale per la salute intestinale ma che in genere diminuisce negli individui più anziani, era presente in elevate quantità.
“Si ritiene che il Bifidobacterium sia un batterio benefico che contribuisce, tra gli altri processi, alle risposte antinfiammatorie – hanno precisato gli autori dello studio, guidati dal dottor Eloy Santos-Pujol, studente di dottorato presso il laboratorio del Professor Manel Esteller presso l’Istituto di ricerca Josep Carreras dell’Università di Barcellona – . La scoperta di elevate quantità contrasta nettamente con il tipico declino osservato negli individui più anziani e si collega ai bassi livelli di marcatori di infiammazione osservati”.
I segreti dietro l’eccezionale longevità di Maria Branyas Morera
Oltre alla genetica e alla flora intestinale, lo studio ha evidenziato che Maria Branyas Morera aveva un epigenoma più giovane rispetto alla sua età anagrafica: questo significa che la sua età biologica – valutata mediante l’accumulo di modifiche epigenetiche (come la metilazione del DNA) che si verificano nel tempo – era inferiore di decenni rispetto a quella reale.

Ciò ha suggerito che Maria Branyas Morera sia invecchiata meno velocemente di come avrebbe dovuto, nonostante la donna presentasse i normali segnali di invecchiamento, come telomeri accorciati (le estremità dei cromosomi) e una popolazione anziana di un tipo di globuli bianchi chiamati linfociti B.
“I nostri risultati offrono una nuova prospettiva sulla biologia dell'invecchiamento umano, suggerendo biomarcatori per un invecchiamento sano e potenziali strategie per aumentare l’aspettativa di vita – hanno evidenziato i ricercatori – . La longevità umana estrema sembra essere caratterizzata dalla coesistenza di due distinti e potenzialmente non correlati insiemi di caratteristiche all’interno dello stesso individuo: da un lato, ci sono biomarcatori caratteristici dell'età molto avanzata, come telomeri accorciati, mutazioni clonali associate all’ematopoiesi o una popolazione di cellule B invecchiata; dall'altro, ci sono tratti (epi)genetici sani e funzionali dell’ambiente tissutale preservati simultaneamente”.
Quest’ultimo scenario è stato evidenziato dalla presenza di varianti genetiche protettive contro malattie comuni (come, ad esempio, disturbi cardiovascolari, diabete e neurodegenerazione), un metabolismo lipidico efficiente, un microbioma intestinale antinfiammatorio e un epigenoma associato alla stabilità cromosomica e all’invecchiamento epigenetico rallentato. “Tutti questi risultati – hanno concluso gli studiosi – illustrano come invecchiamento e malattia possano, in determinate condizioni, disaccoppiarsi, sfidando la percezione comune che siano indissolubilmente legati”.