Cibi ultraprocessati e rischi per la salute: tre studi su The Lancet, l’esperta italiana Bonaccio tra gli autori

I cibi ultraprocessati stanno progressivamente sostituendo alimenti freschi e tradizionali in tutto il mondo, con impatti misurabili sulla qualità complessiva della dieta e sulla salute umana. Lo evidenziano tre nuovi studi pubblicati nelle Series di The Lancet, collezioni tematiche di articoli scientifici dedicate ai grandi temi della medicina e della salute pubblica. Secondo gli esperti, il crescente consumo di cibi ultraprocessati è collegato a danni a tutti i principali organi, rappresentando una minaccia urgente per la salute globale.
A sottolineare la rilevanza di questi dati per il contesto italiano è la Marialaura Bonaccio, ricercatrice dell’Unità di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli (IS) coinvolta nel Progetto Moli-sani e co-autrice del primo dei tre articoli su The Lancet.
“La diffusione degli alimenti ultra-processati – evidenzia Bonaccio – sta modificando in profondità il nostro modo di mangiare e di intendere l’alimentazione”.
Anche in Italia, dove il modello alimentare della dieta mediterranea è ancora dominante, stiamo assistendo a una progressiva sostituzione di cibi freschi e preparazioni domestiche con prodotti industriali pronti al consumo, spesso ricchi di zuccheri, grassi e additivi. “Questo cambiamento, da noi ampiamente riscontrato nell’ambito del Progetto Moli-sani, non riguarda solo la qualità nutrizionale, ma anche gli aspetti sociali e culturali legati al cibo, che rappresentano parte integrante del benessere collettivo” afferma Bonaccio.
L’analisi evidenzia come comprendere e contrastare questa trasformazione sia oggi una priorità di salute pubblica, che richiede politiche mirate e un rinnovato impegno nella promozione di abitudini alimentari sane e sostenibili.
Cibi ultraprocessati: cosa emerge dai tre studi su The Lancet
Le prove raccolte nei tre studi pubblicati su The Lancet indicano che le diete le diete ricche di alimenti ultra-processati sono associate a una scarsa qualità nutrizionale, sovralimentazione e maggiore esposizione a additivi e sostanze chimiche nocive.
Nel primo dei tre articoli, una revisione sistematica di 104 studi pubblicati il 2016 e il 2024, ha rilevato che 92 analisi hanno riportato rischi maggiori per malattie croniche e mortalità precoce, includendo sovrappeso, obesità addominale, diabete di tipo 2, ipertensione, dislipidemia, malattie cardiovascolari e cerebrovascolari, malattie renali croniche, morbo di Crohn, depressione e mortalità per tutte le cause.
Tra gli autori, spicca il contributo del professor Carlos Monteiro dell’Università di San Paolo, in Brasile, inventore della classificazione Nova utilizzata per valutare il consumo degli cibi ultratprocessati negli studi epidemiologici. “I risultati indicano che gli alimenti ultra-processati danneggiano tutti i principali organi e sistemi del corpo umano – ha osservato l’esperto – . Le prove suggeriscono fortemente che gli esseri umani non siano biologicamente adattati a consumarli”.
Il secondo articolo della serie propone politiche per regolamentare e ridurre la produzione, la commercializzazione e il consumo degli alimenti ultraprocessati. Sebbene alcuni Paesi abbiano introdotto norme per riformulare gli alimenti e controllare questi prodotti, “la risposta globale in materia di salute pubblica è ancora agli albori, simile a quella del movimento per il controllo del tabacco decenni fa” si legge nel documento.
Il terzo articolo afferma che sono le multinazionali, non le scelte individuali, a guidare l aumento del consumo di cibi ultraprocessati. Questi cibi sono è una delle principali cause della “pandemia di malattie croniche” legata all’alimentazione, con le aziende alimentari che mettono il profitto al di sopra di ogni altra cosa.
Nel complesso, la serie propone un approccio globale che unisca ricerca scientifica, politiche pubbliche e partecipazione sociale, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dai prodotti ultraprocessati, proteggere la salute pubblica e promuovere sistemi alimentari più equi e sostenibili.