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Alzheimer, molti casi di demenza sarebbero in realtà una malattia del fegato curabile: com’è possibile

Un team di ricerca statunitense ha determinato che fino al 10% dei casi di demenza possono essere in realtà legati all’encefalopatia epatica (HE), una malattia del fegato che può scatenare sintomi simili all’Alzheimer. Grazie ai farmaci il deterioramento delle funzioni cerebrali può essere ripristinato, per questo gli autori del nuovo studio invitano i medici a sottoporre i pazienti con demenza a screening per la malattia epatica.
A cura di Andrea Centini
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Una certa quota di persone con diagnosi di demenza potrebbe avere in realtà una malattia del fegato che determina sintomi simili, legati al deterioramento delle funzioni cerebrali e dunque che sfociano nel declino cognitivo. È quanto emerso da un nuovo studio che ha indagato su un numero significativo di casi, in base al quale fino al 10 percento delle persone con diagnosi di demenza potrebbe avere l'encefalopatia epatica (HE), una condizione difficile da distinguere clinicamente dalla condizione neurologica come l'Alzheimer.

Come spiegato dagli autorevoli Manuali MSD per operatori sanitari, “l’encefalopatia epatica si verifica nei soggetti con epatopatia grave e consiste nel deterioramento delle funzioni cerebrali dovuto all’accumulo nel sangue di sostanze tossiche, normalmente rimosse dal fegato, che raggiungono il cervello”. Il dettaglio più significativo dei risultati della nuova ricerca risiede nel fatto che i sintomi della malattia epatica sono curabili con i farmaci e dunque reversibili; alla luce di ciò gli autori del nuovo studio raccomandano ai colleghi che seguono pazienti con demenza di prescrivere screening per la malattia epatica, in grado di far emergere i potenziali casi di encefalopatia e cirrosi epatica.

A condurre il nuovo studio è stato un team di ricerca statunitense guidato da scienziati della Virginia Commonwealth University e del Richmond VA (Veteran Affairs NDR) Medical Center, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di numerosi istituti; fra essi il Dipartimento di Medicina dell'Università di Pittsburgh, il Sistema sanitario VA di Long Beach; il Dallas VA Medical Center e altri. I ricercatori, coordinati dal professor Jasmohan S. Bajaj, docente presso il Dipartimento di Medicina dell'ateneo della Virginia, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i casi di circa 180.000 veterani con età media di 78 anni, diagnosi di demenza e nessuna diagnosi precedente di cirrosi epatica. La popolazione era composta per il 97,1 percento da uomini, l'80,7 percento bianchi, pertanto assolutamente non rappresentativa della popolazione globale, ma i risultati sono comunque significativi. Il professor Bajaj e colleghi hanno analizzato statisticamente i dati clinici dei pazienti, in particolar modo quelli del sangue, al fine di ottenere quello che gli esperti chiamano punteggio FIB-4. Come spiegato in un articolo su The Conversation dal professor Ashwin Dhanda, docente di Epatologia presso l'Università di Plymouth, tale punteggio “può essere utilizzato per prevedere il danno epatico”.

Ebbene, fino al 10 percento dei partecipanti – oltre 18.000 persone – aveva un punteggio FIB-4 superiore a 3,25, che è indicativo di fibrosi epatica avanzata. “I ricercatori hanno scoperto che un punteggio FIB-4 elevato era più comune nei soggetti con epatite virale e nei forti consumatori di alcol, fattori di rischio per malattie del fegato. Un punteggio elevato era meno probabile nelle persone che avevano diabete, ipertensione o malattie renali, tutti fattori di rischio per la demenza. Ciò suggerisce che le persone con un punteggio FIB-4 elevato potrebbero effettivamente avere una encefalopatia epatica che causa i loro sintomi piuttosto che la demenza”, ha affermato il professor Dhanda. Lo scienziato ha spiegato che questa malattia epatica provoca sintomi simili alla demenza poiché, quando il fegato viene danneggiato a lungo – ad esempio da alcol, depositi di grasso e virus dell’epatite – l'organo si cicatrizza innescando cirrosi e non è più in grado di svolgere “uno dei suoi compiti critici”, ovvero “disintossicare il sangue”. “Le tossine (soprattutto ammoniaca) possono accumularsi ed entrare nel cervello, interferendo con la funzione cerebrale. Questa è l' encefalopatia epatica”, spiega Dhanda.

I sintomi e i segni che possono scaturire da questa condizione sono confusione, disorientamento, sonnolenza, cambiamenti nella personalità, nel comportamento e nell’umore, spiegano i Manuali MSD, pertanto in alcuni casi possono essere confusi con la demenza. “Man mano che la condizione peggiora, emergono sintomi come dimenticanza, disorientamento o confusione. Nella sua forma più grave può causare coma e morte”, evidenzia Dhanda. Ma a differenza di quelli della vera demenza, i sintomi dell'encefalopatia epatica possono essere curati efficacemente. “Se si elimina la causa scatenante e si assume lattulosio (un lassativo) e rifaximina (un antibiotico), si contribuisce alla scomparsa dei sintomi”, sottolineano i Manuali MSD. Il lassativo cancella infatti ammoniaca e tossine che si accumulano nell'intestino, mentre l'antibiotico uccide i batteri che producono le sostanze responsabili dei sintomi. Quando la malattia è molto grave può comunque essere previsto il trapianto di fegato.

I risultati del nuovo studio sono molto interessanti, ma vanno comunque presi con cautela. Come specificato dal professor Dhanda, il FIB-4 infatti “è un punteggio utile e facilmente calcolabile, ma la precisione dipende dalla causa della malattia epatica ed è inferiore nelle persone anziane”. Inoltre avere un punteggio elevato “non significa necessariamente che la persona sia affetta da encefalopatia epatica”. E non vanno dimenticate le caratteristiche della popolazione dello studio, principalmente composta da uomini bianchi. Ma ciò non toglie che indagare sulla malattia epatica in casi sospetti di demenza possa essere una pratica da incoraggiare. I dettagli della ricerca “Undiagnosed Cirrhosis and Hepatic Encephalopathy in a National Cohort of Veterans With Dementia” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica JAMA.

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