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I barbari erano anche un po’ “italiani”: una nuovo studio sul Dna dei Longobardi lo conferma

Il nuovo studio ha coinvolto numerose istituzioni di ricerca italiane ed estere, giungendo ad un risultato importantissimo nello studio della storia delle invasioni del VI secolo: le popolazioni del Nord Europa e quelle dell’Italia settentrionale condividono lo stesso patrimonio genetico. Siamo, insomma, molto più “simili” ai barbari di quanto pensiamo.
A cura di Federica D'Alfonso
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I Longobardi erano molto più “italiani” di quanto si pensa: un nuovo studio realizzato da un team internazionale di ricerca ha rivelato che fra le popolazioni barbare del VI secolo d. C. e quelle stanziate nell’Italia settentrionale esisteva una relazione molto stretta. L’ipotesi dei “barbari invasori” potrebbe essere rimpiazzata da quella di un lento e graduale avvicinamento di due popoli e due culture che condividevano non solo usi e costumi, ma anche lo stesso patrimonio genetico.

La ricerca, la prima e più esaustiva degli ultimi cinquant’anni, ha coinvolto un team internazionale di esperti di diversi settori, dagli antropologi agli archeologi fino ai genetisti. Un progetto di ampio respiro, partecipato da numerosi istituti di ricerca come l’Università Stony Brook di New York, l’Institute for Advanced Study di Princeton e l’Università di Jena. Molti anche gli italiani: l’Università di Padova, l’Università Cattolica di Milano e quelle di Sassari e Ferrara hanno giocato un ruolo centrale nel raggiungimento dei risultati.

Risultati che gettano nuova luce sulla storia delle invasioni barbariche, frutto di un mescolamento culturale e genetico più che di una vera e propria “colonizzazione”: prima di oggi si è ritenuto che le popolazioni stanziate nell’attuale Ungheria e quelle del Nord Italia fossero appartenenti a due ceppi distinti, sia dal punto di vista culturale ma soprattutto genetico. La nuova ricerca ha dimostrato che non è così.

Lo studio: più simili di quanto pensiamo

I risultati sono stati pubblicati nella giornata di ieri sulla rivista Nature Communications, in un lungo e dettagliato articolo che spiega tutte le fasi di realizzazione dello studio: i rilevamenti sono stati effettuati in due cimiteri del VI secolo, uno situato in Ungheria e l’altro nei pressi di Torino, luoghi chiave per studiare la storia delle migrazioni barbare in Italia. Sono state 63 le tombe analizzate fra Szólád e Collegno, con risultati a dir poco rivoluzionari.

In entrambe le necropoli è emersa una disposizione delle tombe su un principio molto particolare: ciascuno dei due cimiteri sembra organizzato attorno ad un grande albero genealogico in cui le relazioni genetiche fra gli individui sono molto più strette e decisamente meno casuali di quello che si credeva. Le sepolture si riuniscono intorno a due ceppi famigliari diversi, che però fra di loro hanno molto in comune: sono stati individuati gli elenchi completi dei discendenti delle persone sepolte fra Italia e Ungheria che, sorprendentemente, hanno molto in comune fra loro.

Le sepolture sono organizzate, spiega l’articolo, in un gruppo centrale prevalentemente maschile circondato da un altro anello di sepolture appartenenti a individui femminili. Fin qui nulla di straordinario se non fosse che questa disposizione concentrica, oltre alla procedura di sepoltura e ai monili e suppellettili rinvenuti nei due cimiteri, sia comune ad entrambe le necropoli: confermando così l’idea che ci sia molta più comunanza di quanto si è creduto fino ad ora fra le popolazioni barbare del Nord Europa e quelle autoctone dell’Italia settentrionale.

Tali rilevazioni confermano, secondo gli studiosi, l’ipotesi di migrazioni a lunga distanza fra Pannonia e Italia, confutando quella di una improvvisa e rapida conquista da parte dei barbari: una lunga storia fatta di tradizioni, rapporti personali e legami “di sangue” che, probabilmente, sono andate molto oltre le differenze culturali.

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