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Hans Magnus Enzensberger e l’Europa fra burocrazia e potere

Con “Il mostro buono di Bruxelles” il poeta Hans Magnus Enzensberger ci guida in un percorso alla ricerca dei motivi strutturali di inconsistenza politica delle istituzioni sovranazionali europee.
A cura di Luca Marangolo
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German author Hans-Magnus Enzensberger (

Chi è Hans Magnus Enzensberger? È l’autore di questi versi:

Qualcuno ascolta. Aspetta. Trattiene

il fiato… Mai più, dice,

sarà tutto così quieto,

così asciutto e caldo com’è…. Nessuno bussa. Nessuno invoca.

Tace la radio. O è già finito,

mi dico, oppure non è ancora incominciato.

Adesso però! Ecco:

Uno scricchiolio. Uno scalpiccio. Uno squarcio…. Un tremito cristallino

che si affioca

e svanisce.

Ecco com’era. Era così? Sì,

così dev’essere stato.

Così fu il principio. Il principio della fine

è sempre discreto.”

(L’incipit de “La Fine del Titanic”, canto I, Einaudi, 1990)

È pur vero che al di sotto delle Alpi lo si conosce per lo più per alcune famose gag di Nanni Moretti e Renato Carpentieri sulla boria degli intellettuali in "Caro diario". Un nome altisonante adatto per stimolare l’immaginario sui letterati sentenziosi sepolti nei salotti borghesi. Hans Magnus Enzensberger è un poeta fra i più quotati di quelli che scrivono in tedesco, è un autore di libri per bambini sulla matematica, studioso di biologia, di statistica, di scienze in generale e di sociologia. È una specie di mosca bianca perché sembra ritenere che uno scrittore debba occuparsi di tutto, sapere tutto, indagare, polemizzare. Se si potesse descrivere in un modo si direbbe che è uno scrittore che (giustamente) non ha pietà nei confronti della scrittura e della letteratura. Non ha pietà nel senso che vuole a tutti i costi rompere schemi sociali stupidi, non concede a chi è interessato alla scrittura di potersi isolare dal mondo e godere di un linguaggio cristallizzato e instupidito. In definitiva Enzensberger aspira ad essere un “intellettuale civile”,  una categoria di cui solo recentemente è tornata domanda, anche sui mass media italiani, e cerca in ogni modo di ricavarsi  spazio per farsi sentire. Si aggiunga che lo fa almeno da trent'anni. Per questo, fra le sue diverse attività, aggiunge anche quella di autore di una serie di pamphlet polemici che arrivano in Italia dopo qualche anno. L’ultimo è stato tradotto da poco, da Einaudi.

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La traduzione in italiano è "Il mostro buono di Bruxelles. L’Europa sotto tutela". Questa traduzione non rende molto, forse, perché in tedesco l’aggettivo tradotto con “buono” è “sanftcioé piuttosto  “calmo”,  “soft”, “placido”. Chi conosce la parabola politica di Enzensberger potrebbe un po’ stupirsi leggendo, perché l’autore ha fama di essere un convinto sostenitore dell’Europa e qui troverà una filippica contro l’Unione Europea. Il testo, di un centinaio di pagine, è una sorta di indagine grottesca sull’Europa vista come superfetazione burocratica. La struttura, apparentemente semplice, è piuttosto sofisticata. Inizia con l’osservare i modi in cui in Europa, grazie all’Unione, la politica si è pacificata. Poi, lentamente, verifica con sarcasmo che i mezzi attraverso cui l’Unione Europea si è imposta su tutto il continente, passa attraverso una grigia superficie fatta di immagini plastificate, uffici beige composti di sale e sale rivestite di moquette in cui siedono una miriade di burocrati che si fregiano di titoli gerarchici seguiti da sigle per lo più incomprensibili: “ Acer, Cedefop, CdT, Cepol, Cfca, Cpvo, Eacea, Ehac, Easa, Eawi, Ecdc, Echa, Eda, Eea, Efr, Efsa, Eige, Eit, Emccda, Emea, Emsa, Enisa.” (p. 31). All’interno dei parallelepipedi luccicanti nel centro delle città antiche del vecchio continente, del resto, in questi uffici, si prendono decisioni importanti per il futuro del capitalismo e del commercio europei, come il colore e la consistenza di rape e zucchine da vendere sul mercato comune o la lunghezza e la capienza dei preservativi. Tutte queste importanti decisioni che illustra Enzensberger sono alla base di quella che già Michel Foucault chiamava la “microfisica del potere”, forme di disciplinamento piccole, variegate e costanti che hanno lo scopo di creare un apparato di controllo che possa gestire la vita delle persone centralizzando il potere. Non è un caso che, per Enzensberger, il fondatore vero dell’Unione Europea sia stato un tal Jean Mallet, un burocrate lontano dalle cronache politiche eppure così determinante, nel quadro che l’autore ne fa, a spingere i governi nazionali verso la prima unione commerciale, dell'acciaio e del carbone. Lo schizzo della figura di Mallet, nel percorso di Enzensberger, col suo essere quella di un fosco faccendiere celato dietro il potere politico, sembra caratterizzare al meglio la visione ostentata delle istituzioni europee.

Proprio Enzensberger, che all’interno della sinistra tedesca era stato fra i più ferventi promotori dell’Unione Europea, è una voce pressocché unica, in Germania, ad aver sentito di dover costruire una lucida critica. Non c’è dubbio che oggi in Italia sia in voga  polemizzare con l’Unione Europea, ma assimilare questo saggio alla critica strumentale offerta da alcune correnti politiche e parlamentari oggi sarebbe parimenti sbagliato. Al di là del merito, è interessante notare che il saggio, in Germania, è uscito quasi a ridosso della caduta del governo di centrodestra (nel 2011) e l’instaurazione del governo tecnico. Insomma come uno squarcio fra realtà parallele, proprio questo testo, scritto nella ricca e dominante Germania al tempo della crisi più acuta del debito bancario in Italia, sembra essere il non casuale disvelamento dei meccanismi che hanno causato l’essenziale fragilità politica dell’unione europea, fragilità dovuta essenzialmente da interessi diversi, fra i diversi membri, da dover tutelare. È stata proprio questa fragilità a consentire l’irresponsabilità dei governi, fra cui quello italiano, che hanno contribuito alla crisi economica: irresponsabilità derivante, essenzialmente, dalla non volontà di credere fino in fondo alla nascente Europa. Questo ha relegato le istituzioni burocratiche a mero paravento di interessi circostanziati e (questa è anche la tesi del libro) ha sottratto la sovranità non necessariamente nazionale, ma democratica, ai cittadini Europei. La visione che ne sorge è, in altri termini, quella di un’insieme di istituzioni ridotte a terreno di confronto muscolare per gli interessi della classe dirigente, un luogo di istituzioni lontane dalla pubblicità mediatica – eppure molto potenti – in cui tali classi, nei diversi paesi, possono confrontarsi nei loro interessi senza dover rispondere a chi le ha elette.

Il senso del titolo “il mostro ‘soft’ ” sta proprio in questo:  un insieme di istituzioni in grado di disporre di un grande potere presso coloro che vi fanno riferimento senza esercitare alcuna violenza, né concreta né mediatica, ma fornendo alla lunga un paravento per i difetti insiti nelle democrazie nazionali. Si potrebbero adattare alla situazione dei cittadini europei alcuni versi de la Fine del Titanic, l’opera poetica “dantesca” più sofisticata di Enzensberger:

“Dopo, naturalmente, tutti l'avevano già previsto; eccetto noi, i morti. Dopo che ci fu un pullulare

di premonizioni, di filmati e d'insinuazioni. (…)

Le penultime parole di un corpulento signore,

ad esempio rivolte a un altro corpulento signore

senza il minimo sospetto, poco prima di salpare:

Iddio in persona non sarebbe in grado di fare

affondare questo piroscafo – noi non le abbiamo sentite. Noi

saimo morti, noi non sapevamo nulla…"

Solo rifondendo di un nuovo spirito democratico le istituzioni sovranazionali, richiama l’autore, alla lunga, l’Europa può sopravvivere.

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