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Groucho Marx: 40 anni fa moriva il genio che fece della comicità un lavoro serio

Il 19 agosto di quarant’anni fa moriva Groucho Marx. La comicità era per lui un lavoro più che serio: “Le persone ridono di noi comici, non credo che capiscano davvero quanto siamo essenziali per la loro salute mentale”.
A cura di Federica D'Alfonso
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Groucho Marx negli anni Trenta
Groucho Marx negli anni Trenta

Il 19 agosto del 1977 muore Julius Henry “Groucho” Marx. Occhiali, sigaro e baffi neri, la sua inconfondibile maschera “grouchy”, musona, ha caratterizzato un’epoca. Il suo profilo irriverente ed ironico ha fatto storia: una storia che inizia nel primo decennio del Novecento nei piccoli teatri di varietà degli Stati Uniti, prosegue passando per Broadway fino ad arrivare ad un Oscar alla carriera nel 1974. Un’arte comica immensa, che fece innamorare Fellini e Woody Allen e che oggi, a quarant'anni dalla scomparsa, resta memorabile.

Il successo: da Broadway al cinema

Insieme al tipo ironico e sopra le righe che era Groucho, negli anni del successo teatrale si esibiscono i fratelli “Chico”, emblema del bullo immigrato dall'accento italiano, e “Harpo”, silenzioso e un po’ ritardato. Ma su tutti spicca lui, esperto nella tecnica dell’improvvisazione e geniale nell'inventare anche al momento strabilianti giochi di parole: disprezzo per le convenzioni sociali e sorriso beffardo nei confronti dei potenti, queste le armi nell'arsenale del giovane Groucho.

Armi che si affinano col tempo, durante le lunghe tournée degli anni Venti seguite al primo successo della commedia “I’ll Say She Is”, e che esploderanno con irriverenza nei primi film per il grande schermo: “Noci di cocco”, del 1929, e “La Guerra Lampo dei fratelli Marx” del 1933 resteranno per sempre iscritti del novero della comicità più pura, propria solo di grandi geni come Buster Keaton e Charlie Chaplin. Successi come “Una notte all’opera” e “Un giorno alle corse” conquistarono a Groucho l’ammirazione eterna di registi come René Clair e Federico Fellini, e un fan d’eccezione: si racconta che il semiologo Roman Jakobson saltasse le lezioni universitarie per andare a vederlo al cinema.

Groucho, uno scrittore da “prime edizioni”

Dopo le fantastiche esperienze del teatro e del cinema, e rotto il sodalizio con gli altri fratelli, Groucho Marx lavora per lungo tempo anche in televisione e in radio. Ma il musone Groucho fu anche scrittore: all'epoca, molto probabilmente penalizzata dall’enorme successo raggiunto sul piccolo e grande schermo, la sua produzione letteraria fu discontinua ma comunque brillante: già dagli anni Venti aveva lavorato per importanti giornali come il New Yorker, il Chicago Times e il New York Herald Tribune, ma il “lavoro” dello scrittore non gli apparteneva se non con quella malcelata ironia con la quale Groucho trattava anche se stesso.

Sarei diventato uno scrittore. Mi cucii delle toppe di cuoio sui gomiti delle giacche, rinunciai ai sigari per la pipa e cominciai a farcire i miei discorsi di parole come cacofonico e parentale. Non ci volle molto perché gli editori facessero la fila per la mia prima opera.

Si tratta di “Beds”, pubblicato nel 1930: una raccolta di pezzi umoristici che descrivono il rapporto delle persone con il proprio letto. La critica non apprezzò, così come il pubblico: del libro vennero vendute solo 5 mila copie, e anche in futuro l’attività letteraria di Groucho non ebbe mai grande successo.

Sia il successivo “Many Happy Retturns” che “Memorie di un irresistibile libertino” rimasero nell'ombra di un personaggio nato per il contatto diretto col pubblico: lui stesso, molto probabilmente, non si sentiva né voleva essere uno scrittore. I libri vendono poco, tanto da far dichiarare a Groucho (scherzosamente): “Io scrivo solo prime edizioni”.

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