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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

Violenza, sfratti e slogan razzisti: cosa rappresenta la marcia dell’estrema destra israeliana a Gerusalemme Est

Migliaia di israeliani di estrema destra hanno marciato lunedì nei quartieri arabi di Gerusalemme Est cantando “Gaza è nostra”, “Morte agli arabi”: ecco perché mirano al controllo della città e alla deportazione dei palestinesi.
A cura di Giuseppe Acconcia
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Migliaia di israeliani di estrema destra hanno marciato lunedì nei quartieri arabi di Gerusalemme Est cantando “Gaza è nostra”, “Morte agli arabi”, “In fiamme i loro villaggi”. La marcia che si tiene tutti gli anni ricorda l’occupazione israeliana, non riconosciuta dalla comunità internazionale, di Gerusalemme Est nella guerra del 1967. Se è il comune di Gerusalemme ad organizzare ogni anno l’evento, la manifestazione con il passare degli anni ha assunto sempre più connotazioni razziste e
antipalestinesi, con attacchi deliberati e violenti contri i palestinesi che vivono nei quartieri arabi.

Gli attacchi razzisti contro i palestinesi

Quest’anno più che mai l’evento è stato accompagnato da attacchi e molestie contro negozianti e passanti, con blitz contro bar, negozi e case private dei palestinesi. “Chiudi immediatamente o non potrò proteggerti”, ha detto un poliziotto israeliano al proprietario di una caffetteria quando ha protestato per i furti subìti per mano di un giovane religioso sionista. E così gran parte dei negozi sono rimasti chiusi durante la marcia mentre i residenti si sono barricati in casa.

“Fanno sentire i residenti di Gerusalemme Est come se non appartenessero al posto, insicuri”, ha spiegato Aviv Tatarsky che lavora per un negozio di commercio equo e solidale. Il gruppo più numeroso ha raggiunto la Porta di Damasco nella giornata di lunedì echeggiando “Gaza è nostra” e minacciando la completa annessione della Striscia. Un altro gruppo faceva riferimento alla “nuova Nakba”, la “catastrofe” del 1948 quando 700mila palestinesi vennero espulsi dalle loro terre in
seguito alla fondazione dello stato di Israele.

A organizzare la marcia di quest’anno è stata l’organizzazione non-profit “Am K’Lavi”, guidata da Baruch Kahane, figlio del rabbino suprematista Meir Kahane che ha fondato il partito di estrema destra Kach, proibito nel 1980 e poi riabilitato. Nonostante le violenze, c’era una presenza modesta di polizia a Gerusalemme Est ma gli agenti non hanno fatto nulla per proteggere i palestinesi. Mentre i militanti del gruppo Standing Together hanno fatto da servizio d’ordine per evitare
un’escalation delle violenze.

Lo status quo e la moschea di al-Aqsa

Tra i partecipanti alla marcia razzista non poteva mancare il ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, grande sostenitore dei coloni radicali, che per l’ennesima volta ha compiuto la sua passeggiata provocatoria alla moschea di al-Aqsa. I continui attacchi al così detto “status quo” di questa storica moschea, che è un luogo di preghiera per i musulmani e solo di visita per i non-musulmani, con i continui raid della polizia israeliana, hanno contribuito più di una volta all’avvio
delle violenze negli ultimi anni. Come se non bastasse, durante la marcia dello scorso lunedì, centinaia di militanti di estrema destra hanno attaccato la moschea di al-Aqsa mentre Ben Gvir ha rivendicato che sarà possibile pregare per gli ebrei nella Spianata delle Moschee (Monte del Tempio per gli ebrei) continuando a violare di fatto lo status quo.

Anche il premier, Benjamin Netanyahu, non è stato da meno ospitando l’ultimo Consiglio dei ministri proprio nel quartiere occupato di Gerusalemme Est di Silwan. Lo ha fatto ignorando gli avvisi dell’Intelligence israeliana (Shin Bet) che ha avvisato che la mossa avrebbe provocato una reazione incontrollata dei palestinesi. Netanyahu ha rivendicato che “Gerusalemme Est resterà unita sotto il controllo israeliano” dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 che hanno causato 1200 morti
israeliani, oltre 250 ostaggi (59 dei quali ancora in mano ad Hamas, con 24 ancora in vita) e il genocidio di oltre 52mila palestinesi.

“Il passato viene armato da coloni motivati a deportare i palestinesi, demolire le loro case, ricreare una nuova visione di uno pseudo-antico Israele. Questo è il luogo, il più contestato tra tutti, dove Netanyahu ha deciso di celebrare l’occupazione di Gerusalemme Est”, ha commentato Danny Seidemann, un giurista israeliano. Nel 2021 le autorità israeliane superarono ogni linea rossa mandando la polizia a Haram al-Sharif (la Spianata delle moschee), entrando nella moschea di al-Aqsa e nella moschea della Roccia. La marcia di quattro anni fa provocò 11 giorni di gravi violenze tra Israele e Hamas. Ma in più
occasioni la polizia ha impedito ai musulmani di pregare, come avvenne nel 2021 nella notte più importante dell’anno (Laylat al-Qadr, una delle notti che segna la fine del Ramadan).

I quartieri di Sheikh Jarrah e Silwan a Gerusalemme Est

Uno delle più grandi controversie irrisolte del conflitto israelo-palestinese è proprio lo status di Gerusalemme Est, la possibile capitale di uno stato palestinese, insieme al destino della sua popolazione. I 200mila palestinesi che vivono nei quartieri arabi di Gerusalemme impediscono il completo controllo israeliano della città. E così nei quartieri di Silwan e Sheikh Jarrah il metodo usato è di rivendicare le proprietà degli ebrei, in altre parti è di spedire i palestinesi in Cisgiordania
e in altri casi ancora è l’uso di una crescente pulizia etnica per avere il completo controllo della città. Qui gli Stati Uniti di Donald Trump hanno deciso di trasferire la rappresentanza diplomatica di Washington da Tel Aviv, durante il suo primo mandato.

Gerusalemme è considerata una città santa per musulmani, ebrei e cristiani. Sia gli israeliani che i palestinesi rivendicano la città come la loro capitale. Sin dalla fondazione dello stato di Israele nel 1948 la città è stata divisa in due con Israele che controlla i quartieri occidentali e la Giordania che prese il controllo dei quartieri orientali, che includono gli antichi quartieri urbani dove si trovano i principali siti religiosi. Nella guerra del 1967, Israele ha occupato Gerusalemme Est e la Cisgiordania. I confini del 1948, la così della “Linea verde” rappresentano ancora i confini di Israele riconosciuti a livello internazionale.

Lo status giuridico di Gerusalemme Est

Ma lo status di Gerusalemme resta dibattuto così come la difficile possibilità della formazione di uno stato palestinese. Per il diritto internazionale Gerusalemme Est è territorio palestinese, ma è sotto l’occupazione militare israeliana. Israele applica la sua giurisdizione sia su Gerusalemme Ovest che sui quartieri arabi. Nonostante questo, per lo stato di occupazione, i coloni dovrebbero rispettare alcune regole: non potrebbero applicare il loro sistema legale sul territorio occupato, non
potrebbero espropriare i civili dalle loro case o deportarli. Ma Israele continua a farlo.

Per anni le famiglie palestinesi sono state sfrattate dalle loro case, le loro abitazioni sono state demolite, mentre si espandono le colonie israeliane. Con ogni demolizione, lo spazio per i palestinesi a Gerusalemme Est si sta riducendo. Le autorità israeliane hanno spesso bollato gli espropri come questioni di “controversie sulle proprietà”, ma per palestinesi e israeliani è molto di più. Molti palestinesi hanno combattuto battaglie legali che sono arrivate fino alla Corte suprema israeliana.

“È molto difficile per me venire qui e sapere che non posso più entrare in casa mia”, ha spiegato Noura Ghaith, palestinese espropriata dalla bua abitazione a Gerusalemme Est. “Questa casa ha significato molto per la mia famiglia, per i miei ricordi”, ha aggiunto. Casi come questi sono innescati dalle organizzazioni di coloni israeliani che promuovono gli insediamenti nei quartieri palestinesi di Gerusalemme. Nel caso di Noura un gruppo di coloni ha ottenuto la proprietà e poi ha fatto causa per sfrattare la donna palestinese, sebbene lei avesse la così detta “locazione protetta”.

Sono le corti israeliane a decidere sui casi di espropri dei palestinesi nei quartieri di Gerusalemme Est. E così dal 1970 oltre 160 famiglie sono state sfrattate mentre migliaia sono le famiglie a rischio di sfratto. Secondo la legge amministrativa del 1970, gli ebrei che rivendicano la proprietà a Gerusalemme Est prima del 1948 hanno diritto alla “restituzione della terra”. In altre parole, la legge israeliana concede il diritto di rivendicare beni persi nella guerra del 1948. Si tratta di un meccanismo estremamente discriminatorio perché non è prevista una misura simile per i palestinesi che hanno perso le loro proprietà nella stessa guerra.

Tuttavia, la così detta “locazione protetta”, garantita dal governo giordano sin dal momento in cui ha preso il controllo di Gerusalemme Est nel 1948, stabilisce il diritto di proprietà a lungo termine dei residenti palestinesi. Questi diritti sono stati confermati dopo la guerra del 1967 ma con condizioni restrittive. In molti casi i coloni hanno tentato di provare che i palestinesi da espropriare hanno violato le condizioni della “locazione protetta”. In altre parole, i coloni di estrema destra,
sostenuti dal governo di Netanyahu, continuano a sfruttare la legge del 1970 per acquisire presunti diritti e rimuovere la “locazione protetta” a cui hanno diritto i palestinesi. Lo scopo è di portare Gerusalemme Est sotto il completo controllo israeliano con la deportazione del maggior numero possibile di palestinesi.

Ancora una volta le marce dei coloni israeliani di estrema destra mirano al controllo di Gerusalemme Est e alla deportazione dei palestinesi. Così come previsto anche dal piano annunciato da Donald Trump per realizzare a Gaza la così detta “Riviera del Medio Oriente”. E così le violenze nella Striscia, nonostante annunci poi smentiti di un possibile nuovo cessate il fuoco, finiscono solo per aggravare la crisi umanitaria senza precedenti in corso a Gaza, dopo gli attacchi ai campi profughi di Jabalia, Khan Younis e alla scuola Fahmi Al-Jargawi, sullo sfondo del piano di occupazione da parte dell’esercito israeliano della Striscia che prevede la deportazione dei palestinesi nel 25% del territorio nel sud dell’enclave.

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