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Sudan, la medica di Emergency: “Siamo a cento giorni di guerra, Khartoum è deserta e distrutta”

Da cento giorni in Sudan si combatte una feroce guerra civile tra l’esercito governativo e le forze paramilitari del Rsf. Un conflitto con pesantissime ripercussioni anche sulla popolazione civile. Da Khartoum, la capitale ed epicentro degli scontri, la dottoressa Gina Portella di Emergency racconta a Fanpage.it qual è la situazione nel Paese.
A cura di Marco Billeci
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Il 15 aprile scorso in Sudan è esplosa una guerra civile, che vede contrapposti l'esercito governativo e i gruppi paramilitari del Rapid Support Forces, comandati dal generale Hemedti. Cento giorni di combattimenti – con epicentro nella capitale Khartoum – che hanno sconvolto un Paese, già segnato dai colpi di Stato del 2019 e del 2021 e da conflitti di lungo corso, come quello in Darfur.

"Qui  a Khartoum c'è una situazione di guerra, i due schieramenti continuano a combattere", dice a Fanpage.it la dottoressa Gina Portella, coordinatrice medica del Centro Salam di cardiochirurgia di Emergency, nella capitale sudanese. L'associazione fondata da Gino Strada è una delle poche realtà umanitarie ancora attive nell'area. Abbiamo chiesto alla dottoressa Portella, di raccontarci la situazione del Paese africano che, per quanto grave, fatica a trovare spazio nelle cronache italiane.

Qual è lo stato attuale del conflitto?

Le aree di controllo delle due fazioni rimangono più o meno sempre le stesse, avanza un giorno una parte, l'altro giorno un'altra. Noi dall'interno dell'ospedale, sentiamo le esplosioni e gli scontri – talvolta più lontano, talvolta più vicino –, ma c'è sempre il suono della battaglia.

In che condizioni si trova Khartoum?

La città è deserta, si è svuotata. Anche diversi nostri colleghi sudanesi sono andati in Egitto e Arabia Saudita o hanno mandato lì le famiglie. Molte persone si sono spostate in altre zone del Sudan non colpite dal conflitto, ma questo è andato a sovraccaricare le città limitrofe, creando un circolo vizioso di problemi.

Le ostilità riguardano anche altre aree del Paese?

Il Darfur, rimane l'altra zona caldissima. Poi ci sono aree che sono state coinvolte dall'inizio di questo conflitto, come il Kordofan. In tutti questi luoghi la situazione è molto pesante. Purtroppo non c'è nessun segno di diminuzione delle ostilità.

Quanto è grave l'impatto sui civili?

C'è un impatto diretto di morti e feriti, difficile da quantificare. Anche qua da noi ogni tanto arriva qualche paziente con lesioni di guerra. Stiamo cercando di aprire un ospedale di chirurgia d'urgenza, per occuparci dei feriti. Ma non ci sono solo i traumi diretti, ci sono altre conseguenze gravissime, per la popolazione civile. Le infrastrutture sono a pezzi, mancano acqua ed elettricità. Il sistema sanitario è stato distrutto, molti ospedali non sono più funzionanti. Un'altro grande problema è la scarsità di farmaci.

Con quali effetti?

È un disastro per pazienti con patologie croniche. C'è gente che sta morendo di diabete: noi riceviamo e curiamo diversi pazienti in coma, proprio perché c'è una scarsità totale di insulina. Si tratta di terapie salvavita la cui mancanza provoca conseguenze catastrofiche.Per quanto riguarda le persone operate al Salam, dopo l'intervento sono dipendenti da terapie anti-scompenso e anticoagulanti. Siamo praticamente certi che ci sia una buona parte di pazienti, che sta rischiando la vita, a causa della difficoltà di avere accesso alle cure. Abbiamo informazione di alcuni decessi, ma temiamo che sia la punta dell'iceberg.

In questo contesto, qual è la possibilità di operare per Emergency?

Le condizioni sono ovviamente difficili, come in ogni teatro di guerra. Noi stiamo continuando a lavorare qui, nel centro di cardiochirurgia, provvedendo ai pazienti che riusciamo a raggiungere, garantendo come sempre sia esami che terapie gratuite. Stiamo facendo in media un intervento al giorno, prima della guerra erano quattro. Eravamo abituati ad avere numeri enormi di persone che venivano in clinica, per le terapia anticoagulante o per le visite cardiologiche specialistiche. Adesso questi reparti sono quasi vuoti e questo è pesantissimo da vedere, perché significa che questi bisogni non vengono soddisfatti.

Come cercate di affrontare questo tipo di difficoltà?

Stiamo garantendo, per quanto possibile, l'assistenza in remoto, cercando di far arrivare le terapie, dove si trovano, ma purtroppo spesso è complicato raggiungere i pazienti, perché anche le linee telefoniche sono molto precarie. Per questo stiamo lavorando con il ministero della Sanità, per aprire delle cliniche satellite in cinque città nel Paese, per offrire un servizio più capillare sul territorio. Inoltre rimangono ancora attive le nostre cliniche pediatriche di Port Sudan e Nyala.

Per un Paese già segnato da grandi problemi come il Sudan, quanto gravi possono essere i danni di una guerra prolungata?

Non so dirlo. I miei colleghi sudanesi pensano che sarà molto difficile rimettere in piedi Khartoum, che era il centro del Paese. Questa è un po' la percezione a tutti i livelli, ma è difficile immaginare cosa succederà. Va tenuto conto, che all'esplosione della guerra, sono tutti rimasti allibiti. Certo, aree come il Darfur hanno già visto e rivisto cose di questo genere, ma a Khartoum nessuno si aspettava scoppiasse un conflitto di questa portata, tra l'altro interno tra sudanesi.Credo siamo ancora in una fase di shock iniziale rispetto a quello che sta succedendo.

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