291 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni
Taiwan, ultime news

Perché rischiamo davvero una guerra tra Cina e Taiwan

La visita di Nancy Pelosi ha fatto da innesco a un rapporto già molto teso tra la Cina e l’isola “ribelle”. Nessuno vuole un escalation, né Taipei, ne Pechino e Washington. Ma tutti sanno che la resa dei conti è sempre più vicina.
A cura di Daniele Angrisani
291 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

Mentre la situazione in Ucraina resta sempre molto critica, l’attenzione di tutto il mondo si è spostata questa settimana dall’altra parte del pianeta, dopo che la visita di Nancy Pelosi, la Speaker della Camera dei Rappresentanti americana, a Taiwan, ha causato potenzialmente una nuova pericolosa crisi nell’Oceano Pacifico.

Sebbene la visita di Pelosi sia avvenuta di per sé con relativa tranquillità, la reazione successiva da parte di Pechino e le dichiarazioni bellicose da parte di diversi esponenti governativi cinesi, hanno subito fatto tornare alla mente quanto successo nei mesi e settimane precedenti l’invasione russa dell’Ucraina.

Ma è davvero possibile una invasione cinese su larga scala di Taiwan nel prossimo futuro?

La dottrina della “Cina Unica” e l’ambiguità strategica americana

Da quando nel 1949 la guerra civile cinese si è conclusa con la vittoria del Partito Comunista Cinese di Mao Zedong ed il ritiro delle truppe del Kuomintang di Chiang Kai-Shek nell’isola di Formosa (Taiwan), la Repubblica Popolare Cinese ha sempre messo al centro della propria dottrina politica il principio della cosiddetta “Cina Unica”.

Secondo tale principio, è la Repubblica Popolare Cinese ad essere l’unico Stato sovrano sotto il nome di Cina, e Taiwan ne è parte integrante. Pechino si oppone in questo modo totalmente all’ipotesi che ci possano essere due Stati rappresentanti della Cina e che la Repubblica Popolare Cinese e Taiwan rappresentino due Stati separati tra loro.

Gli Stati Uniti hanno riconosciuto il principio della “Cina Unica” nel Comunicato di Shanghai del 1972, in cui hanno affermato che “gli Stati Uniti riconoscono che i cinesi di entrambe le sponde dello Stretto di Taiwan sostengono che esiste una sola Cina e che Taiwan fa parte della Cina. Gli Stati Uniti non contestano questa posizione”.

Allo stesso tempo, però, gli Stati Uniti non hanno espresso chiaramente una posizione sul riconoscimento o meno di Taiwan come Stato indipendente, ma hanno semplicemente riconosciuto il fatto che Pechino considera l’isola di Taiwan come parte del proprio territorio.

Gli Stati Uniti affermano anzi che l’interesse americano è quello di una soluzione pacifica della questione di Taiwan e per questo motivo, sebbene mantengano relazioni ufficiali solo con la Repubblica Popolare Cinese, che considerano ufficialmente l’unico governo legale della Cina, allo stesso tempo mantengono relazioni non ufficiali con Taiwan.

Il 10 aprile 1979, l’allora Presidente democratico degli Stati Uniti Jimmy Carter ha firmato la legge che regola ancora oggi le relazioni con Taiwan (il Taiwan Relations Act).

Tra le altre cose il Taiwan Relations Act sancisce formalmente l'impegno degli Stati Uniti ad aiutare Taiwan a mantenere la propria capacità difensiva con la fornitura di armi, ma, cosa molto importante nella situazione attuale, non impegna formalmente gli Stati Uniti a difendere Taiwan in caso di invasione da parte cinese.

Nel 1982, anche il successore di Carter alla Casa Bianca, il Presidente repubblicano Ronald Reagan si è mosso sulla questione Taiwan adottando unilateralmente le cosiddette “Sei Assicurazioni”, la quinta delle quali prevedeva che gli Stati Uniti non avrebbero riconosciuto formalmente la sovranità cinese su Taiwan.

Questa posizione americana viene definita come “ambiguità strategica” e rappresenta la posizione ufficiale americana su questa questione ormai da 50 anni.

Ma di recente questa ambiguità strategica ha iniziato a vacillare: il 2 dicembre 2016, l’allora Presidente eletto repubblicano degli Stati Uniti, Donald J. Trump, e la attuale Presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, hanno condotto una breve conversazione telefonica riguardo i legami tra Stati Uniti e Taiwan.

Il 6 dicembre, ovvero pochi giorni dopo, Trump ha detto alla stampa che gli Stati Uniti non sono necessariamente impegnati a seguire la politica della “Cina Unica”.

Qualche mese dopo comunque, il 9 febbraio 2017, in una lunga conversazione telefonica con il Presidente cinese Xi Jinping, Trump si è impegnato formalmente ad onorare la politica della “Cina Unica” su richiesta di Xi.

Il 23 maggio 2022, l’attuale Presidente degli Stati Uniti, il democratico Joe Biden, ha annunciato che gli Stati Uniti interverranno militarmente se la Cina dovesse invadere unilateralmente Taiwan.

Parlando in Giappone, Biden ha dichiarato: "Questo è l'impegno che abbiamo preso", in apparente riferimento al Taiwan Relations Act, sebbene (come scritto in precedenza) la legge del 1979 non preveda specificamente l’impegno militare diretto degli Stati Uniti a difesa di Taiwan.

Biden ha spiegato questo apparente cambiamento di posizione, sottolineando come l'invasione militare dell'Ucraina da parte della Russia ha creato un onere "ancora più forte" per proteggere Taiwan. La Cina ha subito criticato la dichiarazione di Biden come un atteggiamento "ipocrita e futile" di incoraggiamento alle "forze indipendentiste di Taiwan".

Successivamente Biden ha fatto mezza retromarcia, dichiarando che le sue osservazioni non rappresentano un cambiamento dello status quo e della posizione di ambiguità strategica degli Stati Uniti, e la stessa posizione è stata poi espressa dal Segretario di Stato americano Anthony Blinken.

Ma dal punto di vista di Pechino, il danno ormai era già fatto.

La visita di Nancy Pelosi a Taiwan

In questo contesto, il 2 agosto la Speaker democratica della Camera dei Rappresentanti americana, Nancy Pelosi, si è recata a Taiwan, assieme ad una delegazione di altri cinque esponenti democratici del Congresso: Gregory Meeks, Raja Krishnamoorthi, Suzan DelBene, Andy Kim e Mark Takano.

Il viaggio di due giorni a Taiwan ha fatto parte di un tour in Asia di Pelosi che comprende anche tappe a Singapore, Malesia, Corea del Sud e Giappone.

Secondo quanto riferito dai media americani, la Casa Bianca era inizialmente divisa sull'opportunità del viaggio di Pelosi a Taiwan, ed anche il Pentagono lo aveva sconsigliato per non esacerbare le tensioni con Pechino.

Tuttavia, essendo il Congresso una branca indipendente del sistema politico americano, la Casa Bianca non aveva alcun potere per impedire a Pelosi la sua visita.

Anzi, una volta che la Speaker della Camera si è recata lì, i portavoce della Casa Bianca si sono anzi affannati a difendere il diritto della Pelosi a recarsi nell’isola, aggiungendo che gli Stati Uniti non temono le minacce della Cina e “non rimarranno inerti in caso di aggressione”.

In un op-ed per il Washington Post, pubblicato il 2 agosto mentre era in viaggio per Taiwan, Pelosi scrive: "Affrontiamo questo viaggio in un momento in cui il mondo si trova a dover scegliere tra autocrazia e democrazia. Mentre la Russia conduce la sua guerra premeditata e illegale contro l'Ucraina, uccidendo migliaia di innocenti  – anche bambini  – è essenziale che l'America e i nostri alleati chiariscano che non ci arrenderemo mai agli autocrati".

La delegazione della Pelosi è arrivata senza incidenti a Taipei, la capitale di Taiwan, alle 22:43 (ora locale) del 2 agosto a bordo dell’aereo da trasporto dell'Aeronautica militare statunitense SPAR19 che ha volato per tutto il tempo con il trasponder acceso  — ed è stato il volo più seguito della storia sui siti di tracking di volo online.

Pelosi è stata ricevuta all’aeroporto dal Ministro degli Affari Esteri Joseph Wu e da Sandra Oudkirk, direttrice dell'Ufficio di Taipei dell'Istituto americano di Taiwan (AIT), e subito dopo ha twittato che la sua visita era un segno dell'"incrollabile impegno degli Stati Uniti a sostenere la vibrante democrazia di Taiwan".

Il giorno successivo Pelosi si è recata al Parlamento di Taiwan dove ha tenuto un breve discorso, in cui ha affermato che l’isola è "una delle società più libere del mondo" ed ha auspicato un'ulteriore cooperazione economica degli Stati Uniti con Taiwan con il Chips Act e nelle aree relative al cambiamento climatico, alla pandemia COVID-19 e alla diffusione della democrazia.

Si è quindi recata al palazzo presidenziale dove ha incontrato la Presidente Tsai Ing-wen, che le ha conferito una medaglia in onore all’amicizia tra i due popoli.

In un comunicato stampa successivo, Pelosi ha dichiarato che la visita "non contraddice in alcun modo la politica degli Stati Uniti di lunga data, guidata dal Taiwan Relations Act del 1979, dai comunicati congiunti USA-Cina e dalle Sei Assicurazioni. Gli Stati Uniti continuano ad opporsi agli sforzi unilaterali per cambiare lo status quo".

Anche la Casa Bianca per bocca del portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale, John Kirby, ha ribadito questa posizione in una conferenza stampa tenutasi durante la visita, affermando che "la visita dello Speaker della Camera è totalmente in linea con la nostra politica di lunga data di una Cina Unica".

In un raro segnale di unità bipartisan, il leader della minoranza repubblicana del Senato degli Stati Uniti Mitch McConnell si è unito ad altri 25 senatori repubblicani nell'esprimere sostegno al viaggio di Pelosi a Taiwan, definendo il viaggio "coerente con la politica degli Stati Uniti di una Cina unica", le stesse parole usate dalla Casa Bianca.

Sebbene il senatore repubblicano Ted Cruz non abbia firmato la dichiarazione congiunta dei senatori repubblicani, anche lui ha successivamente elogiato la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, criticando invece la iniziale mancanza di sostegno da parte di Biden. Allo stesso modo, altri due senatori repubblicani, Rick Scott e Lindsey Graham, hanno espresso separatamente la propria approvazione per il viaggio di Pelosi.

Nancy Pelosi ha quindi lasciato Taiwan per la Corea del Sud poco dopo le 18:00 ora locali della sera del 3 agosto. La visita è quindi avvenuta senza incidenti, nonostante le preoccupazioni iniziali di possibili provocazioni di Pechino nel suo corso.

Pelosi è stata così l’esponente americano più importante a visitare Taiwan dai tempi della visita dello Speaker repubblicano della Camera, Newt Gingrich, nel 1997.

La reazione cinese

Nonostante tutte le rassicurazioni da parte americana, la visita di Pelosi è stata duramente condannata dalla Repubblica Popolare Cinese, che l’ha definita come una "provocazione" da parte degli Stati Uniti che "viola gravemente la sovranità della Cina".

In una conversazione telefonica intercorsa tra Biden e Xi Jinping la settimana precedente, il Presidente cinese aveva già formalmente affermato che gli Stati Uniti avrebbero "giocato con il fuoco" se Biden avesse permesso a Pelosi di visitare Taiwan, aggiungendo che “chi gioca con il fuoco ne perisce”.

Sebbene (come abbiamo visto) Biden non avesse alcun potere per impedire a Pelosi di recarsi a Taiwan, il fatto che sia il Presidente che la Speaker siano esponenti dello stesso partito (quello democratico) viene ampiamente considerato a Pechino come dimostrazione del doppio gioco da parte della Casa Bianca su questa vicenda.

Non appena Pelosi ha messo piede a Taipei, l'Ambasciatore americano a Pechino Nicholas Burns è stato quindi convocato dal Ministero degli Esteri cinese per una protesta formale contro la visita di Pelosi.

In risposta all'atterraggio di Pelosi a Taipei, l’esercito di Liberazione Popolare Cinese (PLA) ha poi  dato inizio a partire dal 4 agosto ad una serie di esercitazioni navali e aeree congiunte in 6 aree designate a nord, sud-ovest e sud-est di Taiwan.

Le esercitazioni comprendono tiri di artiglieria a lunga distanza nello Stretto di Taiwan e test missilistici con testate convenzionali nelle acque a est di Taiwan, e sono effettuate chiedendo alle navi ed aerei civili di evitare le aree designate fino alla fine prevista per domenica 7 agosto.

Di fatto tali esercitazioni militari (per la posizione e il numero di mezzi impegnato) simulano quello che potrebbe essere un vero e proprio piano di blocco navale di Taiwan.

Anche l’agenzia stampa statale cinese Xinhua ha ammesso che rappresentano operazioni congiunte incentrate proprio su "blocco, assalto a bersagli marittimi, attacco a bersagli terrestri e controllo dello spazio aereo" dell’isola che Pechino considera come separatista.

Il Ministero della Difesa di Taiwan ha riferito che nell’ambito di queste esercitazioni, il 4 agosto sono stati lanciati dalla Cina 11 missili balistici cinesi Dongfeng.

5 di questi missili sono poi caduti nella Zona Economica Esclusiva del Giappone al largo di Hateruma, un'isola molto a sud delle isole principali del Giappone nella Prefettura di Okinawa, ha dichiarato il Ministro della Difesa giapponese Nobuo Kishi.

Il Giappone ha protestato con la Cina definendo questi lanci di missili come "gravi minacce alla sicurezza nazionale del Giappone e alla sicurezza del popolo giapponese".

Il Ministero della Difesa giapponese ha anche ipotizzato che quattro missili abbiano sorvolato Taipei, la capitale di Taiwan, a bassa quota, ma il Ministero della Difesa di Taiwan ha negato l'ipotesi, affermando che la traiettoria di volo era "al di fuori dell'atmosfera e non dannosa per la vasta area al suolo che ha sorvolato".

Il Ministero della Difesa nazionale di Taiwan ha inoltre riferito che 21 aerei della PLA hanno sorvolato la sua zona di identificazione della difesa aerea (ADIZ) oltre la linea mediana dello Stretto di Taiwan il 2 agosto, altri 27 il 3 agosto, 22 il 4 agosto e ben 49 il 5 agosto, ogni volta prima di tornare indietro.

La reazione cinese, comunque, non si è fermata alle esercitazioni militari ed è stata espressa anche sotto forma di sanzioni contro Taiwan e gli Stati Uniti: già il 1° agosto, prima della visita di Pelosi, la Cina aveva bloccato le spedizioni di oltre 100 esportatori alimentari taiwanesi.

Inoltre, Pechino ha subito annunciato la sospensione delle esportazioni di sabbia cinese verso Taiwan, componente importante per la produzione dei semi-conduttori.

Il 5 agosto, il Ministero degli Esteri cinese ha annunciato sanzioni dirette contro la Pelosi e i suoi parenti stretti in risposta alla sua visita a Taiwan, anche se non è immediatamente noto cosa comporteranno tali sanzioni.

Nello stesso giorno Pechino ha anche annunciato di aver sospeso i canali di cooperazione con gli Stati Uniti su diversi fronti, tra cui il dialogo tra i leader militari (ed il Pentagono ha confermato a POLITICO che le chiamate da parte loro non hanno ricevuto risposta), l'assistenza giudiziaria penale, la lotta ai crimini transnazionali e i colloqui sul cambiamento climatico.

Alcune aziende americane come Apple hanno infine già comunicato ai propri fornitori che la Cina ha iniziato ad applicare rigorosamente una regola di lunga data, secondo la quale le parti e i componenti prodotti a Taiwan devono essere etichettati come prodotti a "Taiwan, Cina" o "Taipei cinese", un linguaggio che indica che l'isola fa parte della Cina, pena il rischio di blocco alle dogane cinesi delle esportazioni.

Nonostante la forte reazione del governo di Pechino, il New York Times riferisce che molti utenti Internet cinesi si sono arrabbiati per il fatto che i funzionari governativi hanno fatto pesanti minacce militari contro gli Stati Uniti, ma senza metterle in pratica.

Ad esempio, il giornalista nazionalista cinese Hu Xijin aveva pubblicato un tweet in cui invitava l'aviazione cinese ad abbattere l'aereo che trasportava Pelosi, mentre l'ambasciatore cinese in Francia Lu Shaye aveva chiesto la rieducazione della popolazione taiwanese nell'ipotetico caso di riunificazione della Cina con Taiwan in un programma televisivo francese.

L'account Twitter di Xijin è stato temporaneamente sospeso per aver violato le regole della piattaforma di social network, mentre le osservazioni di Shaye sono state condannate da diplomatici americani ed europei. In risposta alle critiche, la portavoce del Ministero degli Esteri Hua Chunying ha invitato i cittadini cinesi ad essere "patrioti razionali" ed a fidarsi del governo.

Dopo che la Cina ha risposto alla visita della Pelosi iniziando le sue esercitazioni nelle acque intorno a Taiwan, la Casa Bianca ha risposto con fermezza convocando l’ambasciatore cinese a Washington, Qin Gang, ed affermando che le recenti azioni militari della Cina sono "irresponsabili e in contrasto con il nostro obiettivo di lunga data di mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan".

Durante l'incontro alla Casa Bianca, Qin ha parlato in particolare con Kurt Campbell, coordinatore per gli affari indo-pacifici del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Campbell ha ribadito che non è cambiato nulla della politica di una “Cina unica” degli Stati Uniti, che continua a riconoscere l'amministrazione di Pechino come unico governo della Cina.

Campbell ha inoltre ricordato a Qin una dichiarazione del G7, in cui si sottolinea che la Cina non dovrebbe usare la visita di Pelosi come pretesto per un'azione aggressiva, e ha citato un messaggio dell'Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), che invita tutte le parti a smorzare le tensioni e ad impegnarsi nel dialogo.

Anche il Segretario di Stato Antony Blinken, parlando con i giornalisti in Cambogia, ha lanciato un messaggio alla Cina. "Non c'è alcuna giustificazione per questa risposta militare estrema e sproporzionata", ha detto, aggiungendo: "Queste azioni provocatorie rappresentano un'escalation significativa”.

Il portavoce del Consiglio di Sicurezza americano John Kirby ha dichiarato, in risposta alle sanzioni annunciate da Pechino che “la Cina non sta punendo solo gli Stati Uniti per queste azioni, ma in realtà sta punendo il mondo intero".

Per quanto riguarda il clima, ad esempio, "il più grande Paese emettitore di sostanze inquinanti del mondo si sta rifiutando di impegnarsi nei passi necessari per combattere il cambiamento climatico, che ha un impatto su tutto il globo, dall'innalzamento del livello del mare nelle isole del Pacifico agli incendi in Europa".

Kirby ha aggiunto che "gli Stati Uniti condannano l'emanazione di sanzioni da parte della Cina contro Pelosi e i suoi familiari. Lo ripeto e l'ho già detto molte volte: lo Speaker aveva tutto il diritto di andare lì".

Tutto questo sembra servito, comunque, ben poco per placare la rabbia cinese. "L'ambasciatore Qin Gang ha respinto totalmente la cosiddetta condanna delle contromisure militari cinesi", ha dichiarato un funzionario dell’Ambasciata cinese a Washington, Jing Quan, in una dichiarazione a firma di Qin letta ai giornalisti.

"Abbiamo sottolineato che sono gli Stati Uniti a creare problemi alla pace e alla stabilità dello Stretto di Taiwan e della regione", scrive Qin. "L'unico modo per uscire da questa crisi è che gli Stati Uniti adottino immediatamente misure per correggere i propri errori ed eliminare il grave impatto della visita di Pelosi".

Nella sua dichiarazione Qin aggiunge senza mezzi termini che "Taiwan è una delle pochissime questioni che potrebbero portare la Cina e gli Stati Uniti a un conflitto aperto o addirittura a una guerra".

Non è finita qui: un portavoce del governo di Pechino ha persino paragonato il comportamento degli Stati Uniti all'uccisione di George Floyd per mano dei poliziotti di Minneapolis nel 2020. Hua Chunying ha scritto: "Non possiamo permettere che gli Stati Uniti si atteggino a ‘poliziotto del mondo’ e trattino gli altri Paesi come George Floyd, che possono maltrattare e strangolare a piacimento".

Il Ministero della Difesa di Taiwan, da parte sua, ha dichiarato che le forze militari di Taiwan sono in allerta e stanno monitorando la situazione, cercando in tutti i modi di evitare un'escalation. La settimana scorsa si sono tenute esercitazioni di difesa civile e mesi fa sono stati affissi avvisi sui rifugi antiaerei designati in caso di attacco militare da parte di Pechino.

Il "comportamento irrazionale" della Cina intende alterare lo status quo e disturbare la pace e la stabilità regionale, ha dichiarato il Ministero. “I tre rami delle Forze Armate uniranno gli sforzi con tutto il popolo taiwanese per salvaguardare la sicurezza nazionale e l'integrità territoriale", adattandosi alla situazione man mano che si sviluppa, si legge nel comunicato.

Rischio concreto di escalation?

Gli esperti generalmente concordano sul fatto che né gli Stati Uniti né la Cina abbiano voglia di far degenerare le tensioni attuali in una guerra su larga scala in questo momento. Ma è giusto ricordare che rispetto all’ultima volta che le tensioni tra Pechino e Washington sono salite a causa della situazione a Taiwan, la situazione è cambiata drasticamente a favore della prima.

Anche durante la Terza Crisi dello Stretto di Taiwan del 1995-96, pallida eco delle tensioni attuali, la Cina aveva organizzato esercitazioni militari, lanciato avvertimenti severi a Taipei e lanciato missili nelle acque vicine a Taiwan.

Allora però le Forze Armate americane avevano risposto con la più grande dimostrazione di forza dai tempi della guerra del Vietnam, inviando nell'area una serie di navi da guerra, tra cui due gruppi di portaerei. La portaerei Nimitz e altre navi da guerra avevano attraversato lo Stretto che separa Cina e Taiwan, ribadendo l'idea del dominio militare americano nel Pacifico.

"Pechino dovrebbe sapere che la potenza militare più forte nel Pacifico occidentale sono gli Stati Uniti", aveva dichiarato l'allora Segretario alla Difesa, William Perry.

Oggi quei giorni sono ampiamente passati. Le Forze Armate cinesi hanno subito una profonda trasformazione dalla metà degli anni Novanta e questa volta Biden si è ben guardato dall’annunciare alcun passaggio di portaerei americane nello Stretto come dimostrazione di forza.

Questo in quanto l’attuale Presidente cinese Xi Jinping, a differenza dei suoi predecessori, ha ora a disposizione una seria potenza militare, tra cui missili designati appositamente per colpire le grandi navi americane, la Marina Militare più grande del mondo ed una forza aerea sempre più capace.

Questa nuova potenza militare sta cambiando l’equilibrio strategico tra le due potenze nel Pacifico, aumentando i rischi potenziali di un conflitto o di un errore di calcolo, affermano gli esperti.

Il generale Mark Milley, capo di Stato Maggiore delle Forze Armate americane, ha descritto la drammatica ascesa della Cina come potenza militare come un terremoto strategico. "Stiamo assistendo, a mio avviso, a uno dei più grandi spostamenti di potere geostrategico globale a cui il mondo abbia mai assistito nel corso della sua storia", ha detto Milley lo scorso anno.

L'esercito cinese è ora "formidabile soprattutto nelle acque interne e nelle vicinanze di Taiwan", ha dichiarato a sua volta James Stavridis, ammiraglio a quattro stelle in pensione ed ex comandante della NATO.

La Marina Militare cinese, a partire dal 2017, ha a disposizione più navi di quella americana. Sebbene le navi americane siano più grandi ed avanzate di quelle cinesi, con equipaggi e comandanti più esperti, la quantità conta lo stesso molto, afferma Stavridis che ora è diventato analista militare di NBC News.

Questo non significa comunque che gli Stati Uniti siano rimasti fermi: la Casa Bianca da parte sua ha dichiarato giovedì 4 agosto che la portaerei USS Ronald Reagan (che si trova nelle vicinanze di Taiwan) rimarrà nella regione per "monitorare attentamente la situazione" mentre la Cina svolge le sue esercitazioni intorno a Taiwan.

Allo stesso tempo, però, il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale, John Kirby, si è anche affrettato a dichiarare che un test sui missili balistici intercontinentali (ICBM) precedentemente programmato proprio per questi giorni è stato posticipato per evitare qualsiasi malinteso con Pechino.

Si tratta di un ennesimo segnale di prudenza da parte della Casa Bianca che sta facendo di tutto per evitare una pericolosa escalation della crisi in corso.

Reazione di Taiwan

La popolazione di Taiwan ha avuto opinioni contrastanti sulla visita di Pelosi. Ci sono state piccole manifestazioni, con centinaia di partecipanti, sia a favore che contro la visita, nei giorni precedenti quando ancora non era chiaro se Pelosi si sarebbe recata o meno a Taiwan.

Inizialmente i media taiwanesi hanno comunque dato priorità ad altre notizie, tra cui l'eccezionale ondata di caldo locale e le elezioni amministrative in arrivo a novembre, nonostante l’attenzione del mondo fosse sempre più puntata proprio su Taiwan e la possibile visita della Speaker.

Ma quando poi la visita di Pelosi è stata confermata, l'umore è cambiato. I talk show alla radio hanno discusso dei preparativi e dei piani di fuga in caso di guerra e hanno illustrato agli ascoltatori le loro crescenti ansie.

Significativo il risultato di un sondaggio condotto su 7.500 lettori del Pan-Blue United Daily News, in cui il 61% ha ritenuto che la visita non fosse "gradita" in quanto "potrebbe destabilizzare lo Stretto di Taiwan" e scatenare una guerra su larga scala.

Centinaia di manifestanti si sono riuniti in diverse città per accogliere o protestare contro l’arrivo della Pelosi. Fuori dall'aeroporto dove è atterrata la Speaker della Camera americana, piccoli gruppi di indipendentisti di Taiwan hanno esposto cartelli con le scritte "I love Pelosi" e "shut up China".

La folla più numerosa si è radunata fuori dal Grand Hyatt, dove Pelosi ha soggiornato. L'affluenza è stata maggiore di quanto ci si aspettasse ed ha richiamato un'ampia presenza di polizia, ma è rimasta pacifica.

I manifestanti, ben organizzati e rumorosi, tenevano cartelli che definivano Pelosi una guerrafondaia e scandivano "Yankee go home" dall'altra parte della strada. A poca distanza, separata dall'altro gruppo da un ampio cordone e da decine di poliziotti, un secondo gruppo di manifestanti ha invece gridato slogan a supporto di Pelosi e contro il Partito Comunista Cinese.

La visita di Pelosi è stata accolta anche con messaggi di benvenuto sul grattacielo più alto di Taiwan, il Taipei 101, “Benvenuta a Taiwan, grazie Speaker Pelosi, Taiwan ama gli Usa”, con tanto di cuore rosso tra i nomi dei due Paesi. Le immagini della scritta sono subito diventate virali sui social media di tutto il mondo.

Come afferma un reportage del New York Times, negli ultimi anni, a causa della crescente bellicosità della Cina, un numero sempre più alto di taiwanesi si identificano come separati dalla Repubblica Popolare Cinese.

Per molti di loro la Cina rappresenta una minaccia esistenziale a uno stile di vita pluralistico e democratico, a cui ormai sono abituati e questa sensazione non ha fatto altro che peggiorare da quando Pechino ha represso con la forza le manifestazioni per la democrazia ad Hong Kong nel biennio 2019/2020.

Sono ora le generazioni più anziane le più amichevoli verso Pechino. Beneficiari della liberalizzazione economica cinese e destinatari di un'istruzione che ha enfatizzato i legami con la Cina, esse ricordano gli anni in cui la Cina si è aperta al mondo e ha reso molti ricchi, prima che Xi Jinping diventasse il Presidente.

Per i giovani taiwanesi, invece, la visione della Cina è quella che ha creato Xi, una terra illiberale che nega loro la libertà e la possibilità di scegliere il proprio governo.

"La Cina sostiene che il suo obiettivo è la riunificazione pacifica con Taiwan. Se è davvero così, allora Pechino dovrebbe invertire la rotta e tornare alle politiche di Deng: annunciare che Hong Kong potrà godere di tutte le libertà che le erano state garantite, promettere a Taiwan lo stesso, porre fine alle sanzioni economiche e smettere di minacciare l'isola con pericolose manovre militari.

Sono le politiche di Xi a far sì che il popolo taiwanese rifiuti qualsiasi prospettiva di cooperazione con la terraferma, per non parlare di un'eventuale riunificazione.

Ma questo non accadrà e ci porta diretti al dilemma centrale. Pechino riconosce che oggi, con Taiwan, il tempo non è dalla sua parte. Ogni anno che passa diventa più probabile che l'isola possa liberarsi dal suo legame per Pechino. E questo ha creato una sfida strategica per Pechino, che potrebbe trasformarsi in una catastrofe per il mondo", commenta Fareed Zakaria in un editoriale pubblicato il 4 agosto sul Washington Post.

Con le elezioni amministrative a Taiwan previste per quest'anno e l’inizio della campagna elettorale del prossimo anno per le elezioni presidenziali previste (sia a Taiwan che negli Stati Uniti) nel 2024, si teme che la situazione possa solo peggiorare, soprattutto se Xi Jinping si assicurerà (come sembra inevitabile) un terzo inedito mandato come Presidente cinese nei prossimi mesi.

Tutto ciò significa che, se per questa volta l’escalation sarà quasi certamente evitata perché non è nell’interesse immediato di nessuno, il momento della resa dei conti si avvicina inevitabilmente. Ed in quel momento Pechino farà valere tutta la sua potenza militare, mettendo Washington all’angolo e costringendola alla scelta: intervenire militarmente o meno a difesa di Taiwan.

Il rischio, ovviamente, è quello della conflagrazione di una guerra su larga scala nel Pacifico, tra due potenze nucleari mondiali con conseguenze catastrofiche per tutto il mondo.

Non è un caso quindi che sabato 6 agosto, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, abbia ricordato proprio ad Hiroshima, nel 77° anniversario del primo attacco con la bomba atomica, che “l’umanità sta giocando con una pistola carica”, mentre proliferano in tutto il mondo sempre più crisi che hanno il potenziale di scatenare un disastro nucleare.

291 CONDIVISIONI
Immagine
Daniele Angrisani, 43 anni. Appassionato da sempre di politica internazionale, soprattutto Stati Uniti e Russia. 
35 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views