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Opinioni

Perché i cinesi stanno diventando più aggressivi contro Taiwan e cosa potrebbe succedere

Circa 200 aerei e navi da guerra cinesi invadono lo spazio di difesa di Taipei mentre sull’isola è in corso un test anti-nucleare e Pechino rilascia un documento per l’integrazione dello Stretto. Tra media che cedono all’allarmismo e un’opinione pubblica spaccata, gli analisti orientali e occidentali concordano ci sia qualcosa di diverso nei nuovi raid cinesi.
A cura di Gian Luca Atzori
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La scorsa settimana delle nuove manovre militari hanno visto 143 aerei 56 navi da guerra cinesi entrare nello spazio di difesa taiwanese scatenando nuovamente i media e i social globali sulle mire di Pechino, in particolare in quanto in concomitanza con delle esercitazioni anti-nucleari che avvengono una volta l’anno sull’isola e con un nuovo annuncio e piano di integrazione economica proposto dal governo cinese.

La verità ancora una volta è che l’allarmismo non aiuta a comprendere una situazione ogni giorno più complessa, anzi finisce per complicarla ulteriormente. Le esercitazioni sono infatti avvenute in seguito a delle manovre militari congiunte tra Usa, Giappone, Filippine e all’attraversamento dello Stretto da parte di navi statunitensi e canadesi. Tuttavia, c’è una novità rispetto alle vicende precedenti che è stata citata da diverse fonti americane, taiwanesi e cinesi concordi sul fatto che la Cina stia sperimentando nuove tecniche militari.

Il blocco aeronavale

Secondo quanto riportato dal New York Times le manovre sembrano focalizzarsi su alcune carenze e inefficienze dell’Esercito Popolare di Liberazione, ovvero “la capacità di mantenere le operazioni lontano dalle coste e di coordinare le diverse forze in acqua e in aria”.

“Mi sembra che stessero praticando operazioni aeree prolungate verso il Pacifico occidentale in concomitanza con le esercitazioni delle loro portaerei, qualcosa che non avevamo mai visto prima su questa scala” racconta Ben Lewis, ricercatore indipendente di sede a Washington. Lewis monitora i flussi su Formosa e studia il modo in cui Pechino potrebbe praticare l’imposizione di un blocco intorno all’isola che complicherebbe la capacità di accorrere a supporto degli Stati Uniti.

La Guerra cognitiva “a freddo”

Anche per Lin Ying-yu dell’Università Tamkang di Taipei “la Cina vuole utilizzare queste esercitazioni per dimostrare di avere la capacità di sorvolare la prima catena di isole (v. Giappone, Taiwan, Filippine)”. Per Lu Li-shih, ex-istruttore dell'accademia navale taiwanese di Kaohsiung, l’accrescersi costante delle esercitazioni vuole assuefare i taiwanesi per sfruttare qualsivoglia debolezza difensiva o situazione di vantaggio strategico.

"L'esercito cinese ha dato il via ad una strategia di ‘avvio a freddo’ a tutti i livelli contro Taiwan", dichiara Lu riferendosi a una nuova dottrina militare volta ad abituare il popolo e le forze taiwanesi a esercitazioni intensive, per poi lanciare un attacco a sorpresa. “Potrebbe far parte della guerra cognitiva di Pechino per far abbassare la guardia ai taiwanesi”.

La Guerra Lampo

Diversi analisti cinesi si soffermano invece sul fatto che le manovre cinesi sono molto più rapide, con un tempo di permanenza minore nelle postazioni ma con una grande capacità di dispiegamento di mezzi. Segno che, secondo gli esperti, la Cina stia pensando a una nuova strategia che permetta un’eventuale invasione con manovre “lampo”.

“Tali esercitazioni non solo preparano al combattimento contro le forze armate secessioniste sull'isola, ma anche contro potenziali forze militari di paesi esterni”, afferma l’esperto mandarino Song Zhongping. “Mentre le precedenti esercitazioni in alto mare delle portaerei duravano spesso circa un mese,” continua un altro analista sulle pagine del Global Times, media di Partito in lingua inglese, “questa volta la Shandong è rimasta oltre la prima catena di isole solo per cinque giorni, ma aveva più forze di accompagnamento e di coordinamento. Potrebbe rappresentare una nuova tattica, che l'esercito popolare sia in grado di schierare forze potenti e intensive su larga scala e completare la propria missione in un breve periodo”.

Il nuovo documento sulla riunificazione

Negli scorsi giorni è stato anche rilasciato dalle autorità cinesi un documento volto a facilitare lo “sviluppo integrato dello Stretto di Taiwan”. Il documento fa parte di una serie di strategie, avvisi e norme ufficiali rilasciati da Pechino per ricercare la coesione tramite una graduale integrazione economica dell’isola e del continente, a partire dalla regione più prossime alle isole che compongono la Repubblica di Cina, ovvero il Fujian.

La nuova misura serve a facilitare l’integrazione dei residenti taiwanesi nella Repubblica Popolare, allungando i periodi di soggiorno, incoraggiando ad acquistare proprietà nella regione e promuovendo l’ingresso nel sistema assicurativo così come l'accesso al lavoro, ai trattamenti sanitari e all’educazione.

Sempre secondo i media statali cinesi, questo documento arriva in un momento in cui le autorità americane continuano a fomentare la retorica separatista e aumentare la tensione nello Stretto. Al contrario, questa iniziativa sarebbe l’ennesima prova di come possa avvenire un’integrazione pacifica dei due sistemi sotto “un’unica Cina” fornendo “secondo gli esperti” un “modello di sviluppo futuro della stessa isola” in sinergia con Pechino.

Opinioni divise più che paesi divisi

Oltre questo però, l’opinione sia del pubblico che degli analisti è ancora fortemente spaccata tra chi crede che la Cina si riprenderà l’isola entro il 2049, chi vede ancora possibilità in un’unificazione non militare e chi non crede che questo avverrà come per le scorse crisi dello Stretto. Una buona parte ritiene che la decisione potrebbe essere posticipata finché ancora Pechino avrà a disposizione opzioni di riunificazione praticabili.

Ne abbiamo scritto a lungo qui su Fanpage.it, delle diverse possibilità e di cosa lo stesso Xi potrebbe essere portato a fare a seconda dei diversi scenari internazionali. Se però guardiamo i dati delle opinioni pubbliche, ovvero di quello che realmente vorrebbero i cittadini mandarini e taiwanesi al di fuori degli schemi geopolitici, la situazione non è così allineata.

Secondo gli ultimi sondaggi pubblicati sul Journal of Contemporary China di maggio, poco più del 50% dei cinesi sosterrebbe un invasione di Taiwan, mentre per i dati forniti dalla National Chengchi University, più della metà dei taiwanesi vorrebbe che si mantenga lo status quo o che la decisione venga posticipata il più possibile. Le opzioni di riunificazione/indipendenza immediata sono entrambe le meno gettonate e sono ambite da meno di un decimo della popolazione, non diversamente da trent’anni fa.

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Classe 1989, Sinologo e giornalista freelance, è direttore tecnico e amministrativo di China Files, canale di informazione sull'Asia che copre circa 30 aree e paesi. Collabora con diverse testate nazionali e ha lavorato per lo sviluppo digitale e internazionale di diverse aziende tra Italia e Cina. Laureato in Lingue e Culture Orientali a La Sapienza, ha proseguito gli studi a Pechino tra la BFSU, la UIBE e la Tsinghua University (Master of Law – LLM).  Atzori è anche Presidente e cofondatore dell'APS ProPositivo, organizzazione dedita allo sviluppo locale in Sardegna e promotrice del Festival della Resilienza.  
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