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Guerra in Ucraina

Perché alla Cina ora conviene far finire la guerra tra Russia e Ucraina

Da alleato di ferro a partner strategico, la Cina è sempre più lontana da Putin e vicina all’Europa. Una strategia che prelude a un ruolo di mediatore del conflitto tra Russia e Ucraina. Ma che non attenua la “pace calda” con gli Usa.
A cura di Gian Luca Atzori
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La Cina ha deciso di avere un ruolo più attivo nella risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina. Nelle ultime dichiarazioni sottolinea le responsabilità americane, ma anche il rispetto della sovranità ucraina. Da una parte, asseconda la volontà russa di escludere Kiev dalla Nato, mirando a limitare la sua influenza anche nell'Indo-Pacifico. Dall’altra, fa riferimento ad un‘Europa in grado di essere più indipendente dagli Stati Uniti. Perciò, cosa intende la Cina per mediazione? Come si sta ponendo o come dobbiamo interpretare le sue ultime mosse? Quali prospettive si stanno delineando in uno schema definito al confine tra guerra fredda e “pace calda”?

Fino a poche settimane fa il rapporto tra Cina e Russia era ai massimi storici. Una relazione definita come “più che un’alleanza”, sbandierata prima alle Olimpiadi, poi rinnovata dall’opposizione alle sanzioni e dal supporto per le perplessità difensive russe. Eppure, Pechino esprime anche sconcerto per le vittime civili, ribadisce il rispetto della sovranità e si astiene all’Onu. Non il massimo per due leader che fino a poco tempo fa si consideravano pubblicamente “migliori amici” e annunciavano di voler costruire un nuovo, più stabile, ordine mondiale.

Come scritto su Fanpage il 1 marzo, la Cina deve tenere insieme più contraddizioni: gli interessi anti-americani e il rapporto con Mosca; gli investimenti in Ue e in Ucraina come porta d’accesso europea alla Nuova Via della Seta; la storica politica di non-ingerenza e la situazione domestica, esterna e interna al Partito (in vista anche del nuovo Congresso); gli interessi in Africa (gran parte dei paesi africani all’Assemblea generale e tutti i presenti al Consiglio di sicurezza Onu hanno condannato la Russia); l’impatto negativo delle sanzioni; la crescita delle tensioni nel Mar cinese e le sue rivendicazioni territoriali, che nulla hanno da spartire con quelle russe. Attualmente, dunque, sono più le divergenze che le affinità, tra Russia e Cina.

Pechino prova a smarcarsi da Mosca

Di fronte ad un simile quadro, il ruolo cinese nella mediazione diventa inevitabile. "Noi europei non possiamo essere i mediatori e non possono neanche gli Usa. Chi altro?" si chiede Josep Borrell il 5 marzo, "dev’essere la Cina, ne sono convinto”. Questo nonostante un report dell’intelligence americana, affermi che Xi Jinping non potesse non sapere dell’invasione e che ci sia un chiaro legame tra la fine delle Olimpiadi e l’inizio della guerra. Tuttavia, oltre alle prime dichiarazioni del ministro Wang Yi che fanno presagire il contrario, i cinesi hanno bollato il report come “pure notizie false” e le dinamiche inducono a pensare che, anche se fosse vero, non tutta la leadership ne fosse informata. Inoltre, come riporta il New York Times, “anche qualora Xi fosse al corrente, forse si aspettava che l’invasione si limitasse alle regioni di confine”. Il dramma, fa notare Paul Haenle, è che Xi Jinping sarà condannato sia che sapesse sia che non sapesse. Nel primo caso sarebbe complice di un massacro, nel secondo sarebbe stato ingannato da “un'amicizia che non conosce confini”.

Un conto è, infatti, occupare il Donbass e opporsi congiuntamente alla Nato. Un altro è muovere guerra in Europa, uccidere migliaia di persone, occupare l’intera Ucraina, sabotare anni di investimenti strategici, pagare sanzioni altissime e chiudere ogni rapporto diplomatico con l’occidente. Se si pensava che questa azione potesse distrarre o dividere il blocco atlantico, in realtà ha creato maggiore coesione nell’Ue (anche con l’ex-blocco sovietico) e nella Nato (con la richiesta di adesione dei paesi scandinavi). Il politologo Pei Minxin sostiene che se la Cina fosse convinta di poter beneficiare da un’azione che indebolisse le grandi potenze rivali e rendesse Mosca più vicina, ora non può che considerare gli enormi danni collaterali e rivedere la sua posizione.

Cambi di linguaggio

Per questo, di recente abbiamo assistito ad un cambio di linguaggio da parte di Pechino, che pare aver raccolto gli appelli europei e ucraini, esprimendo la volontà di “avere un ruolo più attivo” nel fermare la guerra. La differenza di approccio si nota anche dai termini. La comunicazione mandarina è passata dal parlare di “alleanza” al parlare di “partnership strategica”. Mentre la Russia definisce il conflitto come “un’operazione militare” e “una missione di pace” la Cina pronuncia la parola “guerra”.

Allo stesso modo, la volontà di Pechino di “mediare” non è così netta. Wang Yi non ha usato termini che in mandarino indicano una vera e propria mediazione attiva o riconciliazione tra più parti (come tiaojie o tiaohe). I termini più usati che si avvicinano a questo significato sono: buoni uffici (woxuan, usato 2 volte), coordinamento (xietiao, 5 volte), persuadere (quanhe, 2 volte), negoziare (xieshang, 1 volta). I buoni uffici indicano un'azione più discreta rispetto ad un mediatore ingaggiato direttamente nelle negoziazioni.

La Cina è vicina (all’Europa)

Una titubanza diplomatica che Francesca Ghiretti del MERICS spiega come una volontà cinese di "continuare a occupare una via di mezzo, un’area grigia che le consentirebbe di mantenere relativi buoni rapporti con tutte le parti”. Inoltre, dall'analisi delle dichiarazioni di Wang Yi e del dialogo tra Xi, Macron e Scholz emerge la chiara opposizione alle sanzioni e alla Nato, la vicinanza alla Russia, ma al tempo stesso nessun contrasto all'UE o a un'eventuale annessione ucraina come membro dell’Unione. Anzi, le parole "speriamo che l’Europa possa ottenere una percezione più indipendente e obiettiva della Cina, che lavori con noi per evitare una nuova guerra fredda" sono coerenti con le politiche passate cinesi che mirano a rendere l'UE un potere più autonomo dagli Stati Uniti e dalla Nato.

Pechino ha dunque bisogno di stabilità domestica e internazionale. Internamente, un fondamentale indicatore della legittimità della leadership del partito, si basa sul benessere socio-economico crescente, fattore che le sanzioni ostacoleranno enormemente. Esternamente invece, non può permettersi di disperdere le proprie ambizioni commerciali e geopolitiche. In sintesi, la Cina parla di ruolo attivo ma senza mettere una proposta sul tavolo e facendo presumere di rafforzare un eventuale proposta europea che al momento sembra escludere gli Usa.

Tra guerra fredda e pace calda

Per capire il ruolo di mediatore della Cina è importante approfondire la posizione degli analisti internazionali e dell’opinione pubblica cinese. I più scettici, come Yan Xuetong della Tsinghua University, sono convinti che “l’ascesa della Cina a superpotenza non si possa riconciliare con l’incontestato dominio americano. Per Igor Denisov della MGIMO University, la Cina non avrebbe benefici da un eventuale mediazione, per motivi come “la vicinanza tra i leader”, “le difficoltà di Pechino di porre pressione su Mosca”, lo “sminuire o limitare il potere di negoziazione di Putin” e le “troppe parti coinvolte”. Sui social mandarini, come Weibo o Wechat, sembra prevalere la narrazione filorussa e decrescere la fiducia nell’occidente, tuttavia, è anche imperante chi si oppone alla guerra e chi si preoccupa per le vittime civili. Il pubblico cinese è diviso.

In risposta a Denisov, sul portale dell’ISPI, Giada Messetti sostiene che la Cina ci guadagnerebbe da una mediazione sotto diversi punti di vista, in particolare, nel riuscire ad avere maggiore leva e controllo sulle diverse contraddizioni che ora la intrappolano. Allo stesso modo, rafforzerebbe la sua posizione internazionale e potrebbe indebolire quella occidentale, ottenendo concessioni diplomatiche. Secondo Messetti c’è il margine per collaborare maggiormente con i cinesi, a patto però, che ora gli venga riconosciuto un ruolo paritario nella comunità internazionale, a partire dalle dichiarazioni congiunte spesso considerate unilaterali da Pechino.

Da 20 anni invece, Wang Jisi della Peking University, dice che “piuttosto che parlare di guerra fredda tra Cina e Occidente, bisognerebbe parlare di pace calda”. Secondo l’autore che è ritornato sul tema di recente, la pace calda è il paradigma che meglio identifica l’evoluzione dei rapporti sino-americani, perché nonostante le relazioni sembrano raffreddarsi (come con la guerra commerciale iniziata da Trump), in realtà il confronto è acceso e l’integrazione dei due sistemi prosegue. “La prossima fase delle relazioni non salperà facilmente.” scrive Wang,  “tuttavia, entrambi hanno abbastanza incentivi per tenere la mente lucida e le relazioni bilaterali sotto controllo, dato che fronteggiano forti impellenze nell’agenda domestica”. I cinesi sembrano averlo capito, tutto però è ancora da scrivere e, soprattutto, non dipenderà solo da loro.

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