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Guerra in Ucraina

Perché la Cina sta con Putin, ma fino a un certo punto

Gli investimenti in Ucraina, la questione Taiwan, il rapporto con la finanza globale: dietro alle parole di sostegno e alle strette di mano, l’alleanza tra la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping non è così salda come sembra.
A cura di Gian Luca Atzori
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Cresce la preoccupazione per il conflitto ucraino e ci si interroga sulla posizione della Cina. C’è chi la descrive come un alleato russo e chi invece solleva non pochi dubbi. Quello che è certo è che Pechino avrà un ruolo decisivo per l’esito della guerra e il futuro ordine geopolitico. Perciò è fondamentale fare chiarezza. Come si sta evolvendo il rapporto tra Xi e Putin? Che differenze ci sono tra Kiev e Taipei? Che impatto avranno sanzioni e Swift sulla Cina? Come stanno reagendo i suoi vicini?

Attualmente ci troviamo nel periodo storico più alto dal dopoguerra per le relazioni sino-sovietiche che corrisponde anche al più basso per le relazioni di Washington e Bruxelles con Mosca. Nel 2019, Xi non esitò a definire Putin il suo “migliore amico”. I due leader hanno la stessa età, sono cresciuti all’interno di un regime comunista, vantano una lunga militanza politica e una forte conoscenza militare e si riconoscono nel contrasto all’imperialismo americano. Negli ultimi 10 anni hanno mostrato grande sinergia nell’opporsi alla NATO e alle "rivoluzioni colorate” in Ucraina e Georgia, descritte come un tentativo di interferenza occidentale.

Un “alleanza” ribadita anche in occasione delle Olimpiadi, che sono iniziate con nuovi accordi tra i Paesi, e sono terminate con l’invasione del Donbass. Un’invasione che, tuttavia, pare fosse ignota a Pechino. Ciò lo si può dedurre dalle prime dichiarazioni del Ministro degli esteri Wang Yi, il quale ha ribadito “il rispetto della sovranità” ucraina. Quella che, in apparenza, sembra una solida amicizia, presenta infatti numerose zone di attrito. Xi è portato a cercare di tenere insieme più contraddizioni, ovvero: gli interessi anti-americani; il rapporto con la Russia; gli investimenti in Europa e Ucraina con la Nuova Via della Seta; la politica di non-interferenza; la situazione interna al Partito (in vista del nuovo Congresso); i suoi interessi in Africa (tutti i rappresentanti africani all’Onu hanno votato contro la Russia); l’impatto negativo delle sanzioni; la crescita delle tensioni nel Mar cinese e le sue rivendicazioni territoriali, che nulla hanno da spartire con quelle di Mosca.

Perciò, mentre il Consiglio di sicurezza Onu condannava Putin, la Cina, come un’equilibrista, si asteneva. Da una parte parlando di sovranità, dall’altra condannando le sanzioni e condividendo intelligence con Mosca, in uno sforzo volto a ribadire l’impegno diplomatico per evitare uno scontro. Una posizione che non ha preoccupato solo l’occidente. Il conflitto di Kiev segnerà infatti i limiti o le potenzialità inespresse della collaborazione tra le due potenze.

Le differenze tra Mosca e Pechino, tra Kiev e Taipei

Innanzitutto, la Russia rappresenta tutto ciò che la Cina non vorrebbe essere. Putin si è formato in un impero in decadenza, Xi in un impera in ascesa. Il primo mira a un ordine passato, il secondo a un ordine futuro. Diversa è anche l'approccio filosofico e militare, dalla concezione di egemonia russa (Russkiy Mir) e cinese (Tianxia), alla propensione all’intervento bellico. Come twittato dal diplomatico Liu Xiaoming, la Cina non ha “mai invaso altri paesi o ingaggiato guerre per procura". Mentre l’Europa ripiomba nel conflitto però, gli Usa guardano al Pacifico e alla contrapposizione con Pechino che, per alcuni -come il Primo Ministro inglese Boris Johnson- potrebbe scorgere nella crisi Ucraina un nuovo pretesto, dopo l’Afghanistan, per riprendersi Taiwan. La “questione Taiwan” – ricostruita da Lorenzo Lamperti su China Files in collegamento dall’isola- è tra le principali ragioni per cui gli Usa non possono cedere a Putin ma, al tempo stesso, non possono lasciarsi trascinare dentro un confronto capace di togliere priorità al Pacifico.

Tuttavia, come riportato anche da The Diplomat, la Cina potrebbe non giovare di una situazione di tensione permanente né di un aumento del livello della tensione globale e, al contrario dei paesi Nato, Pechino non ha obblighi militari nei confronti di Mosca. Per Pei Minxin, c’è infatti una distinzione centrale tra Putin e Xi nelle vicende ucraine e taiwanesi. Il primo più che volersi riprendere l’Ucraina, tende alla diplomazia coercitiva. Mentre Taiwan per i cinesi non è un pretesto per fare rivendicazioni diplomatiche, non è un mezzo, è il fine. Inoltre, secondo diversi esperti, in caso di attacco cinese la risposta americana sarebbe militare. Fattore che rende ancora più debole la narrazione per cui la crisi ucraina possa essere un banco di prova per le mire cinesi. Come sottolineato dal New York Times: “l’amministrazione Biden non ha mandato truppe in Ucraina ma non ha detto se lo farebbe a Taiwan. Tale politica, conosciuta come “ambiguità strategica” è un pilastro storico della deterrenza americana”.

Soprattutto, la gran parte dei Paesi che ha rapporti con Pechino accetta la politica dell’Unica Cina, riconoscendo Taiwan come un elemento di politica interna mandarina. Una situazione molto differente rispetto al riconoscimento unilaterale russo delle sedicenti repubbliche ucraine. Come potrebbe, infatti, la Cina appoggiare i separatisti del Donbass, senza provare imbarazzo nel non riconoscere nessun'altra rivendicazione indipendentista precedente, a partire da Taiwan, Xinjiang, Tibet e Mongolia, fino alla Catalogna. Per questo la migliore soluzione teorica per Pechino, per quanto complessa, sarebbe quella di ergersi come pacificatore tra le parti, rafforzando la propria posizione mentre le altre potenze coinvolte indeboliscono la loro. 

Dal canto suo, Taiwan, definito da The Economist “il posto più pericoloso della terra”, mostra il suo sdegno. Non tollera le dichiarazioni di Putin sulla sua appartenenza a Pechino e neanche i numerosi parallelismi tra Kiev e Taipei che accrescono la tensione. Non a caso, a breve sarà prevista prima la visita di Biden, poi quella di Pompeo, ex-Segretario di Stato con Trump, che durante il suo mandato ha spesso esasperato la rivalità tra Cina e Taiwan. Se c’è infatti qualcosa che, ora, accomuna l’opinione pubblica cinese e taiwanese è la tendenza a incolpare gli Usa per l’escalation, sottolineando l’inaffidabilità di Washington, in particolare dopo la disastrosa ritirata dall’Afghanistan. Una sensazione presente anche sui social cinesi. Su Weibo gli utenti sono divisi, in molti non considerano la guerra una soluzione, ma secondo il New York Times la gran parte è pro-Putin e pro-guerra, con commenti quali: “la migliore eredità dell’ex-Urss”, “il più grande stratega del secolo”. Neanche l’ambasciata cinese in Russia si risparmia, pubblicando post legati a tutti gli interventi militari della Nato. Opposta la reazione di quella ucraina che invece mostra preoccupazione per i civili mandarini e invita alla diplomazia.

Le sanzioni e le alternative russe e cinesi allo SWIFT

In risposta alle prime sanzioni, la Cina ha tolto alcune restrizioni sull’importazione di grano russo, ma bisogna vedere se sarà in grado di rispettare le restrizioni sull’accesso ai capitali. La principale sanzione definita “senza precedenti” da Biden a Putin riguarda infatti il tagliare la Russia fuori dal sistema di interscambio economico globale (SWIFT), un’azione che, secondo The Guardian, porterebbe ad un’escalation drammatica nel breve periodo e potrebbe accelerare lo sviluppo di un sistema alternativo da parte di Mosca e Pechino.

Nel 2010, i due paesi siglarono un accordo volto a rinunciare al dollaro americano come unica via di scambio bilaterale. Un processo che si è rafforzato nel 2014, in seguito all’invasione della Crimea, quando venne paventata, come in queste ore, la possibilità di esclusione dalla Russia dallo SWIFT. Nel 2014 e nel 2015, infatti, Russia e Cina hanno rispettivamente creato la propria alternativa, il russo System for Transfer of Financial Messages (SPFS) e il cinese Cross-Border Interbank Payment System (CIPS). Attualmente, tali infrastrutture non possono competere con lo SWIFT, ma un’eventuale esclusione potrebbe rivalutare il processo e, secondo le previsioni del Carnegie Endowment for International Peace del 2018, fornire un’alternativa finanziaria molto potente per la Russia in caso di rapporti instabili con l’Occidente. Tuttavia, anche qualora tutto ciò dovesse avverarsi, la crescita delle sanzioni porterebbe la Russia a divenire ancora più soggetta alla volontà cinese e vista la situazione ambientale, energetica e geopolitica, in dieci anni l’Ue potrebbe ridurre in maniera radicale la dipendenza dai carburanti russi, spingendo ancora più Mosca tra le braccia di Pechino.

Inoltre, il conflitto ha trasformato il celebre Win-win cinese (la prima maiuscola è voluta) in Ucraina, in un potenziale lose-lose su tutta la Nuova Via della Seta. Secondo Elizabeth Wishnick, ricercatrice americana del CNA, “Se il risultato di questo conflitto è uno stato fantoccio russo, le compagnie cinesi affronteranno sanzioni e ci saranno limiti auto-imposti al commercio e ai legami inter-governativi, come in Crimea”. 

Le posizioni di Giappone, Coree, India e Sud-Est asiatico

Tra la Cina, Taiwan e la Russia si trovano il Giappone e le due Coree. A quasi 120 anni dalla guerra russo-giapponese, Tokyo condanna le azioni di Putin e mostra timore per la possibilità data a Pechino di trarre giovamento dalla distrazione americana. Anche Moon Jae-in, presidente sudcoreano, ha condannato la Russia, mentre Kim Jong Un ha incolpato "l'atteggiamento egemonico e i doppi standard degli Usa” che violano gli altri paesi in nome della “pace e stabilità” ma poi condannano “la difesa della sicurezza nazionale di altri paesi”.

Incerto invece l’atteggiamento di India e sud-est asiatico. L’India si è astenuta all’Onu, proprio come la Cina, mostrando la limitatezza del Quad, l’intesa con Usa, Giappone e Australia per isolare Pechino. Nel Sud-est invece, la Russia è uno dei principali fornitori di energia e armamenti e, secondo Kent Wong, direttore di VCI Legal in Vietnam, la regione potrebbe guadagnare da una diversificazione dovuta alle incertezze degli investimenti russi e cinesi in est Europa. Questo perché l’energia russa è un forte motore di crescita per l’area, tre dei 10 principali partner commerciali di Mosca si trovano qui e il conflitto incide sui prezzi dei carburanti, soprattutto per una regione che consuma il 35% di petrolio ma ne produce solo l’8%. Il ministro degli esteri dell’Asean è stato l’ultimo ad esprimersi, anch’esso mostrando preoccupazione ma non condannando la Russia.

Di fronte a tali implicazioni, rimane dunque incontestabile come la crisi nel Mar Nero stia avendo un impatto sugli equilibri di potere, sul dilemma delle sicurezza, sulle tensioni socio-politiche e sulla corsa agli armamenti, dal Mediterraneo al Pacifico. Secondo John Culver, ex-agente CIA esperto di Cina, la scelta di Pechino dipenderà da come deciderà “di bilanciare quanto vuole investire su Putin da quanto questo gli costerà strategicamente”. Se la storia recente politica cinese ci ha insegnato qualcosa è che questa scelta sarà ragionata e pragmatica, ma anche che Xi è stato capace in più occasioni sia di rafforzare certe ambizioni e sia di dare un taglio netto a certe tradizioni. 

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