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Covid 19

Mentre Israele riapre, in Palestina si muore ancora di Covid: “Ospedali pieni e giovani intubati”

Mentre Israele si avvia verso l’immunità di gregge, la vicina Palestina sta attraversando una nuova ondata della pandemia di Covid-19, con gli ospedali saturi e sempre più giovani ricoverati in terapia intensiva a causa della variante inglese. Chiara Lodi di Medici senza Frontiere a Fanpage.it: “È difficile vedere tutti questi pazienti che hanno fame d’aria, alcuni sono intubati, altri ventilati, e non riuscire davvero ad aiutarli”.
A cura di Ida Artiaco
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Mentre Israele riapre bar, musei e ristoranti grazie al successo della sua campagna di vaccinazione contro il Covid-19, nella vicina Palestina si continua a morire a causa della pandemia di Coronavirus. Gli ospedali sono al collasso, i vaccini scarseggiano e le autorità non riescono a far rispettare le misure anti-contagio. È quanto denuncia Medici senza Frontiere, da mesi impegnati a gestire l'emergenza sanitaria in Cisgiordania. Sono oltre 20mila le persone attualmente in cura, cifra alta determinata dalla variante inglese, responsabile del 75% delle nuove infezioni. La situazione è particolarmente difficile a Hebron e a Nablus, dove l'ospedale Palestinian Red Crescent Society (PRCS) è saturo e sta trasformando l’unità per le cure respiratorie in un reparto Covid-19.

"Solo nel nostro Covid Hospital a Hebron – ha raccontato a Fanpage.it Chiara Lodi, referente medico del progetto di Medici senza Frontiere in Cisgiordania – muoiono in media 2 o 3 persone al giorno, che rappresenta una mortalità molto alta. Purtroppo ciò che manca è il minimo rispetto delle misure protettive. La situazione è peggiorata subito dopo Natale, da allora si assiste ad una risalita della curva epidemiologica. Molti pazienti che vengono intubati, a differenza della prima ondata, hanno meno di 64 anni d'età, vediamo anche molti 28enni, contagiati dalla variante inglese del Covid-19. È difficile vedere tutti questi malati che hanno fame d'aria, alcuni sono intubati, altri ventilati, e non riuscire davvero ad aiutarli".

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Secondo Chiara, "lo Stato non ha alcun tipo di autorità. In teoria da lunedì scorso dovrebbe essere in vigore il lockdown e il coprifuoco a partire dalle 19, ma sono in pochi a rispettarlo". Oltre alla poca capacità delle istituzioni di imporre le misure anti contagio, il problema della Palestina è che "mancano medici specializzati. Ce ne sono solo 5 di terapia intensiva in tutto il Paese. Per questo noi come Medici senza Frontiere li aiutiamo a sviluppare competenze nelle cure in area critica", ha aggiunto ancora Chiara, la quale ha sottolineato che "mancando personale, queste donne e uomini, dopo un anno di emergenza sanitaria, sono sfiniti, non ce la fanno a reggere una nuova ondata".

A scarseggiare sono anche e soprattutto i vaccini. Tutto questo mentre la vicina Israele ha somministrato già la seconde dose a circa metà della propria popolazione. "La responsabilità di questa situazione è condivisa tra Israele e Palestina, non si sono coordinati – ha spiegato Chiara -. Per la popolazione non cambia molto, ma per noi sì. Per questo è importante parlarne e far capire cosa sta succedendo. Da un paio di settimane hanno cominciato a vaccinare il personale sanitario, ma per la vaccinazione di massa mancano direttive". Dunque, se da un lato Israele va verso l'immunità di gregge senza dare alcun contributo significativo all’avanzamento delle vaccinazioni nei Territori palestinesi, dall'altro, è ancora difficile avere un quadro chiaro della disponibilità e della strategia vaccinale delle autorità sanitarie palestinesi. "E nel frattempo – ha concluso Chiara -, i sanitari in prima linea e le categorie più vulnerabili in Palestina non sono neanche lontanamente protetti dalla malattia".

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