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Marocco, dove amare è un reato: “Qui se sei omosessuale finisci in carcere e perdi tutto”

Dalle terrazze di Marrakech ai rifugi nascosti, la vita della comunità LGBTQ+ marocchina è fatta di silenzi, parole in codice e incontri clandestini. Abbiamo incontrato Ahmed e ci ha raccontato cosa vuol dire vivere in un Paese dove l’omosessualità è un reato.
A cura di Elisabetta Rosso
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Vibra il telefono: “Va bene, possiamo incontrarci”. È Ahmed, sono settimane che ci scriviamo, ma vedersi è più complicato del previsto. Gli propongo di incontrarci nel riad dove alloggio. Mi risponde "no, non è sicuro" poco dopo aggiunge, "non mi fido del personale dell'hotel, ti farò sapere io posto e ora". Ahmed ha paura perché è omosessuale, e l'omosessualità in Marocco è un reato secondo l'articolo 489 del codice penale. Le pene vanno dai sei mesi ai tre anni di carcere e una multa fino a 1.000 dirham, circa 100 euro.

Qui se sei omosessuale finisci in prigione”, Ahmed posa il the. Siamo in un locale al terzo piano poco distante dalla Medina di Marrakech, appoggiati a una parete damascata, il brusio è forte, le tazze sbattono sul bancone. “Questo è un posto amico”, mi dice, “possiamo stare tranquilli”. Ahmed ha una mappa tracciata in testa dei posti dove può andare e dove non può andare “piano piano impari quali sono i rischi e come è meglio muoversi”.

Gli chiedo di partire dall’inizio, lui abbozza un sorriso e si passa una mano sul volto. Ahmed – nome di fantasia per tutelare l'anonimato- ha 25 anni, da 11 sa di essere omosessuale. “Quando mi sono venuti i primi dubbi ho provato a scacciarli, sapevo che sarei andato incontro a una vita difficile, sin dalla scuola ti dicono che è un peccato, che è innaturale, ma poi ti innamori e non ci puoi fare più nulla”. La famiglia non lo sa, gli amici nemmeno. “Amo mia madre ma non penso che capirebbe, e tanti genitori hanno rinnegato i figli quando l'hanno scoperto, alla fine puoi dirlo solo a chi è come te”.

Accende una sigaretta. “Vuoi sapere quanto è pericoloso?" Fa una pausa, poi apre il pacchetto e me ne offre una. "Ti racconto una storia. Avevo due amiche lesbiche, stavano insieme. Una sera si incontrano di nascosto su un tetto, si scambiano un bacio. Un vicino le vede dalla finestra, chiama la polizia. Le hanno arrestate. Quattro mesi di prigione. Per un bacio. Ti rendi conto?”.

La caccia

La comunità LGBTQ + in Marocco è regolarmente vittima di discriminazione e violenza, "non ti senti mai al sicuro". Almed le chiama la chasse la caccia. Una persecuzione silenziosa e costante, sostenuta dalla legge e alimentata dal pregiudizio. “La polizia fa irruzione nei locali, ti picchiano finché non vedono il sangue. Se va bene ti lasciano andare, se no finisci in carcere,” racconta. “Ma la cosa peggiore è che a volte sono le famiglie a denunciare i figli. Genitori, fratelli, amici". Silenzio. "È per questo che non volevi incontrarci nel riad?". Ahmed mi guarda, il rumore dei motorini sale dalla strada. "Sì, sarebbe stato strano, qualcuno avrebbe fatto domande, qualcuno avrebbe detto qualcosa, non potevo rischiare".

"Negli ultimi anni sono iniziate anche le cacce sui social”, aggiunge Ahmed. Per esempio, durante il Covid, quando Sofia Taloni, modella e influencer transgender, ha lanciato una diretta su Instagram invitando le donne marocchine a creare falsi profili su app di incontri gay.

“Diceva di voler mettere in luce l’ipocrisia della società marocchina, mostrando quanti uomini nel Paese vivano in segreto la propria omosessualità”, spiega Ahmed. “Guarda”, gira il telefono e mi mostra alcuni video. “Le foto di molti uomini hanno iniziato a circolare ovunque, accompagnate da insulti e minacce. Molti si sono trovati costretti a vivere in casa durante il covid con familiari che avevano scoperto tutto, è stato terribile”.

Vivere nel segreto

Per capire meglio la portata del fenomeno contatto Ismael e gli chiedo di incontrarci in un cafè centrale di Marrakech. Ha 27 anni e da cinque lavora presso l’associazione Akaliyat, un punto di riferimento e supporto per la comunità LGBTQ+. “La situazione è terrificante”, mi dice appena ci sediamo. “Oltre alla criminalizzazione, c’è l’isolamento familiare, la perdita del lavoro, la violenza domestica. Molti finiscono per strada. Spesso chi viene scoperto perde tutto: casa, amici, dignità.

Mi racconta di Leila, nome di fantasia. “Un familiare le ha letto i messaggi sul telefono e ha scoperto che aveva una ragazza. È stata picchiata, rinchiusa in casa e minacciata di matrimonio forzato. Alla fine è riuscita a scappare con l’aiuto di amici e si è rivolta a noi. Ma non tutti hanno questa possibilità.” Ismael sospira, poi aggiunge: “Anche accedere a cure mediche è complicato. Molti soffrono di depressione, ansia, disturbi post-traumatici. Vivere nel segreto ti logora.”

Reti sotterranee e parole in codice

Incontrarsi, per la comunità LGBTQ+ marocchina, non è semplice.  “Tutti hanno paura,” spiega Ismael. “Abbiamo paura noi che le persone che ci cercano possano essere degli infiltrati e hanno paura loro perché temono di essere traditi o scoperti.” Per questo ogni incontro è preceduto da un processo di verifica: nomi, documenti, profili social, poi una videochiamata conoscitiva. Solo dopo si ottiene l’indirizzo. “Il luogo cambia ogni volta. È segreto. Non puoi dirlo a nessuno, nemmeno ai tuoi amici. Spesso usiamo parole in codice.”

Akaliyat, offre supporto su vari livelli. “Aiutiamo le persone che affrontano rischi urgenti — come senzatetto, violenze familiari o minacce legali — mettendole in contatto con rifugi sicuri, supporto psicologico, assistenza legale o medici di fiducia, quando possibile.”

Non solo emergenza, però. “Offriamo anche formazione, workshop e spazi sicuri dove le persone LGBTQ+ possano incontrarsi e sentirsi protette. Documentiamo le violazioni dei diritti umani, sensibilizziamo a livello locale e internazionale e facciamo advocacy per leggi che rispettino l’uguaglianza e la dignità di tutti, incluso l’abolizione dell’articolo 489.

Finché la legge non cambierà

Le associazioni lavorano nell'ombra e non tutti possono accedere facilmente, chi vive lontano dalle città più importanti spesso rimane isolato. "Io per esempio sono fortunato perché vivo a Marrakech, sono riuscito tramite il passaparola a scoprire che non ero solo e questo è stato un sollievo", mi dice Ahmed. Siamo fuori dal locale, sta tramontando e i muezzin hanno iniziato da poco a cantare dai minareti, spezzati dai clacson dei motorini. "Io lo so che adesso sono davanti a un bivio, perché dovrei sposarmi e far finta di avere una vita normale. Ma non è quello che voglio, eppure che alternative ho?" Mi dice anche che a volte spera che succeda qualcosa prima, "che la legge cambi, che essere omosessuale non sia più un reato. Forse non farò in tempo a vederlo, io però non smetto di crederci".

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