Israele bombarda Gaza, almeno 82 morti. Sanchez (Spagna): “Non commerciamo con uno stato genocida”

Israele ha intensificato i raid aerei su Gaza mentre si sta tenendo la visita del presidente USA Donald Trump in Medio Oriente e proseguono, seppur senza significativi passi in avanti, i colloqui per un cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Nelle ultime ore, almeno 82 di palestinesi sono stati uccisi a seguito di attacchi aerei dello stato ebraico su Khan Younis, nel sud della Striscia, e altre località, secondo quanto riportato dalle autorità locali. Intanto, nuovi ordini di evacuazione diramati da Israele hanno provocato il panico tra i residenti dell’area occidentale di Gaza City.
Nel frattempo, un’organizzazione umanitaria sostenuta dagli Stati Uniti ha annunciato che inizierà le operazioni di assistenza entro due settimane, come parte di un nuovo piano di distribuzione degli aiuti – già al centro di forti critiche. L’ente ha chiesto a Israele di consentire temporaneamente la ripresa delle consegne da parte delle Nazioni Unite e di altri attori internazionali, fino al pieno avvio delle proprie attività.
A Gaza "fame catastrofica per 470.000 persone"
La situazione umanitaria continua a peggiorare: da oltre dieci settimane non è stato autorizzato l’ingresso di rifornimenti a Gaza e le organizzazioni umanitarie avvertono che la popolazione è a rischio carestia. La conferma di quanto sia grave quello che sta avvenendo è stata fornita nei giorni scorsi dall'Integrated Food Security Phase Classification (IPC): 470.000 persone nella Striscia stanno affrontando una fame catastrofica (Fase 5 IPC), e l'intera popolazione è colpita da insicurezza alimentare acuta. Il rapporto prevede inoltre che 71.000 bambini e oltre 17.000 madri avranno bisogno di cure urgenti per malnutrizione. "Le famiglie a Gaza stanno morendo di fame mentre il cibo di cui hanno bisogno è bloccato al confine. Non possiamo farlo arrivare a loro a causa del conflitto riesploso e del blocco totale degli aiuti umanitari imposto all’inizio di marzo", ha dichiarato Cindy McCain, Direttrice Esecutiva del Programma Alimentare Mondiale (WFP) delle Nazioni Unite. "È imperativo che la comunità internazionale agisca con urgenza per far riprendere il flusso di aiuti verso Gaza. Se aspettiamo la conferma di una carestia, per molte persone sarà già troppo tardi".

Sanchez: "Non commerciamo con uno stato genocida"
La comunità internazionale tuttavia di fatto resta immobile e solo di rado emergono voci radicalmente critiche verso le politiche di Israele. Una di questa, nei giorni scorsi, è stata quella del primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, il quale ha affermato che il suo governo non commercia "con uno Stato genocida".
Rispondendo alle domande del parlamentare dell'ERC (sinistra indipendentista catalana) Gabriel Rufián, che aveva accusato il governo di "commerciare con uno Stato genocida come Israele", il primo ministro ha risposto, senza nominare il Paese: "Chiarirò una cosa. Non commerciamo con uno Stato genocida. Non lo facciamo".

Le relazioni diplomatiche tra il premier spagnolo Pedro Sánchez e il governo di Benjamin Netanyahu, il più a destra nella storia di Israele, hanno conosciuto un progressivo deterioramento sin dall’inizio dell’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza. Un primo segnale della frizione si registrò nel novembre 2023, durante la visita di Sánchez in Israele – l’unica dall’inizio del conflitto – quando il leader iberico espresse apertamente il proprio sconcerto di fronte alle immagini provenienti da Gaza. "Il mondo intero è sconvolto dalle immagini che vediamo ogni giorno a Gaza. Il numero di palestinesi uccisi è davvero insopportabile", disse Sánchez a Netanyahu, in una dichiarazione che risuonò con forza nei circoli diplomatici.
A gettare benzina sul fuoco fu, poco dopo, la visita del premier spagnolo al lato egiziano del valico di Rafah, una mossa interpretata da Tel Aviv come una presa di posizione implicita a favore dei palestinesi. Da quel momento, la crisi diplomatica ha assunto proporzioni sempre più marcate, fino a sfociare in decisioni concrete che hanno ulteriormente irrigidito i rapporti.
A maggio 2024, la Spagna ha ufficialmente riconosciuto lo Stato di Palestina, una scelta accolta con irritazione dal governo israeliano. La risposta non si è fatta attendere: Tel Aviv ha imposto il divieto al consolato spagnolo a Gerusalemme di offrire servizi ai cittadini palestinesi, accompagnando il provvedimento con l’esplicita minaccia di chiusura della sede diplomatica.
Il mese successivo, Madrid ha compiuto un ulteriore passo, schierandosi apertamente nel campo legale internazionale. La Spagna si è infatti unita formalmente alla causa intentata dal Sudafrica presso la Corte internazionale di giustizia dell’ONU, che accusa Israele di genocidio a Gaza. Una mossa che sancisce l’approfondirsi di una frattura diplomatica destinata a lasciare il segno nei rapporti tra i due Paesi.