Intervista allo storico Galeotti: “Putin è convinto sarà Kiev a cedere. Trump? L’Ucraina gli interessa poco”

La Russia non ha cambiato di un millimetro le condizioni da cui fa dipendere un processo di pace che non sembra aver fretta, né desiderio, di iniziare davvero. L’indicazione più chiara è arrivata dal ministro degli Esteri Sergey Lavrov: nessun cessate il fuoco prima di un negoziato che risolva “le cause” del conflitto. Ovvero senza prima demilitarizzare l’Ucraina, avere a Kyiv un governo amico di Mosca e interferire nella legislazione interna del Paese vicino — oltre a vietarne l’entrata nella Nato.
“Sono richieste che minano alle fondamenta ogni trattativa, perché l’Ucraina non le accetterà mai”, commenta a Fanpage.it lo storico inglese di origini italiane Mark Galeotti, che alla Russia e al regime di Vladimir Putin ha dedicato decine di libri. Infatti, il summit tra Trump e Putin è rinviato a chissà quando: posizioni troppo distanti, riconosce la Casa Bianca. Al cui interno, secondo Galeotti, è in corso un conflitto tra chi vuol sostenere l’Ucraina e chi — come il presidente Usa— vuol chiudere la guerra il prima possibile, qualsiasi sia il costo per la parte più debole.
Intanto, le nazioni europee lavorano con Kyiv a una proposta in 12 punti per “congelare” le linee attuali del fronte, scrive l’agenzia Bloomberg citando fonti a conoscenza del piano. Che prevede il cessate il fuoco immediato e solo in seguito un tavolo negoziale. Il contrario di quel che dice Lavrov, vecchio diplomatico un tempo stimato e rispettato in tutte le cancellerie oggi ridotto a portavoce: a Mosca la politica estera la fa solo Vladimir Putin. Il piano europeo comprende, secondo Bloomberg, un “consiglio di pace” presieduto dal Trump e il ritorno di tutti i bambini deportati. Per l’Ucraina, garanzie di sicurezza, riparazioni e adesione rapida aderire all’Unione Europea.
Galeotti ritiene che comunque il ruolo dell’Europa sia al momento destinato alla marginalità, e che ogni residua speranza di porre fine al massacro risieda nei colloqui russo-americani. Il problema è che Putin “è convinto di vincere” e che l’America “non ha una sola politica estera, ne ha molteplici”. E l’imprevedibile Trump, guidato dall’ambizione più che dalla logica, “un giorno ne sceglie una e il giorno dopo un'altra”.
Abbiamo parlato con Mark Galeotti per fare sulla situazione diplomatica, sulla strategia politico-militare della Russia e sulla personalità del suo attuale leader.

Professor Galeotti, secondo la Cnn l’incontro tra Lavrov e Rubio è stato sospeso perché Mosca “chiedeva troppo”. Il resoconto del Financial Times sul colloquio fra Trump e Zelensky — smentito dalla Casa Bianca ma ben circostanziato — indica sostegno Usa alle condizioni massimaliste Putin. Ci aiuta a capire dove siamo?
C’è una una specie di guerra civile all’interno dell’amministrazione americana. A Trump in realtà interessa poco dell’Ucraina, e vorrebbe è semplicemente trovare la via più breve e più facile per arrivare a qualsiasi tipo di accordo.
Per rivendicarlo come un trionfo?
Esatto, magari sperando ancora in un Nobel per la pace. Individua gli ucraini come l’anello debole e se ne approfitta. Mentre sappiamo che Marco Rubio e altri all’interno dell’amministrazione sono più favorevoli all’Ucraina e cercano di frenare l’appoggio agli obiettivi di guerra di Putin.
E come andrà a finire? Ci sarà davvero un vertice tra Putin e Trump a Budapest o altrove?
Impossibile dirlo (mentre trascriviamo questa conversazione, il corrispondente NBC dalla Casa Bianca riferisce, citando funzionari dell’amministrazione Usa, che la preparazione dell’incontro è in stand by a causa delle divergenze fra le due parti, ndr). Il problema è che alla Casa Bianca non esiste una politica estera, ne esistono molte. Lo stesso Trump ne ha diverse e cambia di giorno in giorno quale adottare. Alla fine, penso che ci sarà una qualche forma di contatto al più alto livello tra russi e americani.
Qual è il maggior ostacolo a una “pace trumpiana” in Ucraina?
Credo che i collaboratori di Trump – o almeno Rubio e quelli della sua area – stiano cercando di convincere i russi a fare un passo indietro rispetto alle loro richieste sulla regione di Donetsk. Perché sono un grosso ostacolo. Se Putin è davvero determinato a ottenere quel restante venti per cento circa dell’oblast di Donetsk, la pace non è possibile. E parte della Casa Bianca questo lo capisce.
Ma quella sul Donetsk potrebbe anche essere una mossa negoziale e non una linea rossa. Forse Putin potrebbe accettare un grande compromesso, in cambio della fine delle sanzioni e della porta chiusa all’ Ucraina nella Nato.
Questo lo capiremo solo con negoziati seri. E poiché al momento sembra impossibile un negoziato diretto tra Russia e Ucraina, e l’Europa si è di fatto auto-esclusa da ogni trattativa con Mosca, penso che una ulteriore conversazione tra Putin e Trump sarebbe utile. Almeno, ci darebbe la possibilità di chiarire la situazione reale.
Il confronto deve essere necessariamente al più alto livello? Non basta che si parlino Rubio e Lavrov?
Rubio sta praticando un gioco di nervi, per cercare di spingere il Cremlino ad ammorbidire le sue richieste. Colloquio dopo colloquio, rimandando una conclusione. La speranza, tenue, è che i suoi interlocutori si rendano conto che le loro condizioni estremiste sono impraticabili. Ma anche se si arrivasse a un risultato del genere, dovrebbero poi essere i due presidenti a chiudere l’accordo.
È che non ci sono solo le richieste territoriali. Anzi, da Mosca i consiglieri dello zar ripetono al nostro giornale che i territori non sono prioritari. E che invece non è negoziabile la demilitarizzazione dell’Ucraina e un governo amico della Russia
Altre cose che l’Ucraina non accetterà mai. Condizionare la pace alla demilitarizzazione del Paese è irrealistico. Ma gli Stati Uniti potrebbero mettere sul tavolo limiti agli armamenti da dare a Kyiv. Sarebbe già qualcosa. Tutto dipende da Trump.
Se il summit Trump-Putin si farà, la sede sarà davvero Budapest?
Sembra un luogo abbastanza logico. Difficile far saltare tutto solo per la location. Se l’Unione Europea cercasse di mettere i bastoni tra le ruote agli ungheresi, per esempio impedendo che l’aereo di Putin arrivi fino a Budapest (la Polonia impedirà all’aereo presidenziale russo di volare nel su spazio aereo, ha detto il ministro degli Esteri Radosław Sikorski, ndr), allora cadrebbe davvero nella trappola di Putin.
E quale sarebbe, la trappola di Putin?
Il leader del Cremlino presenterebbe gli europei come quelli che stanno cercando di impedire ogni tipo di negoziato. Potrebbe benissimo dire: “Vedete, non posso andare a Budapest, quindi, Donald, dovrai venire tu a Mosca”. Il che sarebbe ovviamente una grande vittoria per Putin.
Quindi penso che se il summit si farà — ed è dubbio —, si farà a Budapest.
Intanto una trappola Putin l’ha fatta scattare per Zelensky, con la telefonata a Trump che ha in pratica cancellato — almeno dallo scenario attuale — l’invio dei missili Tomahawk a Kyiv.
Ha dimostrato di essere un “sussurratore di Trump” molto più competente di Zelensky. Da quanto mi risulta, Putin nella telefonata è stato quasi deferente, certamente educato. E si è concentrato sulle opportunità economiche per l’America, che è esattamente ciò che Trump vuole sentire. Mentre, Zelensky è stato piuttosto conflittuale durante l’incontro alla Casa Bianca. È stato insistente, e anche questo ha spinto Trump a reagire male.
Professore, è da poco uscito anche in italiano il suo libro“Forgiati dalla guerra: una storia militare della Russia dalle origini a oggi” (LEG, 2025). Quale lezione dei conflitti passati è più rilevante per comprendere la Russia di oggi la sua guerra in Ucraina?
La cultura strategica emersa in Russia nel corso dei secoli si fonda sull’insicurezza. Paese enorme e senza confini difendibili, con la sua posizione tra Europa e Asia ha sempre attratto le potenze militari via via emergenti — dai Mongoli ai Cavalieri teutonici, da Napoleone a Hitler. Invasione dopo invasione. Relativamente povera, si è trovata di fronte nemici più avanzati tecnologicamente e militarmente. Questo ha creato un’insicurezza di fondo nei leader russi. E la loro convinzione che — per usare una frase di Putin, imparata da ragazzo nelle gang giovanili di Leningrado — se stai per entrare in una rissa, devi dare tu il primo pugno. È il concetto di difesa aggressiva, e continua ad agire. Anche in Ucraina. Quando Putin dice che è dovuto intervenire perché sarebbe stata usata come base dalla Nato, ha torto ma ci crede davvero. Non è solo propaganda. Ritiene che il Paese vicino sarebbe stato “rubato” dall’Occidente alla sfera d’influenza russa. Così ha colpito per primo.
Una costante delle guerre russe è la noncuranza dei generali per le perdite. In Ucraina, oltre un milione di effettivi dal febbraio 2022, secondo governi occidentali e think tank indipendenti.
Dal punto di vista russo, ogni guerra è esistenziale. Per Putin e per molti russi, questa non è un’aggressione imperialista ma la difesa della Madrepatria. E quando la patria è in pericolo, si accettano tutte le perdite necessarie.
Putin crede alla sua stessa propaganda, insomma. Della quale i russi sono vittime. Lei ha aggiornato di recente un suo aureo libretto sul leader russo (We Need to Talk About Putin: How The West Gets Him Wrong, Ebury, 2019 e 2025). Putin è cambiato negli ultimi sei anni?
È diventato ancora più Putin. Come succede, invecchiando è diventato una caricatura di se stesso. Contrariamente a quel che molti pensano, è sempre stato riluttante a prendere rischi. E lo è ancora. Non ama gestire le crisi, e ancora sparisce quando ce n'è una. Mentre continua a circondarsi di uomini che gli danno sempre ragione. Cosa disastrosa nel 2022, quando ha ricevuto informazioni false sull’Ucraina.
Secondo una nostra fonte di Mosca, continua a venir informato su vittorie inesistenti.
Continua ad ascoltare le stesse persone. È sempre lui, al quadrato. Ma sono cambiati i tempi. Putin in parte rispondeva ai bisogni della Russia di inizio secolo. La Russia è cambiata. Il presidente è scollegato dal suo popolo. È un uomo fuori dal tempo e non conosce più il suo Paese. È ancora saldamente al potere, però. E temo che dovrà morire in carica, prima che in Russia si veda un vero cambiamento.
Almeno vedremo la pace in Ucraina, prima della morte dello zar?
Non è mica così vecchio. Penso che la pace abbia poche possibilità. Putin ritiene che sta vincendo. Lentamente, spargendo tanto sangue. Ma è certo della vittoria. Può accettare trattative disposto a vedere se gli viene offerto un accordo che valga la pena accettare, ma pronto a ritirarsi se non è così.
Non è certo disposto a tutto per la pace. Non pensa di dover combattere una guerra eterna. Deve solo combattere più a lungo degli ucraini, convinto che saranno loro a cedere per primi.