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Conflitto Israelo-Palestinese

Il rettore Tottoli: “La pace si fa con il nemico, bisogna prendere atto che l’interlocutore a Gaza è Hamas”

Il Rettore dell’Università “L’Orientale di Napoli” sul conflitto Israele – Palestina. “Andare avanti con le bombe non è la migliore soluzione per gli israeliani”.
Intervista a Prof. Roberto Tottoli
Rettore dell'Università di Napoli "L'Orientale"
A cura di Antonio Musella
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Il Rettore dell'Università di Napoli "L'Orientale", Roberto Tottoli, è uno dei principali esperti del mondo islamico nel nostro paese. Con lui abbiamo voluto analizzare gli scenari politici possibili nel conflitto tra Israele e Palestina, tenendo conto di quella che può essere una escalation che coinvolga l'intera regione. Dalla divisione interne in Israele fino all'individuazione dei possibili interlocutori palestinesi, Tottoli traccia una analisi che non può prescindere da un assunto storico: la pace si fa con il nemico. Per questo il rettore individua Hamas come il solo interlocutore possibile per Israele in questo momento storico per favorire una descalation del conflitto e aprire uno spiraglio di pace in uno scenario che è tornato tra i più roventi del mondo nelle ultime settimane.

Rettore assistiamo in questi giorni ad una situazione drammatica dal punto di vista umanitario e militare, ma è ancora possibile una soluzione politica al conflitto tra Israele e Palestina?

Io direi che basterebbe che ognuno riconoscesse l'esistenza dell'altro. Si parla giustamente di due Stati, due Stati che dovrebbero essere vicini l'uno all'altro, ma che gli uni riconoscano l'esistenza dell'altro sarebbe il primo punto necessario.

Di cosa si discute in Israele in questo momento?

Ora c'è una chiamata alle armi che ricorda un po' la storia delle guerre passate, questa sostanziale paura di svegliarsi una mattina e non esista più lo Stato d'Israele e si ritorni a quella condizione di subalternità che c'era prima dello Stato d'Israele. Ma questo per l'ennesima volta rinsalda uno Stato che è profondamente diviso e che gli ultimi 10 anni di vita politica hanno molto diviso. L'aumento degli ebrei ortodossi, il calare del ruolo della componente laica, l'aumento di quel 20% degli arabi di Galilea, ci danno l'idea di una società all'interno estremamente divisa e con obiettivi estremamente diversi. La componente, che personalmente conosco anche di più, quella laica, ha vissuto questa svolta verso l'ortodossia e verso destra con grande disagio. E' apprezzabile che qualcuno in Israele insista che la via di continuare con i bombardamenti su Gaza non sia la scelta migliore, non solo per rispondere all'attentato, ma anche per immaginare un futuro migliore per i propri figli. Rendiamoci conto che parliamo di uno Stato che da 70 anni consegna i propri figli all'esercito per 3 anni, in prima linea. Al di là del richiamo ideale non è proprio la migliore condizione in cui ognuno voglia far vivere i propri figli e la propria famiglia.

Hamas è considerata una organizzazione terroristica, ma c'è uno spiraglio per una interlocuzione diversa in questo momento nell'universo palestinese? 

Innanzitutto le posizioni tra l'Autorità Nazionale Palestinese e Hamas sono nettamente distinte. Hamas nasce come un movimento jihadista negli anni '70 e la sua storia è costellata di azioni di questo tipo. Ma a Gaza Hamas ha conquistato anche una maggioranza facendo convivere quest'anima con quella di un partito rappresentativo. Ma non va dimenticato che la situazione di Gaza è esplosiva, vanno avanti con gli aiuti umanitari, vive una condizione di accerchiamento in uno spazio ridottissimo in cui vivono a stento 2 milioni di persone. Chiunque direbbe che la pace la si fa con il nemico, da una parte e dall'altra, nella striscia di Gaza in adesso come adesso Hamas è sicuramente l'interlocutore, quindi bisogna parlare con Hamas lì e con l'ANP che è quello che resta dell'OLP in Cisgiordania. Il momento adesso dopo la gravità degli attentati è molto difficile, c'è sempre la speranza che il richiamo così forte alle problematicità della regione induca la comunità internazionale a fare estremamente forza sulle due parti e costringerle in qualche modo a parlare.

Nella regione ci sono anche altri attori, come Hezbollah in Libano e il regime degli ayatollah in Iran, c'è un rischio di escalation militare che coinvolga tutta la regione?

Il pericolo c'è. C'è quella che si definisce questa "Mezza Luna Sciita" di presenza politica sempre più forte, non voglio dire invadente perché è un giudizio di parere, ma sempre più forte nella regione e che si fa forza delle indecisioni del fronte sunnita, con la Turchia, l'Arabia Saudita e i paesi del Golfo, divisi e non compatti. Non credo come dicono tutti che ci sia l'Iran dietro Hamas, però ho il dubbio che l'Iran valuta positivamente questa azione ponendosi in grande contrapposizione. Il rischio di escalation c'è. Il problema è che ci siamo abituati alle continue schermagli e lanci di missili in quella zona, tanto da considerarle la normalità.

Anche su questo conflitto la comunità internazionale appare divisa, c'è il rischio che vengano mutuate le divisioni sorte già con l'invasione russa dell'Ucraina?

La vedo molto male, nel senso che gli schieramenti intorno ai condizionamenti di Russia e Ucraina nel mondo purtroppo giocano un ruolo nefasto. Il rischio è che in una situazione così grave come quella della Palestina riproduca questi schieramenti e soprattutto il carattere tiepido delle reazioni del mondo davanti a questa crisi. Magari allineandosi alla Russia in contrapposizione agli Stati Uniti e quindi ancora una volta aggiungendo un tassello che va contro la risoluzione dei problemi. La comunità internazionale deve mettere gli attori principali a sedere e dire che qualsiasi momento è buono per un compromesso. Del resto la storia tragica dell'Europa dopo la seconda guerra mondiale ci insegna che si possono avviare percorsi di pace anche tra nemici storici come Germania, Francia o Gran Bretagna. Non è mai troppo tardi, l'importante è che questo non debba avvenire lasciando decine di milioni di morti.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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