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Il Regno Unito introdurrà la castrazione chimica per i condannati per reati sessuali

La proposta è stata avanzata dalla ministra della Giustizia Shabana Mahmood: “La somministrazione di farmaci per controllare l’eccitazione sessuale problematica, ad esempio nei pedofili, sarà accompagnata da interventi psicologici mirati ad affrontare cause profonde delle aggressioni, come il bisogno di esercitare potere e controllo”.
A cura di Davide Falcioni
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Nell'ambito di un piano volto a fronteggiare il sovraffollamento carcerario il governo del Regno Unito introdurrà un programma pilota di castrazione chimica rivolto ai detenuti condannati per reati sessuali. L’iniziativa, che non mancherà di suscitare aspre polemiche ed è stata annunciata in Parlamento dalla ministra della Giustizia Shabana Mahmood, prevede la sperimentazione in 20 istituti penitenziari e potrebbe, in futuro, diventare obbligatoria per alcune categorie di reclusi.

"La somministrazione di farmaci per controllare l’eccitazione sessuale problematica, ad esempio nei pedofili, sarà accompagnata da interventi psicologici mirati ad affrontare cause profonde delle aggressioni, come il bisogno di esercitare potere e controllo", ha spiegato Mahmood. Il trattamento, già adottato in paesi come gli Stati Uniti, rimane tuttavia controverso: diverse organizzazioni per i diritti umani hanno infatti sollevato perplessità etiche e legali, oltre che dubbi sull'efficacia del provvedimento.

Cos'è la castrazione chimica

Ma cos’è esattamente la castrazione chimica e perché continua a suscitare polemiche?

A differenza della castrazione chirurgica, la castrazione chimica non prevede interventi irreversibili, ma consiste nella somministrazione di farmaci che inibiscono la produzione o l’azione del testosterone, l’ormone sessuale maschile responsabile – tra le altre cose – del desiderio sessuale. L’obiettivo è ridurre o eliminare la libido del paziente, nella speranza di diminuire il rischio di recidiva nei soggetti condannati per reati sessuali, in particolare contro i minori.

I farmaci utilizzati, come il degarelix o altri analoghi dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRH), sono comunemente impiegati anche nel trattamento del cancro alla prostata. In ambito penale, però, il loro utilizzo mira a influenzare il comportamento sessuale piuttosto che a curare una patologia organica.

La ministra della giustizia inglese Shabana Mahmood
La ministra della giustizia inglese Shabana Mahmood

I risultati: efficacia limitata e studi ridotti

In Svezia, una recente sperimentazione clinica ha mostrato che, dopo solo due settimane dalla prima iniezione di degarelix, gli uomini trattati – pur vivendo nella comunità – presentavano un rischio significativamente ridotto di commettere abusi sessuali su minori. Tuttavia, lo studio ha coinvolto solo 52 partecipanti, un numero troppo ridotto per trarre conclusioni definitive. Anche nel Regno Unito si stanno conducendo sperimentazioni, con una fase pilota attiva dal 2022 in alcune carceri del Sud-Ovest dell’Inghilterra. Tuttavia, l’efficacia a lungo termine e la reale incidenza sui tassi di recidiva restano oggetto di dibattito nella comunità scientifica.

Gli effetti collaterali e le questioni etiche

Oltre ai dubbi sull’efficacia, la castrazione chimica comporta diversi effetti collaterali: sviluppo di tessuto mammario negli uomini, depressione, vampate di calore, perdita di densità ossea e alterazioni metaboliche. Ma il nodo più controverso è quello del consenso. In molti Paesi, il trattamento è volontario e talvolta offerto come alternativa a pene detentive più lunghe. Tuttavia, in alcune nazioni – tra cui diversi Stati degli USA, ma anche Polonia, Russia ed Estonia – la castrazione chimica è obbligatoria per i condannati per pedofilia. Nel Regno Unito, l’ipotesi di introdurre l’obbligatorietà viene guardata con scetticismo dalla comunità medica, che sottolinea come il consenso informato sia un principio cardine della deontologia professionale.

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