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È cessata la tregua in Siria: cosa succede ora

La tregua militare decisa da Turchia e Stati Uniti è scaduta e ora si attendono le prossime mosse dei principali attori del teatro di guerra siriano. Erdogan è volato a Sochi per incontrare il presidente Russo Vladimir Putin, da molti considerato il vero player del teatro siriano, e da questo incontro si attendono decisioni importanti.
A cura di Francesco Di Blasi
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Nel Nord-Est della Siria è durata cinque giorni la tregua concordata tra la Turchia e gli Stati Uniti. Trump aveva parlato di "milioni di vite che vanno salvate" e subito dopo il suo vice Mike Pence aveva annunciato il cessate il fuoco concordato con Racep Tayyip Erdogan. Ieri, alle 21 ora italiana, la tregua militare è scaduta e ora si attendono le prossime mosse dei principali attori del teatro di guerra siriano. L'uomo forte della Turchia è volato a Sochi per incontrare il presidente Russo Vladimir Putin, da molti considerato il vero burattinaio del teatro siriano, e da questo incontro si attendono decisioni importanti. 

La questione della "safe zone"

Il ministro della Difesa turco ha fatto sapere di controllare 1.500 km quadrati nel Nord-Est della Siria. Si tratta di circa la metà di un'area destinata a diventare una safe-zone, secondo gli accordi presi con Washington, controllata in parte dalle truppe siriane. La safe-zone dovrebbe essere costruita attraverso diversi passaggi e un primo step prevede il controllo di 120 km di un'area che va dalla città di Tel Abyad (a ovest) fino alla città di Ras al Ayn (a est) in cui sono giunte le truppe dell'Esercito libero siriano che hanno preso il posto delle milizie curde dell'Ypg. Le truppe di Ankara, secondo gli ultimi accordi, dovrebbero estendere il proprio controllo in un secondo momento su un'area complessiva di 144 km di lunghezza che si spinge per 32 km nel territorio siriano.

Le mosse di Donald Trump, pronto anche a un'azione militare

Le truppe statunitensi stanno continuando le loro operazioni di ritiro dall'area siriana. Inaspettatamente però, il segretario alla Difesa americano Mark Esper qualche giorno fa aveva fatto sapere che circa mille soldati sarebbero rimasti nel vicino Iraq. Un convoglio di 100 blindati ha già raggiunto il confine iracheno attraverso il valico di Semelka. Un ristretto numero di soldati invece resterà in Siria per controllare le aree petrolifere che nel caos del conflitto potrebbero cadere in mano all'Isis. L'annuncio più importante arriva però dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo, che ha sembra lanciare un monito a Erdogan facendo sapere che Trump: "È del tutto pronto a un'azione militare contro la Turchia, se necessaria".

Le posizioni di Mosca

Vladimir Putin resta l'interlocutore principale per la Turchia, un ruolo di sempre maggiore importanza assunto anche grazie alla progressiva ritirata delle truppe statunitensi. Al momento Mosca sembra non rendere nota la linea che adotterà nelle prossime ore e si attende il vertice tra Erdogan e il presidente russo. Per ora, il ministro della Difesa russo Serghei Shoigu ha dichiarato: "Speriamo davvero che l'interazione con i nostri colleghi turchi e americani ci consentirà di aumentare il livello di sicurezza e stabilità in questa regione", ma ha anche espresso le sue preoccupazioni per le mosse future dei foreign fighter dell'Isis, prima detenuti nelle prigioni curde e ora in gran parte a piede libero a seguito degli sconvolgimenti avvenuti nell'area. Ed emerge anche un problema umanitario: l'emergenza dei figli dei foreign fighters, circa 60 bambini britannici intrappolati nel Nord-Est del Paese secondo Save the Children. "Sono innocenti – ha detto Alison Griffin dell'Ong – Possiamo e dobbiamo dare loro la sicurezza di cui hanno bisogno portandoli nel Regno Unito"

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