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Cairo, l’intolleranza fra copti e musulmani

Tra gas lacrimogeni lanciati in chiesa dove la folla prega e grida, cecchini sui tetti della zona, un pickup carico di uomini che cerca di entrare nel luogo di culto da una porta laterale…
A cura di Enrico Campofreda
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La croce e i graffiti tracciati sul muro della moschea di Qalyubiya, governatorato a nord del Cairo, trasformano un contrasto di appartenenza fra adolescenti in un nuovo scontro tra fedi nell’Egitto dell’Islam politico al potere. Quattro morti nel venerdì dei reciproci attacchi fra gruppi dell’intolleranza copta e di quella musulmana, vittime colpite con armi non convenzionali cui ieri se n’è aggiunta un’altra, freddata da un proiettile che la polizia ha definito “vagante”. Con l’aggiunta di almeno trenta feriti in una capitale tornata preda delle turbolenze. Mentre saliva la tensione fra gruppi che si malmenavano a nulla servivano i richiami del neo papa copto Tawadros II e in serata del presidente Mursi a mantenere la calma. Nelle due comunità prevale la tendenza al conflitto riapparso drammaticamente nella zona attorno alla cattedrale di Abbasseya in un momento che doveva essere di lutto. E dunque riecco pietre, molotov e il continuo pericolo dell’uso di pistole e fucili, pratica divenuta la nuova tragica realtà dell’attuale contrasto egiziano che si serve d’ogni arma, oltre che d’ogni argomento, coinvolgendo frizioni irrisolte come quella fra confessioni.

E c’è totale dicotomia fra i vertici di Chiesa e Stato che all’unisono invitano la gente a non esasperare gli animi, ad affratellarsi come fedeli di religioni che possono e devono coesistere e gli occhi iniettati d’odio che il volto radicale delle due comunità va alimentando. Quando Mursi afferma in tivù di considerare gli assalti alla Cattedrale attacchi contro la sua persona, riceve i maggiori insulti dai copti chiusi in quel luogo che lanciano slogan contro di lui e la Fratellanza al potere. Così la contestazione al presidente ricerca spazio fra quei cristiani che non tollerano l’esistenza dell’Islam politico e non accettano che il proprio papa avalli i contatti col governo e il ministro dell’Interno. Menti e bocche che non amano il dialogo nonostante i pensieri delle massime autorità si rivolgono ai martiri senza però ricevere l’ascolto della piazza. Gas lacrimogeni lanciati in chiesa dove la folla prega e grida, cecchini sui tetti della zona, un pickup carico di uomini che cerca di entrare nel luogo di culto da una porta laterale, persone che girano armate (fedeli? attivisti? balthageyah? agenti dell’Amn Al-Dawla?). Chi può dirlo con certezza?

L’ennesimo episodio che genera caos in un clima socio-politico da mesi caotico che mescola esasperazione e comportamenti esagitati ai quali le Forze dell’Ordine rispondono con l’assenza di controllo o una repressione brutale. Fra le accuse lanciate dai copti in occasione degli assalti di domenica contro il proprio principale simbolo c’è la totale inadeguatezza del manipolo di “uomini in nero” schierati a difesa della chiesa lasciata priva di vigilanza su tre lati e lì puntualmente attaccata. L’ipotesi di un’azione condotta da fondamentalisti, da esagitati del quartiere o da provocatori prezzolati non cambia la loro condizione. Si sentono abbandonati, senza diritti, disonorati per non poter presiedere neppure al sacro rito funebre. Ma che questa “minoranza” religiosa di nove milioni di seguaci possa essere usata da chi insegue l’instabilità del Paese non è una novità. Il gruppo copto della ‘Gioventù del Maspero’ si richiama proprio a uno degli episodi dello stragismo di regime praticato dalla passata Giunta militare di Tantawi. Nell’ottobre 2011 nel punto del lungoNilo così chiamato poliziotti in borghese s’infiltrarono in un corteo copto uccidendo numerosi giovani. I tempi da Mubarak a oggi non sembrano cambiati, specie per mano della “lobby dell’insicurezza”.

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