A che punto è davvero il programma nucleare iraniano, spiegato dall’esperto

Una delle conseguenze dell'escalation tra Israele e Iran, con i missili reciproci che non si fermano ormai da giorni, è stata l'annullamento del round di negoziati previsto per domenica scorsa in Oman. Dei negoziati che avrebbero dovuto vedere Teheran faccia a faccia con Washington per discutere di un nuovo accordo sul programma nucleare iraniano, dopo che quello faticosamente raggiunto nel 2015 è stato stracciato tre anni più tardi da Donald Trump durante il suo primo mandato alla Casa Bianca.
Israele, lanciando l'attacco, ha sostenuto che l'Iran fosse troppo pericolosamente vicino allo sviluppo di un'arma nucleare, ragion per cui ha voluto colpire preventivamente una serie di strutture. Anche l'AIEA, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, segnalava come il livello di arricchimento di uranio registrato nelle strutture iraniane fosse incompatibile con un programma di tipo civile. Nonostante questo dato, è complicato avere informazioni attendibili sullo stato del programma nucleare iraniano, perché da quando è saltato l'accordo nel 2018 sono venuti meno anche i controlli degli organismi internazionali, già di per sé parziali e complessi.
Abbiamo fatto il punto della situazione con Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Pace Disarmo, che con Senzatomica promuove la campagna ‘Italia, ripensaci’ per il disarmo nucleare. Vignarca ha ribadito come questa sia l'ennesima dimostrazione che le armi nucleari non funzionino da deterrente e da garanzia di sicurezza, ma portino solo rischi e violenza.
Cosa sappiamo rispetto alle accuse di Israele sulle nove bombe nucleari che l’Iran starebbe costruendo? Cosa dice L’AIEA?
Ovviamente lo sviluppo di armamenti nucleari è una questione che rimane segreta, lo è per l'Iran così come per altri Paesi. Noi possiamo solo affidarci a delle indicazioni indirette: sicuramente l'ultimo documento dell'AIEA segnalava che l'Iran stesse arricchendo uranio in misura maggiore rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare da un programma civile. E sicuramente l'AIEA ha sottolineato come l'Iran non avesse rispettato tutti gli accordi e tutte le procedure. Ma da quanto la stessa AIEA ha dichiarato, si era comunque molto lontani dallo sviluppo reale di armi nucleari. Come ha detto anche la CNN, citando fonti di intelligence americana, l'Iran – pur non essendo in linea con quella che è la situazione di controllo di realtà internazionali come l'AIEA – non era a poche settimane dall'avere una bomba, come sostenuto invece da Benjamin Netanyahu. Quelli che usano l'ultimo report dell'AIEA a sostegno della tesi per cui ci sarebbero delle armi nucleari iraniane dietro l'angolo, dimenticando di segnalare che quello stesso documento sottolineava come fino al 2018 – cioè fino a quando era in vigore l'accordo sul nucleare iraniano, poi stracciato da Trump – tutto stesse funzionando. Stracciare quell'accordo è stato un problema.
L’Iran ha sempre detto che il suo programma nucleare è civile. La quantità di uranio arricchito smentisce questa affermazione?
Siamo in una situazione un po' complessa. Sicuramente le procedure iraniane erano eccessive rispetto allo sviluppo di un programma nucleare civile, però a parere di molti esperti non erano a un passo dallo sviluppo di un'arma nucleare. Poi va ricordato che non si tratta solo di costruire la bomba, ma anche i lanciatori, cioè i mezzi che poi portano la testata nucleare sull'obiettivo. Un programma nucleare completo deve ovviamente avere anche questi e l'Iran sarebbe lontano da entrambe le cose. Sicuramente il governo di Teheran ha utilizzato la paura che potesse costruire un'arma nucleare come una specie di minaccia, una provocazione per non essere considerati attori di serie B in un contesto regionale complesso.
L’Iran fa parte del Trattato di Non Proliferazione delle armi nucleari, ma ora si vocifera che potrebbe ritirarsi. Che conseguenze avrebbe questo?
L'abbandono del Trattato sarebbe un problema, perché vorrebbe dire ancora meno controlli, che appunto già non sono efficaci. Ci sarebbero quindi problemi tecnici, ma anche politici: sarebbe un segnale il fatto che l'Iran stracciasse questo trattato, che è un po' l'ultimo baluardo per bloccare la proliferazione delle armi nucleari. In realtà noi da tempo sosteniamo che non funzioni più e che andrebbe superato con il Trattato di Proibizione delle armi nucleari, ma al momento quello di Non Proliferazione resta un po' l'ultimo paletto. Il problema politico non sarebbe solo simbolico, perché altri Paesi potrebbero rivendicare il percorso verso un'arma nucleare. Ma a quel punto senza controlli internazionali terzi e affidabili, come quelli dell'AIEA, ci si dovrebbe appoggiare ancora di più all'intelligence di Paesi come gli Stati Uniti e Israele, che però non sono così oggettivi e affidabili. Spingere l'Iran tra quei Paesi al di fuori del TNP – che poi sono i Paesi che hanno il nucleare, anche se non in modo formale – sarebbe un gigantesco problema.
Anche Israele è sospettato di avere un arsenale nucleare, siamo di fronte a un doppio standard?
Israele continua a sentirsi minacciato da un'ipotesi, ancora lontana, di arma nucleare iraniana. Ma possiede, anche se non l'ha mai dichiarato in maniera formale, armi nucleari. Lo sappiamo da enti internazionale come la Federation of American Scientists, che ieri è stata rilanciata dal Sipri (Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, ndr), ma lo sappiamo anche come rete ICAN (Campagna Internazionale per l'Abolizione delle Armi Nucleari, ndr). Uno scienziato israeliano, Mordechai Vanunu, che aveva sviluppato la bomba nucleare in Israele, lo ha dichiarato e ancora sta in carcere. Israele inoltre ha rimediato le progettualità dal Sudafrica e materiale fissile dagli Stati Uniti. Quindi sicuramente c'è un doppio standard nei confronti di Israele: accusa l'Iran di lavorare a un programma nucleare in maniera poco trasparente e scorretta, ma ha fatto lo stesso percorso. Ovviamente questo è un problema, ma va fatta notare una cosa. L'avere l'arma nucleare non ha garantito a Israele sicurezza: c'è stato l'attacco di Hamas del 7 ottobre e l'Iran sta continuando a rispondere e lo stesso sta facendo anche Hezbollah dal Libano. Quindi il grande feticcio dell'arma nucleare come la carta di deterrenza che ti tiene al sicuro in realtà non funziona nella pratica. Spinge solo altri Paesi a volere lo stesso, ma non funziona e ci fa capire quanto invece sia pericoloso avere l'arma nucleare. Per far sentire davvero la deterrenza bisogna arrivare davvero vicini all'utilizzo, uno scenario che però farebbe partire un'escalation con conseguenze davvero drammatiche.
In un contesto del genere, che futuro possono avere i negoziati con gli Stati Uniti sul programma nucleare iraniano?
Io credo che i negoziati con gli Stati Uniti faranno fatica a riprendere. L'Iran usava lo spauracchio del nucleare per farsi rimettere al tavolo, ma sapeva benissimo che sarebbe stato impossibile sviluppare una vera potenza militare nucleare. Usava questa cosa per rimettersi al tavolo, come fatto in passato ad esempio per arrivare all'accordo del 2015. Per il governo israeliano – ma in parte anche per quello statunitense – c'è bisogno di avere il grande nemico nella regione, il padre di tutti i terrorismi e il grande problema in Medio Oriente, anche se ricordo che Netanyahu lo diceva anche di Saddam Hussein e di Gheddafi, e morti loro le cose non sono molto cambiate. Però c'è bisogno di questo, per cui a poche ore dal nuovo round di negoziati che avrebbe dovuto esserci domenica, è stato fatto saltare tutto. Di fronte a questo scenario in cui davvero sarà difficile riprendere gli accordi – a meno che non ci sia davvero un cambio di regime a Teheran – credo che l'unica strada sia quella di un accordo multilaterale. Cioè spostare la prospettiva da un accordo bilaterale – che ovviamente è molto drogata dagli interessi delle parti in campo – a quella multilaterale, come appunto il Trattato per la Proibizione delle armi nucleari. Perché questa è l'ennesima dimostrazione del fatto che le armi nucleari non portano sicurezza: portano solo pericolo, minacce e – in caso di escalation – impatti devastanti sul mondo intero.