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Embraco vuole licenziare 500 persone per delocalizzare in Slovacchia: l’ira del Mise

L’azienda Embraco ha confermato l’intenzione di dismettere lo stabilimento di Riva di Chiari per trasferire la produzione in Slovacchia e ha inoltre confermato i 500 licenziamenti collettivi annunciati ai dipendenti per posta. Rifiutata la proposta di cassa integrazione avanzata dal Mise, al momento non si sa che fine faranno i lavoratori.
A cura di Charlotte Matteini
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Nonostante le lunghissime trattative, l'azienda brasiliana Embraco, facente parte del gruppo Whirlpool, ha deciso di licenziare 500 dipendenti per trasferire la produzione di compressori per frigoriferi in Slovacchia, dove il costo del lavoro e la tassazione sono inferiore. Con la chiusura dello stabilimento di Riva di Chieri, sito in provincia di Torino, a perdere il posto saranno appunto 500 persone e a nulla è valso il tavolo di concertazione organizzato dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Al termine delle "trattative", la società Embraco ha comunicato di non essere disposta a fare un passo indietro sui licenziamenti annunciati e il ministro Calenda ha replicato accusando l'azienda di "totale irresponsabilità" e dichiarando di non essere più disposto a "incontrare di nuovo questa gente". Per oggi è previsto un incontro fra Calenda e Margrethe Vestager, commissario europeo alla concorrenza, per capire se la decisione di Embraco può essere lecita alla luce delle regole europee.

Come racconta Repubblica, nel 2000 Whirlpool cedette Embraco e nel 2004, quando la società aprì il suo stabilimento in Slovacchia, venne ridotta la produzione a Riva di Chieri. Embraco annunciò 812 esuberi e la regione stanziò 7,7 milioni di euro per comprare parte dello stabilimento da cedere in affitto ad altre imprese e il governo mise sul piatto ulteriori 5 milioni di euro. Embraco, dunque, fece ripartire la produzione ma circa 420 addetti vennero lasciati a casa con la promessa di riassunzione, che poi non venne mantenuta. Nel 2014, l'azienda minacciò un'altra volta la delocalizzazione e la Regione per dissuaderla firmò un protocollo di intesa da 2 milioni di euro, ma i licenziamenti sono proseguiti. Nel novembre del 2017, infine, arriva il nuovo annuncio: riduzione della produzione a Riva di Chieri per spostare gran parte del lavoro nello stabilimento slovacco. A gennaio, l'ulteriore doccia fredda: Embraco annuncia a 500 operai il licenziamento collettivo via posta.

Con l'annuncio dei licenziamenti collettivi, interviene il ministro Calenda, che apre un negoziato. Le trattative però non hanno esito positivo e l'azienda si rifiuta di commutare gli esuberi in cassa integrazione (con parte dello stipendio pagato dallo Stato). Ieri Embraco ha confermato l'intenzione di licenziare i 500 dipendenti e ha respinto la proposta del Mise, proponendo al posto della cassa integrazione la riassunzione degli operai con contratti part-time. La proposta di Embraco ha fatto andare su tutte le furie il ministro dello Sviluppo Economico e i sindacati, portando all'interruzione di ogni negoziato. Il contratto dei lavoratori di Embraco scadrà il prossimo 25 marzo e non è chiaro quale sarà il loro destino.

Il pallino ora passa nelle mani dell'Ue. Come spiega Il Post, "non ha delle regole molto stringenti sulla concorrenza interna, l'Ue ha reagito solamente nel 2014 al problema dei posted workers – cioè i lavoratori di origine est europea che vengono trasferiti in paesi più ricchi ma vengono pagati con gli standard del paese d’origine – ma non pone limiti alla delocalizzazione all’interno dell’Unione, come potrebbe avvenire nel caso di Embraco. La Slovacchia ha ottenuto 20 miliardi di euro da spendere fra il 2014 e il 2020 per stimolare la propria economia, e Calenda teme che il governo slovacco li stia impiegando per mantenere bassissime le tasse sul lavoro, così da invogliare le aziende degli altri paesi europei a investire sul proprio territorio".

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