
Partiamo dalla fine: quando sentite parlare di Mps-Mediobanca la prima cosa da sapere è che si sta combattendo una guerra finanziaria, o qualcosa del genere, tra Italia e Francia per il controllo di due realtà che la politica italiana, per diverse ragioni, ritiene strategiche. La prima di queste due realtà è Banco Bpm – la quarta banca italiana, ma soprattutto la grande banca della Lombardia e del Nord Italia, e che per questo è sempre stata considerata vicina o in qualche modo affine a Lega. La seconda di queste due realtà sono le Assicurazioni Generali, uno dei titoli più forti della borsa di Milano e che per questo è considerata la cassaforte del risparmio italiano, Paese di risparmiatori per antonomasia.
Tra tutti i predatori che ambiscono al risparmio italiano, il governo pare non avere particolare simpatia per quelli francesi. Nel dettaglio: degli investitori francesi in Banco Bpm, in particolare Credit Agricole. E della banca d’investimento francese Natixis, con cui Generali, attraverso il suo amministratore delegato (francese) Philippe Donnet ha stretto un accordo. Ecco perché, da quando sono andati al potere, Meloni e Salvini hanno fatto di tutto per sovvertire questo stato delle cose, nel sacro nome dell’italianità.
Per difendere l’italianità, tuttavia, il governo ha bisogno di un campione che si presti al gioco. E questo campione se lo ritrova in casa: il governo, attraverso il ministero dell’economia è infatti socio del Monte dei Paschi di Siena – d’ora in poi Mps – di cui possiede, dopo averla salvata dal fallimento, il 26,7% del capitale, E all’interno di Mps trova due grandi azionisti che possono fare il suo gioco: la Delfin, finanziaria della famiglia Del Vecchio, proprietaria di Luxottica, che in Mps ha il 9,8%. E il Gruppo Francesco Gaetano Caltagirone, settimo uomo più ricco d’Italia ed editore di numerosi quotidiani italiani tra cui il Messaggero e il Mattino, che in Mps ha il 5%.
Il governo prova a usare Mps per scalare Banco Bpm e costruire il terzo polo bancario italiano, ma le cose non vanno come sperato. Unicredit, seconda banca italiana guidata da Andrea Orcel, lancia una scalata ostile del BancoBpm. La cosa indispettisce talmente il governo Meloni da convincerlo a usare la carta del golden power, strumento normativo che permette di bloccare le operazioni finanziarie che vanno contro l’interesse nazionale. È la prima di tante mosse molto inusuali: Unicredit ha sede legale in Italia, ha un amministratore delegato italiano, un presidente italiano, un consiglio di amministrazione a maggioranza italiana, detiene 40 miliardi di euro in titoli di stato italiani. Perché il fatto che acquisti una banca italiana va contro l’interesse nazionale? Mistero. E infatti anche la commissione europea aprirà una procedura d’infrazione contro l’Italia, a causa di questa mossa. In ogni caso, la scalata ostile di Unicredit interrompe il disegno di Mps, che decide di cambiare obiettivo.
When in trouble go big – quando sei nei guai, punta ancora più in alto – dicono gli americani. E la banda di Mps li prende in parola. Persa BancoBpm, l’obiettivo diventano le Generali. Per arrivarci, tuttavia, bisogna passare per una tappa intermedia. Un altro azionista del gruppo assicurativo triestino che consenta al duo Del Vecchio-Caltagirone di prendersi la maggioranza. O di avvicinarsi parecchio ad averne il controllo. Quell’altro azionista è Mediobanca, mitica banca d’investimento italiana, che di Generali è socio di riferimento con il 13,2% (che si sommerebbe al 6,3$% di Caltagirone e al 10% di Delfin).
E qui, però, l’operazione è ancora più spericolata di quella col Banco Bpm. Uno: perché Mps e Mediobanca fanno due mestieri diversi, banca retail (quella con gli sportelli, i correntisti, eccetera) Mps e banca d’investimento Mediobanca. Sinergie possibili e possibilità di ridurre i costi e aumentare l'efficienza prossime allo zero, quindi. Due: perché la preda (Mediobanca) è più grande del predatore (Mps). Tre: perché l’acquirente (Mps) ha i conti messi molto peggio dell’oggetto dei suoi desideri (Mediobanca).
Non c’è nessuna logica nell’operazione, o quasi, e lo dicono tutti gli analisti, o quasi. Eppure prima – è il 13 novembre del 2024 – Delfin e Caltagirone si comprano le azioni di Mps detenute dal ministero dell’economia, che dal 26,7% scende all'11,7%, e poi – è il 28 aprile del 2025 – fanno partire l’offerta pubblica di scambio di Mps, che va sorprendentemente a segno. L’86% degli azionisti sceglie di scambiare le azioni Mediobanca con quelle di Mps e l’istituto di Siena – meglio: il duo Dolfin-Caltagirone – si ritrova proprietario di Mediobanca. Com’è possibile una simile adesione, da parte di avveduti investitori come i fondi pensioni e le casse previdenziali? Mistero. Qualcuno dice che l’esplicito favore che il governo ha mostrato per l’operazione può aver suggerito loro di aderire, ma sono, per l’appunto voci.
Com’è, come non è, è opinione altrettanto comune che il governo sia riuscito a vincere la sua partita e che l’assalto di Mps-Mediobanca alle Generali sia imminente. Il problema, come al solito, sono le stramaledette regole. Quelle sul lancio della golden power, per dire, che sbattono contro una procedura d’infrazione che la Commissione Ue ha aperto nei confronti dell’Italia cinque giorni fa. E la scalata di Mps in Mediobanca è stata messa sotto la lente d’ingrandimento della Procura di Milano che ha aperto un’indagine per aggiotaggio nei confronti dell’amministratore delegato Luigi Lovaglio, dell’amministratore delegato di Essilor Luxottica Francesco Milleri e di Francesco Gaetano Caltagirone.
L’accusa, in soldoni, è che Caltagirone, Delfin ed Mps avrebbero avuto un’intesa segreta su questa scalata.Un’intesa che i tre avrebbero nascosto alla Consob, alla Bce e alla Ivass, cioè a chi controlla la borsa, il sistema bancario europeo e il mercato assicurativo. Se c’è una scalata in cui collaborano una pluralità di attori, infatti, questa dev’essere comunicata agli organi di controllo. E allo stesso modo, se in una scalata, lo scalatore supera il 25% delle azioni deve trasformare la sua offerta di scambio in un’offerta pubblica d’acquisto. Sembrano dettagli, ma sono proprio meccanismi che servono a evitare brutte sorprese a investitori e risparmiatori.
Il problema, semmai, è che che sono due iniziative che arrivano insolitamente tardi. La procedura d’infrazione Ue arriva dopo che Unicredit ha già da tempo rinunciato a scalare il BancoBpm. E l’inchiesta sulla scalata di Mps a Mediobanca arriva con gli scalatori che hanno già piantato la bandierina sulla sommità della montagna. Difficile pensare, a meno di clamorose sorprese, che questi due eventi possano cambiare lo stato delle cose. Ma se non altro ci aiutano a comprendere la natura incredibilmente irrituale di questa spericolata operazione finanziaria, e la quantità immane di conflitti d’interesse, nella silente acquiescenza, o quasi, dei media e delle opposizioni italiane.
Che non c’erano, o forse dormivano, quando il governo a inizio 2024 ha approvato il cosiddetto Decreto Capitali che moltiplica i voti degli azionisti di lungo periodo di banche e simili. Di fatto aumentando a dismisura il potere di Francesco Gaetano Caltagirone, così come mette nero su bianco un quotidiano super autorevole come il Financial Times. O che fanno fatica a ricordarsi che il governo che ha approvato quel decreto è anche azionista di Mps – attualmente al 4% circa – la stessa banca che ha approfittato di quel decreto per scalare Mediobanca. Governo a sua volta spalleggiato, nel suo interventismo, dai giornali del gruppo Caltagirone, tra i più solerti a benedire l’operazione, a lanciare l’allarme dell’assalto dei francesi alla sacra italianità del sistema bancario e assicurativo italiano, e a lisciare il pelo all’esecutivo. Ah, quasi ce ne dimenticavamo: Francesco Gaetano Caltagirone e Andrea Orcel sono anche tra le persone che hanno ricevuto l'avviso di essere stati spiati con Paragon. Che forse non vuol dire niente, ma va registrata come l'ennesima anomalia tra le anomalie di questa intricata vicenda.
La verità – che le inchieste e le procedure vadano o meno avanti poco importa – è che questa operazione è costruita molto male, fa a pugni con ogni regola di mercato e non porta benefici a nessuno se non a chi l’ha promossa. A meno che non si presuma che basti il favore del governo a togliere i peccati dal mondo. A meno che non si presuma che, se il governo è d'accordo, allora vale tutto.