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Opinioni

“Le materie prime sono la bomba atomica delle prossime guerre”: intervista a Corrado Passera

“Abbiamo sottovalutato la Cina. Abbiamo sottovalutato la rivoluzione digitale. Abbiamo sottovalutato il cambiamento della globalizzazione. Ma siamo ancora in tempo per cambiare passo”. Conversazione su quel che sta accadendo, e su quel che sarà, con il manager ed ex ministro dello sviluppo economico.
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“Siamo passati dal G20 al G Zero, mi sembra evidente”. Corrado Passera è il manager per antonomasia del capitalismo italiano. Ceo di Illimity, una delle più importanti direct bank italiane, dopo essere guidato Intesa San Paolo e le Poste Italiane, e aver ricoperto il ruolo di ministro dell’industria e dello sviluppo economico nel governo tecnico guidato da Mario Monti, Passera è molto preoccupato per la situazione economica italiana e globale. È una preoccupazione che vede arrivare da lontano, tuttavia, non dagli ultimi mesi segnati dal conflitto tra Russia e Ucraina. Ed è una preoccupazione che proietta la sua ombra molto lontano, fino alla ridefinizione degli assetti geopolitici e geoeconomici del mondo per i decenni a venire.

In che senso siamo passati al G Zero? Cosa signfica G Zero, soprattutto?

Signfica che il mondo è diviso tra poche grandi potenze in grandissima concorrenza tra loro per i modelli sociali, economici, culturali, politici che hanno adottato. IIn un mondo G20 la globalizzazione è cooperazione, è organizzazioni multilaterali funzionanti. In un mondo G Zero, nella migliore delle ipotesi, è una globalizzazione per macro aree regionali con diversi gradi di influenza. Non necessariamente impermeabili, sia chiaro. Però è tutta un’altra globalizzazione.

Possibile che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia abbia generato tutto questo?

La guerra in Ucraina è figlia di questa rivoluzione. Nel momento in cui le grandi potenze non ragionano più né da G20 né da G7, allora cominciano a voler consolidare il loro dominio macro regionale: mi prendo il Kazakhstan, mi prendo la Georgia, mi prendo l’Ucraina. L’Ucraina non è l’innesco del G Zero, è un effetto del G Zero.

Potevamo evitare di far scoppiare questa guerra, se l’avessimo capito prima?

Non siamo stati abbastanza bravi a capire che il G Zero avrebbe portato così velocemente alla guerra. Perché il G Zero per talune delle grandi potenze può evidentemente significare anche guerra. Considerare l’Ucraina un incidente o un’eccezione sarebbe gravissimo. Ecco perché serve la difesa europea. Ed ecco perché serve la Nato.

Questa si chiama escalation militare, però. Così facendo rischiamo di finire dritti in bocca a una terza guerra mondiale tra due potenze atomiche?

Le vera bomba atomica, l’arma con cui si combatteranno le prossime guerre. sono le materie prime. Putin l’ha già detto. Perché le materie prime trovano l’Occidente, ma in particolare l’Europa, in grave ritardo. Perché cinesi, soprattutto, americani e russi hanno fatto già incetta. Per noi sarà una grandissima debolezza.

Rimarremo senza gas e senza grano?

Tutti parlano di gas, petrolio, grano, ma ci si dimentica, ad esempio, dei microchip. Qualsiasi cosa ha dentro un microchip. È un tema che sollevo da molto tempo. Noi europei, almeno nel settore dei microchip e dei semiconduttori, dobbiamo  fare quel che abbiamo fatto con Airbus nell’aeronautica. Noi non possiamo dipendere dai microchip stranieri. È una dipendenza peggiore di quella energetica. Senza energia puoi abbassare di tre gradi il condizionatore. Senza microchip si ferma tutto.

Relativamente ai microchip e ai cosiddetti metalli rari su cui si poggia tutta l’economia digitale la dipendenza non l’abbiamo con Mosca, ma con Pechino…

Vero. La Cina ha il 90% dei metalli rari, e il resto se li è presi in Africa. E una parte di quel che restava se l’è preso la Russia nel Donbass. Se l’Europa vuole essere una grande potenza, in questo contesto, deve definire una strategia negli ambiti della difesa, dell’energia , delle materie prime e in generale dell’innovazione. Altrimenti finirà come col gas.

Ecco, il gas. Lei è stato ministro dello sviluppo economico tra il 2011 e il 2014 e si è occupato anche di energia. Come mai siamo diventati così dipendenti dal metano russo?

Che nessuno ci venga a raccontare che la crisi energetica non fosse prevedibile. Io lo dissi il giorno dopo aver giurato come ministro, undici anni fa: dobbiamo occuparci della nostra sopravvivenza energetica. Dobbiamo fare cinque cose.

La prima?

Dovevamo trovare un’alternativa alla dipendenza dalla Russia, mentre molti  volevano fare il gasdotto South Stream che sarebbe stata la dipendenza totale da Putin e da Mosca. Abbiamo fatto il Tap, prendendo il gas dal Azerbaijan , contro molti, e ci sono voluti dieci anni per farlo, a metà della sua capacità.

Le altre quattro?

Seconda: dobbiamo aumentare l’estrazione di gas a casa nostra. Terzo: dobbiamo poter essere nella condizione di poter far arrivare gas liquido e trasformarlo per usarlo in situazioni di crisi. Per questo abbiamo avviato le pratiche per  il rigassificatore di Porto Empedoclee per quello di Gioia Tauro, tra mille difficoltà. Quarta: dobbiamo aumentare la nostra capacità di immagazzinare gas. Quinto: dobbiamo ottimizzare l’uso dei tubi che erano dell’Eni  per assicurare la migliore concorrenza. Così abbiamo  preso la Snam e l’abbiamo  messa in Cassa Depositi e Prestiti, scorporando i tubi e il gas.

Se abbiamo fatto tutte e cinque queste cose, come mai siamo comunque così dipendenti da Putin?

Alcune delle cose previste sono state realizzate – ad esempio, l’aumento della capacità di deposito del gas, e il gasdotto Tap –  , ma non abbastanza. “’aumento delle estrazioni – che negli ultimi anni sono invece diminuite – più il Tap alla massima capacità, più altri due rigassificatori avrebbero portato 40 miliardi di metri cubi all’anno. Che sarebbero stati addirittura 11 miliardi di metri cubi in più dei 29 che prendevamo dalla Russia. Avessimo fatto tutto questo oggi saremmo uno dei pochi Paesi europei indipendenti dalla Russia. Che nessuno ci dica che queste cosa non fossero né prevedibili né gestibili. Perché quando tu ti metti nelle mani di un solo fornitore, questo lo sa qualunque azienda, prima o poi finisce male.

Quindi finirà male?

L’Italia vive di commercio internazionale, di importazioni di energia e materie prime e di esportazione di prodotti finiti. Quindi questo cambiamento, per noi, è estremamente rilevante.

Ripeto la domanda: finirà male?

Non necessariamente. Le nostre aziende che nel corso della storia si sono dimostrate capaci di adattarsi a nuove situazioni molto più velocemente degli altri. Le crisi che si sono succedute nel corso di questi ultimi anni, un po’ per selezione naturale hanno creato una generazione di imprese molto dinamiche e capaci. Il contesto è molto complicato, ma noi vediamo tantissima reazione e tantissimo dinamismo.

A cosa si dovranno adattare, le nostre aziende?

La transizione energetica e la transizione digitale sono in piena corsa e rimodellano il mondo. Cambierà tutto e il passato sarà meno rilevante: vincerà solo chi saprà cavalcare questo cambiamento e restare in piedi. Pensiamo anche solo all’automotive, che è considerata a ragione l’industria delle industrie, che cambierà faccia forse anche troppo velocemente. Questo porterà a un ridisegno totale della vita di migliaia di aziende. Chi cavalcherà il cambiamento sarà leader di mercato per i prossimi anni, chi non lo farà non avrà futuro. Anche la transizione digitale cambia tutto. Cambia come funzionano le aziende, cambia la sanità, cambia la scuola. Siamo solo agli inizi ed è entusiasmante. Perché non è solo la nascita di nuovi settori. Ma è il ridisegno di tutto. Potenzialmente in bello.

D’accordo, ma nel frattempo c’è l’inflazione che vola, la crescita del Pil che si dimezza e lo spettro della recessione evocato da sempre più analisti…

Partiamo dall’inflazione.

Ok. Come se ne esce?

Come ne usciremo dipenderà dalla reazione delle banche centrali. L’inflazione americana, che è più da domanda, si può curare alzando i tassi d’interesse. Ma se pensiamo anche solo di curare la nostra inflazione che è più da offerta e da carenza di materie prime, alzando i tassi rischiamo di farci malissimo. Perché avremo sia la recessione sia l’inflazione. Una storia che abbiamo già vissuto negli anni settanta.

La dico meglio, allora: non alzando i tassi, come se ne esce?

Che si debba tornare a tassi non negativi, a un mondo in cui il denaro non ha valore zero, è corretto anche se non ci fosse stata l’Ucraina. Avremmo già dovuto farlo, e siamo in ritardo. I tassi non negativi stimolano gli investimenti, difendono il risparmio, non creano bolle speculative.

Quindi anche il Quantitative Easing è stato un errore, a posteriori?

No, attenzione di nuovo. Non avevamo alternative ai tassi negativi. Nel momento in cui il mondo si stava fermando non si poteva non farlo.

Non abbiamo alternativa ad alzare i tassi, e non avevamo alternative ad abbassarli, ok. Però mi pare di capire serva altro. E che cos’è, quest’altro?

Sono le valute.  Nel mondo del G Zero le valute stanno tornando fondamentali.

Spieghi meglio.

Noi dobbiamo avere un Euro forte che possa competere con il dollaro. Nessuna grande potenza nella storia si è affidata totalmente alla valuta di un’altra potenza. Perché questo succeda ci deve essere un Euro veramente europeo.

E oggi non c’è?

Oggi ci sono gli euro dei singoli stati, anche se c’è la banca centrale. Per fare un euro europeo servono titoli di debito europeo, come quelli di Next Generation Eu. Questa deve diventare la normalità. E quei titoli devono coprire la dimensione federale degli investimenti. Ci sono investimenti che si possono fare solo con una volontà federale europea. E poi dobbiamo avere l’Euro digitale, così come già abbiamo il renminbi digitale e presto arriverà il dollaro digitale.

Parliamo di criptovalute? 

Sì, però stiamo attenti. Perché il mondo cripto è fatto di quattro cose. Le reti, come blockchain, che sono un’innovazione da costruire e da valorizzare, evitando che diventino un porto franco per l’economia illegale. Poi ci sono i cripto asset, che è una categoria come tante di asset virtuali, sui quali a mio avviso dovrebbero investire solo i grandi investitori professionali. O perlomeno, è indispensabile che chi ci investe sappia bene che sono virtuali, che sono manipolabili oltre misura, che sono energivori oltre misura. Una volta che lo sanno, e che sanno quanto rischiano, ognuno è libero di investirci. Ma che ci sia un’informazione adeguata. Poi ci sono le cripto valute, che si dividono in due categorie. Le cosiddette “stable Coin”, le monete che si dichiarano convertibili. E queste si sono dimostrate in molti casi tutt’altro che stabili, perché non hanno alcuna riserva che ne garantisce  la convertibilità immediata in Euro e Dollari. Sono tutte o quasi uno schema Ponzi digitale, e secondo me sono gli oggetti cripto più pericolosi del mondo.

Come mai?

Perché se prendessero il controllo, noi perderemmo il controllo della base monetaria. Un po’ come nel medioevo.

E qui entrano in gioco l’Euro digitale e il Dollaro digitale, immagino…

Ci arrivo. All’interno delle criptovalute ci sono le cosiddette valute digitali delle banche centrali. Non sono altre valute: sono modalità di fruizione delle nostre valute legali su reti digitali controllate all’entrata e all’uscita. Hanno tutti i vantaggi delle reti digitali con tutte le garanzie delle valute tradizionali. Tra le grandi valute del G Zero, chi non ha una valuta digitale sarà molto meno preferibile. E anche qui Usa ed Europa sono più indietro della Cina.

Andiamo bene. Come mai?

La risposta è la più banale: perché si è sottovalutato il tema. Perché si è sottovalutata la Cina. In definitiva, perché è mancata lungimiranza.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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