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Jacques Attali: “Economia della vita: ecco l’unica via d’uscita dalla crisi del Coronavirus”

Intervista all’economista francese, già consigliere speciale di Mitterrand e Sarkozy: “Questa non è una crisi economica, è una crisi sanitaria e sarà profondissima. Per uscirne, dovremo ri-orientare interi settori in quella che io chiamo economia della vita: quella che ci serve durante la pandemia, e per uscire dalla crisi. Eurobond e Mes? Palliativi, utili solo a prendere tempo”.
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“Questa non è una crisi economica, né una crisi finanziaria. Questa è una crisi sanitaria in cui l’umanità ha deciso consapevolmente di fermare l’economia”. Jacques Attali, francese nato ad Algeri, di crisi ne ha viste tante, e di rinascite pure. Cresciuto nelle migliori scuole francesi, consigliere speciale di François Mitterrand, ideatore e presidente della banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, istituzione nata per traghettare le economie post sovietiche al libero mercato, quindi presidente dell’omonima commissione voluta dal presidente Nicolas Sarkozy per liberare la crescita dell’economia francese dalle secche della crisi economica del 2008, Attali è ancora oggi una delle menti più lucide e vitali in circolazione. A riprova di questo, uno scritto a sua firma, datato 2009, tratto dal suo blog su L’Express e intitolato “Cambiare, per precauzione”, in cui esordisce dicendo che “La storia ci insegna che l'umanità si evolve in modo significativo solo quando ha  davvero paura”. E che “La pandemia in arrivo potrebbe innescare una di queste paure strutturanti”.  Uno scritto datato 3 maggio 2009, undici anni fa. “Non sono l’unico ad averlo detto, in realtà – spiega Attali a Fanpage.it -. Certo, nel 2009 non eravamo in molti a dire che il mondo doveva prepararsi a una prossima pandemia. Ma non è questo il problema”

E qual è stato il problema?

Il problema è che non ci siamo preparati. Né all’interno di ciascun Paese. Né soprattutto a livello globale, che – lo scrivevo allora, lo penso ancora oggi – è l’unico modo per ottenere un vaccino e una cura in tempi rapidi,  per mettere in atto meccanismi e processi logistici per una loro equa distribuzione, per promuovere un’azione capace di spingere ogni singolo Paese a spendere di più in sanità e dispositivi medici. Non è stato fatto, e i risultati ce li abbiamo di fronte agli occhi.

Nel suo scritto del 2009, lei parla anche di una risposta che sia compatibile con la libertà individuale e con la democrazia. Alla luce di quanto sta accadendo in queste settimane, vissute in un perenne stato di emergenza con persone chiuse in casa, elezioni sospese, presidenti che invocano pieni poteri, applicazioni per il tracciamento delle persone, non è preoccupato?

No, se devo essere sincero. La questione della coesistenza tra l’emergenza sanitaria e le libertà individuali è, a mio parere, una piccola parte del grande problema che stiamo vivendo. Una piccola parte che è lì da sempre, peraltro. Cosa significa libertà individuale? Le faccio un esempio: abbiamo la libertà di essere obesi? È evidente che per la nostra salute dovremmo mangiare sano, dovremmo fare sport. Farlo è una limitazione della libertà? La libertà si basa anche sul rispetto, e sul rispetto di sé innanzitutto. Io dico sempre che la libertà si fonda sul rispetto e sulla responsabilità, nel nome di una libertà più grande.

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Parigi

Ma un conto è se sono io a limitare la mia libertà, un conto è se è lo Stato…

Lo Stato? Lo stato è la rule of law, la norma di legge, che per definizione è finalizzata a limitare la nostra libertà. L’unica domanda da porsi è se queste limitazioni avvengono su basi democratiche. Le limitazioni alla libertà sono state decise sia da Paesi democratici, sia da regimi non democratici. La differenza sta tutta qua.

E secondo lei lo stato di emergenza di queste ultime settimane è compatibile con la democrazia?

In Italia e in Europa abbiamo delle democrazie. E le democrazie necessitano di una forte rule of law proprio per difendere le democrazie stesse. Non vedo problemi. Il problema semmai è la crisi che sta emergendo. Io credo che la gente non abbia capito la vera natura di questa crisi.

In che senso?

Perché in uscita da questa crisi non ci sarà una ripresa a V, né a U, né a L, né simile a qualunque altra lettera dell’alfabeto. E lo sa perché?

No, perché?

Perché questa non è una crisi economica, né finanziaria. Questa è una crisi sanitaria. L’umanità – democraticamente o meno – ha deciso consapevolmente di fermare l’economia. Riapriremo, prima o poi, o perché avremo trovato il vaccino o perché decideremo che l’economia è più importante della vita delle persone. Se lo faremo senza aver trovato il vaccino, il nostro sistema sanitario tornerà in crisi. E come è accaduto qualche settimana fa a Brescia e Bergamo, torneremo a dover decidere chi si deve salvare e chi deve morire.

L’alternativa?

L’alternativa, se sceglieremo la vita anziché l’economia – come io mi auguro – sarà una crisi economica volontaria, molto lunga e molto profonda.

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Londra

Cosa significa molto profonda?

Significa che non ne usciremo come in qualunque altra crisi finanziaria, lanciando soldi dall’elicottero, con i bazooka della Banca Centrale Europea, con gli Eurobond o con il Meccanismo Europeo di Stabilità. Quella è tutta roba che serve a procrastinare. È economia della procrastinazione.

La soluzione sbagliata?

No, nel breve periodo può anche essere la strada migliore, se ci da tempo abbastanza per trovare la soluzione giusta.

E quale sarebbe la soluzione giusta?

È l’economia della vita. Solo così, evitando di mettere in contrapposizione vita ed economia, ma mettendole una a fianco all'altra, eviteremo la peggiore recessione di tutti i tempi e faremo uscire il mondo dall'incubo in cui sta sprofondando.

Spieghi meglio…

È l’economia che riunisce tutti i settori che, in un modo o nell'altro, vicini o lontani, si danno per la missione la difesa della vita.  È l’economia che riunisce tutte le attività che consentono alle persone di vivere sia durante la pandemia che di uscire dalle crisi – economica, finanziaria, sociale ed ecologica – che alimenta.

A quali settori si riferisce?

Parlo della salute, prevenzione, igiene, gestione dei rifiuti, distribuzione dell'acqua, sport, cibo, agricoltura, protezione del territorio, distribuzione, commercio, istruzione, ricerca, innovazione, energia pulita, digitale, alloggio, trasporto merci, trasporto pubblico, infrastruttura urbana, informazione, cultura, funzionamento della democrazia, sicurezza, assicurazione, risparmio e credito. Settori tutti collegati tra loro: la salute utilizza l'igiene e la tecnologia digitale, utile anche per l'educazione, ad esempio. E nulla verrà fatto in nessuna di queste aree senza la ricerca da cui dipende la scoperta del vaccino e del farmaco, necessaria per il controllo di questa pandemia.

Sono già il fulcro delle economie occidentali, questi settori…

Non del tutto. Oggi, questi settori rappresentano, a seconda del paese, tra il 40 e il 70% del PIL; e tra il 40% e il 70% dell'occupazione. Questi sono i rapporti che devono essere cambiati: devono essere aumentati all'80%. Le famiglie devono spendere una quota maggiore del proprio budget in sanità, cibo, apprendimento; i datori di lavoro devono aumentare la remunerazione e lo status sociale di coloro che vi lavorano; lo Stato deve sostenere le imprese, grandi o piccole, che lavorano in questi settori, fornendo tutti i mezzi di protezione per chi ci lavora.

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Rio de Janeiro

Cosa soccomberà di fronte all’emergere dell’economia della vita?

Pensiamo al settore automobilistico o aeronautico, alla moda e al lusso, all’energia al carbonio e al turismo: sono tutti settori che dovranno ri-orientare le loro produzioni, perché i loro recedenti mercati non torneranno mai più quelli di prima: anche se trovassimo un vaccino o una cura farmacologica al Coronavirus, ci vorranno almeno due anni perché tutto ritorni in equilibrio. A quel punto molte di queste aziende moriranno. E non ha senso spendere soldi pubblici e privati per finanziare settori senza futuro.

Sono condannate a morte, quindi?

Nos se i loro manager, e i leader politici e sindacali, riusciranno a ri-orientare le loro produzioni nei settori dell’economia della vita del vita. Tutti hanno abilità che possono riorganizzare.

Lei diceva che la pandemia getterà le basi di un governo mondiale, così come la rivoluzione francese gettò le basi per lo Stato moderno…

No, non è corretto. Noi abbiamo bisogno di una rule of law globale. Se avessimo avuto un rule of law globale in ambito sanitario non ci saremmo mai trovati in un’emergenza come questa. Faccio un esempio: noi abbiamo un’ottima rule of law globale nel calcio, che è la Fifa. È stupido avere una rule of law globale per il calcio e non per la sanità.

Ci sarebbe l’Organizzazione Mondiale della Sanità…

È solo un’organizzazione multilaterale che prova a cercare accordi. Serve una cosa diversa. Non perdiamo il centro del discorso, però: che ogni singola economia, dal livello comunale, a quello nazionale, sino a quello continentale deve concentrarsi sull’economia della vita. L’ideologia di una rule of low globale, ora come ora, serve solo a regalare consenso ai sovranisti. E non ha senso infilarsi in questo dibattito.

Come vede il dibattito che si sta sviluppando in Europa? Cosa succederà secondo lei al prossimo Consiglio dell’Unione Europea?

Il prossimo summit europeo può solo portare alla creazione di un fondo per superare l’emergenza di questi mesi. Credo che entro l’estate troveranno il modo di costruire qualcosa di simile.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro. 15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019)
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