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Coronavirus, Bill Emmott: “La crisi sarà devastante: la Germania alla fine cederà ai coronabond”

L’ex direttore dell’Economist a Fanpage.it: “Il cambio di strategia di Boris Johnson? La realtà ha sconfitto l’ideologia. Temo che Londra faccia la fine di New York e Madrid. La risposta europea? Sono ottimista, ha tutti gli strumenti per affrontare una crisi economica. I Coronabond? Sono una buona idea, ma non sono indispensabili”.
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“Oggi è una devastante crisi sanitaria, domani diventerà una devastante crisi economica. Il rischio vero è un circolo vizioso che travolga tutto, come nel 1929. Come ha detto Mario Draghi, questo è quel che dobbiamo evitare in tutti i modi”. Bill Emmott, ex direttore di The Economist, uno dei più importanti periodici economici al mondo, non addolcisce la pillola, non ci dice che andrà tutto bene. Al contrario, andrà male, malissimo, prima di andar bene. E andrà bene, dopo, solo se oggi non faremo errori. Un po’ come ha rischiato di farne Boris Johnson con la scelta di tenere aperto tutto per raggiungere l’immunità di gregge, nei primi giorni di diffusione del contagio nel Regno Unito, salvo poi cambiare clamorosamente idea nel giro di dieci giorni: “Penso che in questi dieci giorni sia successo che la realtà abbia bussato alla porta del governo e dei suoi consulenti, spazzando via la teoria, in favore di decisioni più pratiche – spiega Emmott a Fanpage.it -. Dieci giorni fa l’italiano Walter Ricciardi fu citato da un articolo uscito su un giornale inglese che sosteneva la correttezza dell’approccio britannico e contestava il “populismo” dell’approccio italiano. Ricciardi, rispondendo a quell’articolo disse solo: Ci vediamo tra 10 giorni”.

Dieci giorni sono passati…

Eccoci. I dati sulla crescita del contagio a Londra e nel resto del Paese mostra che Ricciardi aveva ragione da vendere e il governo inglese no. La realtà ha picchiato duro, mostrandoci sia cosa stava succedendo in Italia, sia la pressione che un numero limitato di casi hanno già generato sul sistema sanitario britannico. Da qui, evidentemente, la saggia decisione di cambiare approccio da parte di Boris Johnson.

Il sistema sanitario britannico, Nhs, è pronto ad affrontare un’epidemia di coronavirus?

No, non lo è.  Oggi come oggi, NHS ha la capacità di gestire i casi che ha di fronte, ma sappiamo benissimo che alcune parti del Paese, se l’epidemia va avanti, entreranno presto in crisi. Così come è andata in crisi Bergamo, così come è andata in crisi Madrid, così come sta entrando in crisi New York City.

Ha paura che l’epidemia attacchi Londra così come ha attaccato Madrid e New York?

Sì, ho paura per Londra. Nonostante abbia le migliori strutture sanitarie del Paese, e nonostante sia una città con una popolazione relativamente giovane, è anche una città con un elevato livello di interazione sociale. Al netto di Londra, tutti dovrebbero avere paura, oggi nel Regno Unito. Anzi, la dico meglio: tutti dovrebbero aver paura in Occidente.

Come mai?

Perché nessuno dei sistemi sanitari occidentali è pronto per affrontare un’epidemia di Coronavirus. In particolare, così com’è accaduto in Italia, la sanità britannica non ha letti in terapia intensiva, né respiratori o ventilatori a sufficienza per gestire un numero molto elevato di malati. Grazie all’Italia sappiamo cosa serve: speriamo di arrivare in tempo.

Proviamo ad alzare lo sguardo e parliamo del dopo: che mondo ci troveremo di fronte, quando tutto sarà finito?

Senza ombra di dubbio sarà un mondo più chiuso. Non sono super pessimista: non credo che si rialzeranno tutti i confini e non credo ricompariranno tariffe e dogane, ma credo che le limitazioni alla libertà di movimento di persone e beni rimarranno.

Come mai?

Perché a nessun leader politico sarà mai imputato il fatto di essere troppo prudente di fronte alla minaccia del virus. E questo porterà tutti i leader, anche i più aperti e progressisti, a esercitare la virtù della prudenza. Abbiamo un grande istinto di precauzione che è entrato in politico ed è qui per rimanerci.

Anche la crisi economica è qui per rimanere?

Una crisi economica è pressoché certa. Nel breve periodo questa è più in una crisi sanitaria, ma la crisi economica si manifesterà presto in tutta la sua potenza e porterà a una deciso crollo della ricchezza delle nazioni. Il rischio vero è un circolo vizioso che travolga tutto, come nel 1929. Come ha detto Mario Draghi, dobbiamo evitarlo in tutti i modi.

Come si evita?

La speranza è che l’Europa risponderà adeguatamente a questa crisi, anche perché ha tutti gli strumenti per farlo. L’Unione Europea non è attrezzata per combattere una crisi sanitaria, ma ha tutto per combattere una crisi economico finanziaria.

Nel concreto?

È un obbligo per l’Eurozona permettere stimoli fiscali e piani di recupero, anche a debito, per combattere questa guerra. Non è possibile che un Paese dl’Eurozona non riesca a sconfiggere un’epidemia a causa dei vincoli di bilancio, né che fallisca per l’assenza di solidarietà dei partner europei.

Coronabond, quindi?

Personalmente penso che i Coronabond siano una buona idea. Non penso siano necessari al 100%. Ma penso che aver coordinato stimoli fiscali e aiuti di emergenza per salvare imprese e posti di lavoro e far ripartire la domanda. Tutto questo dev’essere necessariamente finanziato dai Coronabond? No. Sarebbe meglio se accadesse? Sì.

Come mai?

Perché mostrerebbe l’unità dell’Europa e permetterebbe ai Paesi più colpiti di finanziarsi a un costo minore.

Bisognerà convincere i tedeschi..

Io sono ottimista: penso che i tedeschi alla fine cederanno.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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