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Dopo quarant’anni rimane l’orrore della strage di Piazza della Loggia

Il terrorismo ha punteggiato di morti gli anni Settanta. Ancora oggi, riascoltando l’audio originale registrato durante l’esplosione della bomba a Brescia, fa rabbrividire l’uso della violenza indiscriminata realizzata dai “signori” della strategia della tensione.
A cura di Marcello Ravveduto
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La strategia della tensione rimanda la memoria agli anni Settanta. Un nugolo di forze trasversali che tendeva ad instaurare in Italia, grazie a collaborazioni straniere e a pezzi deviati degli apparati pubblici, uno stato di polizia autoritario per contrastare la contestazione giovanile e l’extra-parlamentarismo di sinistra.

La tensione era ascrivibile ad una specifica modalità del terrorismo neofascista di compiere attentati dinamitardi (nei quali l’esplosivo era quello in dotazioni alle forze della Nato, nascosto negli arsenali segreti della struttura paramilitare parallela Stay Behind) che potevano colpire chiunque, in qualunque momento, in qualsiasi luogo.

Un tunnel del terrore spalancatosi il 12 dicembre del 1969 con la strage di piazza Fontana a Milano. La deflagrazione segnava la fine della “fantasia al potere” cedendo il passo ad un turbinio di violenza ideologica che marcherà il decennio dei Settanta.

Nella rappresentazione mediatica il terrorismo è presentato come degenerazione della stagione sessantottina. La televisione, più di ogni altro media, ha assunto un ruolo decisivo nello stabilire l’equazione: “extra-parlamentarismo=violenza=terrorismo”. Si costruisce uno stereotipo audiovisivo (che ignora le fonti archivistiche) basato sulla memorialistica e le testimonianze dei protagonisti per riflettere sugli anni di piombo come monito per il presente.

La storia in video diventa oggetto di uso pubblico, piegata alla volontà della politica di giustificare alcune vicende repubblicane secondo una visione ideologica o partigiana che, per lungo tempo, non ha reso giustizia alle numerose riforme approvate in quegli anni (lo statuto dei lavoratori, l’istituzione delle Regioni e dei referendum, la legge sul divorzio, il voto a diciott’anni, la legge sull’aborto e sull’obiezione di coscienza, il sistema sanitario nazionale, la legge Basaglia e così via) derivanti proprio dalla spinta generata da un nuovo soggetto politico trasversale: i giovani.

Un decennio complesso in cui l’affermazione dei diritti individuali si accompagna alla violenza collettiva di gruppi armati che se da un lato godevano di un marginale consenso politico e sociale, dall’altro erano in grado di mobilitare risorse ideologiche e organizzative di tutto rispetto (da qui il continuo sospetto rimandante a regie esterne occulte).

È dentro questa temperie che il 28 maggio 1974 otto persone perdono la vita in piazza della Loggia a Brescia e altre centodue rimangono ferite proprio mentre si sta tenendo una manifestazione sindacale contro il terrorismo dei neri.

Il processo è passato attraverso diverse inchieste e fasi processuali fino a giungere ad una rocambolesca conclusione: in primo grado sono assolti tutti gli imputati (Maggi, Delfino, Rauti) per insufficienza di prove; in Corte d’Appello la sentenza non solo è confermata per tutti gli imputati ma, quasi come una beffa della storia, condanna le parti civili (ovvero i familiari delle vittime) al rimborso delle spese processuali (proprio come è accaduto nel processo sulla strage di piazza Fontana). La disavventura è limitatamente sanata dalla Cassazione che in parte annulla il secondo grado di giudizio.

Al di là di queste laconiche annotazioni giuridiche, è davvero impressionate riascoltare l’audio originale della manifestazione interrotta dal fragore della bomba. Dopo l’esplosione mille voci si confondono tra urla di dolore e clamore della folla. Si sente distintamente un uomo che dice. “Una bomba” e lo ripete come se fosse preso da un raptus. L’istante successivo si leva fortissimo un grido: “Aiuto!!!”. Dal palco si invitano le persone a rimanere calme per evitare che il panico crei altre vittime. Qualcuno nei pressi del microfono esclama con rabbia: “State fermi porco Dio!”.

Ormai la situazione è fuori controllo. Lo speaker, su suggerimento di qualcuno, invita i presenti a rimanere all’interno della piazza mentre si chiede al “servizio d’ordine” di fare cordone attorno ai manifestanti in preda allo sgomento. Come una litania si ripete sempre e solo “State calmi”, del resto in quel trambusto non è possibile riuscire a dare altre informazioni rassicuranti. Si invitano “tutti” ad andare sotto al palco per e fare spazio alle autombulanze in assistenza dei feriti i cui lamenti sono una terrificante colonna sonora di sottofondo.

Le fotografie ritraggono i sindacalisti con le mani in faccia in gesto di disperazione. Intanto lo speaker prosegue: “Lavoratori rechiamoci tutti in piazza della Vittoria, passando vicino al palco, lasciate il passo per le macchine di soccorso. Compagni senso di responsabilità in questo momento”; e poi fino alla fine dell’audio è un continuo ripetere: “lasciate il passaggio alla macchine, lasciate il passaggio alle macchine, lasciate il passaggio alle macchine”.

Quel giorno rimasero a terra senza vita: Giulietta Banzi Bazoli, anni 34, insegnante; Livia Bottardi Milani, anni 32, insegnante; Euplo Natali, anni 69, pensionato; Luigi Pinto, anni 25, insegnante; Bartolomeo Talenti, anni 56, operaio; Alberto Trebeschi, anni 37, insegnante; Clementina Calzari Trebeschi, anni 31, insegnante; Vittorio Zambarda, anni 60, operaio; vittime innocenti della violenza neofascista.

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