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Tutto sul Padiglione Italia alla Biennale di Venezia

“Vice versa”: 14 artisti per 7 tappe in un percorso partecipativo nell’arte italiana di oggi.
A cura di Gabriella Valente
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Tra cemento, terra, bronzo, ferro, argilla, quella del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia è una mostra molto fisica. Materica, massiccia, si accorda perfettamente agli spazi grezzi dell’Arsenale e, composta perlopiù da grandi installazioni, riempie adeguatamente i 1800 metri quadri interni e il giardino esterno delle Tese delle Vergini. Ad alleggerire la gravità, equilibrando il percorso espositivo, alcune performance, disegni, fotografie e un’opera di profumo.

La mostra si intitola vice versa perché impostata su dialoghi e confronti a due. Il curatore Bartolomeo Pietromarchi ha chiamato 14 artisti a riflettere su 7 coppie di concetti tra loro opposti. Gli autori hanno lavorato indipendentemente l’uno dall’altro, per poi vedere accostata la propria opera ad un’altra declinante un tema simile. I lavori – eccezion fatta per quelli di Ghirri e Mauri (gli unici artisti della mostra non più viventi) – sono evidentemente tutti site-specific e prodotti anche grazie ai fondi raccolti con il crowdfunding, il progetto di finanziamento dal basso che ha raggiunto la cifra di 178.000 euro.

Piero Golia - Untitled, My gold is yours, 2013
Piero Golia – Untitled, My gold is yours, 2013

Una delle opere che ha suscitato più scalpore in Biennale è proprio nel nostro padiglione: Untitled, My gold is yours, l’enorme cubo nato da una colata di cemento misto a un chilo di polvere d’oro zecchino. Così Piero Golia riflette in maniera ludica e provocatoria sul valore commerciale dell’opera d’arte, ma allo stesso tempo contempla la tragica possibilità della sparizione dell’opera, autorizzando il pubblico a staccare pezzi di quel cubo prezioso. Su un medesimo contrasto tra tragedia e commedia, Sislej Xhafa allestisce una performance in cui un barbiere svolge la sua attività tra i rami di un grande albero.

Elisabetta Benassi - The Dry Salvages, 2013
Elisabetta Benassi – The Dry Salvages, 2013

Travolgente l’invasione dello spazio da parte di Elisabetta Benassi, un intervento poetico di occupazione, esteticamente molto ben integrato nell’enorme sala ospitante. In The Dry Salvages circa 10.000 mattoni in argilla del Polesine –colpito da un’alluvione nel 1951 – sono disposti in terra a creare uno pseudo-pavimento dissestato. Si tratta di “un cielo capovolto su cui camminare” per scoprire infatti che ogni mattone è marchiato con un codice, il codice identificativo dei detriti spaziali in orbita intorno alla terra. A proposito di catalogazione, sul rapporto tra frammento e sistema Gianfranco Baruchello realizza una sorta di stanza/laboratorio/quadreria sul tema dell’ecosostenibilità.

Massimo Bartolini sollecita il passo del pubblico, chiamato a camminare su macerie di bronzo, lungo un percorso accompagnato dal “suono silenzioso” delle parole di Giuseppe Chiari sulle pareti. Due è un monumento in frantumi, è statua e pavimento, è il rumore di un crollo ed il silenzio che segue. La dicotomia suono/silenzio è elaborata in termini di performance nel lavoro di Francesca Grilli, dove una performer compie dei vocalizzi interagendo con il ritmo di una goccia che corrode una grande lastra di ferro.

Fabio Mauri - Ideologia e natura, 1973/2013
Fabio Mauri – Ideologia e natura, 1973/2013

A esemplificare il binomio corpo/storia la celebre performance di Fabio Mauri, Ideologia e natura, in cui una ragazza in divisa fascista si spoglia e si riveste in ordine casuale, nella privazione dell’arbitrio personale tipica dei regimi dittatoriali. Anche Francesco Arena riflette sulla storia attraverso il corpo, realizzando quattro pilastri monumentali che riproducono il volume di quattro fosse comuni calcolato in base ai corpi che vi erano sepolti: la terra rimossa dal suolo si innalza verso il cielo a ricordare identità negate.

La Cupola monumentale di Flavio Favelli propone, in forme tendenti al kitsch, uno dei ricordi d’infanzia dell’artista più forti, la Basilica di San Pietro, immagine fortemente radicata anche nella coscienza collettiva. Tra familiare ed estraneo lavora Marcello Maloberti, con la performance corale di sculture nomadiche, che mescola individualità e comunità.

Sulla dialettica tra prospettiva e superficie, Giulio Paolini con disegni prospettici e cornici vuote racconta il dilemma del rapporto tra realtà e rappresentazione, mentre, in una perfetta corrispondenza, Marco Tirelli riempie le pareti di disegni, collage e assemblaggi, a riprodurre l’immaginario che guida i suoi processi di creazione.

Luigi Ghirri - Viaggio in Italia, 1984
Luigi Ghirri – Viaggio in Italia, 1984

Non poteva mancare, lungo l’itinerario nell’arte italiana, il medium fotografico, qui affidato interamente alle opere di Luigi Ghirri del progetto Viaggio in Italia con cui si voleva rifondare l’immagine del paesaggio del nostro paese. Sui concetti di veduta e luogo rievocato lavora anche Luca Vitone che propone un’opera da respirare e sollecita la sensazione olfattiva, riferendosi alle complicate vicende dei siti legati all’Eternit.

Sul costruire, sul performare, sul rielaborare, sul sentire: le opere del Padiglione Italia coinvolgono il pubblico, sperimentando sempre una reciprocità, quasi cercando un continuo viceversa.

Durante l’inaugurazione in Arsenale abbiamo intervistato gli artisti giocando con il titolo della mostra. La domanda era: “Che cosa è la sua opera e, viceversa, che cosa non è?”. Nel video, le risposte e tutti i lavori esposti.

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