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Banche, un quadro in chiaroscuro

Tempo di trimestrali a Piazza Affari: dai conti delle prime banche italiane emerge un quadro ancora molto fragile, con crediti deteriorati in crescita e impieghi ancora di superiori ai depositi. Il deleveraging proseguirà a lungo…
A cura di Luca Spoldi
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Intesa Sanpaolo

Le banche piangono, le banche sorridono: in questi giorni è tempo di trimestrali a Piazza Affari e a segnare i rialzi maggiori sono a fine giornata proprio i titoli bancari, da mesi (o per meglio dire da anni) nell’occhio del ciclone. Tra le principali banche italiane, Intesa Sanpaolo in nove mesi ha registrato un utile netto di 1.688 milioni di euro (-12,5% rispetto ai 1.929 milioni dei primi 9 mesi del 2011), ovvero un utile netto normalizzato di 1.331 milioni (contro i 1.665 milioni dello stesso periodo dell’anno passato), a fronte di un utile operativo di 6.771 milioni, il massimo dal settembre 2009 (furono 5.749 milioni un anno prima) e di un coefficiente Core Tier 1 pari all’11,1% (10,3% il coefficiente Eba-proforma).

La banca guidata da Enrico Cucchiani (che per la gioia delle sue fondazioni bancarie azioniste ha ribadito che il dividendo sarà “almeno pari a quello del 2011”, 5 centesimi per azione, pari a poco meno del 4% di rendimento rispetto al prezzo attuale), deve recriminare più che altro per le imposte (balzate a 1.232 milioni, contro i 66 milioni segnati nei primi 9 mesi del 2011)  ma sta già scaricando a colpi di “repricing” il costo della sua ristrutturazione sui clienti (tanto che gli utili operativi netti salgono a 13.387 milioni di euro, in crescita del 6,9% rispetto ai 12.520 milioni del settembre 2011). In parallelo Intesa Sanpaolo come tutte le maggiori banche europee sta tagliando il più possibile i costi operativi (scesi nei nove mesi a 6.616 milioni di euro dai 6.771 milioni di un anno prima) e intende continuare a farlo.

Non diversamente sta facendo Bpm, fino a pochi mesi fa giudicato un istituto “a rischio” e poco governabile a causa del potere dei sindacati interni, che ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con una perdita netta consolidata di 105,9 milioni, dovuta a svalutazioni dell’avviamento pari a 360,2 milioni, ma con un risultato di gestione in crescita a 431,9 milioni (+66,2% annuo). L’utile netto normalizzato è in crescita a 103 milioni (circa 75 milioni in più di un anno prima), i ricavi sono in ripresa (+10,5%) i costi in calo (-7,7%). Anche Bpm come Intesa Sanpaolo intende “perseguire gli obiettivi esplicitati nel piano industriale 2012-2015, fra cui il significativo contenimento dei costi, anche attraverso la riduzione degli organici mediante forme di incentivo all’esodo del personale in possesso dei requisiti pensionistici e l’adesione al Fondo di Solidarietà, e la semplificazione organizzativa”.

UniCredit, dal canto suo, ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un utile netto di gruppo in salita a 1,4 miliardi di euro (dai 847 milioni nei 9 mesi 2011, al netto degli elementi straordinari) e con ricavi saliti a 19,5 miliardi (+2% su base annua). In calo anche per l’istituto guidato da Federico Ghizzoni (che in conference call è apparso sul dividendo, ricordando come “nel nostro piano era previsto un dividendo, non ci sono ragioni per cambiare oggi”) i costi operativi (-2,9% a 11,4 miliardi) tanto che il rapporto costo/ricavi è migliorato riducendosi al 60,6% (-0,6% rispetto al settembre 2011), al netto delle operazioni di riacquisto di Abs e obbligazioni, mentre il Mol è salito a 8,2 miliardi (+9,6% annuo al netto del riacquisto di Abs e obbligazioni). Anche UniCredit ha confermato “l’uscita di tutti i dipendenti aventi i requisiti per il pensionamento anticipato (2.600 persone entro il 2015)”.

Vabbè: pagano clienti e dipendenti ma la situazione richiedeva misure drastiche dirà qualcuno, per il resto tutto bene? Non del tutto, a causa del perdurare della recessione in crescita sono anche i crediti “deteriorati” (ossia in sofferenza, incagliati, o ristrutturati e scaduti/sconfinanti) e non è detto che sia finita qui (anzi). Per Intesa Sanpaolo ormai valgono 27,266 miliardi (il 7,27% dei 375 miliardi totali), valore in crescita del 20,1% rispetto ai 22.696 milioni del 31 dicembre 2011 (mentre il totale dei crediti è in calo dello 0,5% rispetto alla stessa data). Per Bpm i crediti deteriorati salgono a 3.876 milioni (+24,1% rispetto a fine 2011), l’11,09% rispetto a crediti totali per 34.938 milioni, per UniCredit siamo a 45,8 miliardi netti (+4,7% rispetto a giugno), l’8,15% rispetto a crediti totali risaliti a 561.875 milioni a fine settembre (80,4 miliardi i crediti deteriorati lordi, in crescita di 2,7 miliardi, ossia del 3,5%, rispetto a fine giugno, il 14,31% dei crediti totali),

Insomma: sommando solo tre delle sei maggiori banche italiane (in attesa dei conti di Ubi Banca, Banco Popolare e Mps), i crediti “a rischio” pesano tra il 7% abbondante e l’11% del totale e sono ormai saliti a poco meno di 77 miliardi. Soldi che evidentemente equivalgono ad altrettanti debiti per imprese italiane (e non) che in varia misura non saranno mai restituiti o lo saranno con molta difficoltà e qualche “sconto” rispetto a quanto dovuto (quanto grande dipendendo dall’interesse della banca a concedere ristrutturazioni e riscadenziamenti del debito, solitamente in proporzione all’ammontare dell’esposizione complessiva).

Non è troppo tranquilla neppure la situazione del rapporto tra depositi e crediti erogati: se Intesa Sanpaolo può vantare un rapporto prossimo all’unità (373,4 miliardi di depositi contro 374,8 miliardi di crediti), Bpm vede24,55 miliardi di depositi a fronte di 34,94 miliardi di impieghi, mentre UniCredit registra 420,37 miliardi di depositi a fronte dei 561,87 miliardi erogati: solo per questi primi tre istituti (ma i dati di altre banche potrebbero essere anche più deboli al riguardo) c’è ancora da colmare un “gap” di 153,3 miliardi prima che depositi ed impieghi si equivalgano. Come dire che, visti i tempi che corrono, il deleveraging del credito bancario è destinato a proseguire, in modo aggressivo, ancora a lungo. Quanto a lungo? Sinchè l’economia non tornerà a crescere, i crediti deteriorati si stabilizzeranno prima e caleranno poi e i mercati torneranno a guardare più alla possibilità di profitti futuri che al rischio di nuovi buchi di bilancio.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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