Perché il cambiamento climatico si manifesta con l’estremizzazione dei fenomeni atmosferici

Articolo di Massimiliano Fazzini
In un mondo governato dal sapere virtuale, semplici concetti di fisica di base, peraltro molto intuitivi vengono “spiegati” con una scientificità degna delle “chiacchiere da bar” ma con un linguaggio così complesso come tipico di chi ha le idee un po’ confuse. Occorre quindi chiarire alcun semplici principi così da far comprendere a tutti come stanno evolvendo il clima globale e quello italiano e il perché la sua variazione nel corso degli anni non sia “normale” e determini fenomeni meteorologici sempre più frequenti ed intensi, in particolare nel trimestre estivo, con effetti sui territori spesso drammatici.
Nel grafico sottostante – figura 1 – si può osservare chiaramente che negli ultimi 160 anni circa la temperatura media globale è aumentata di circa 1,4°C, un valore incredibilmente elevato per i climatologi. Meno per il cittadino che non può rendersi conto di quanto elevato sia questo valore.

Ma ad esempio si pensi che sulla catena alpina tale aumento delle temperature ha determinato l’innalzamento del limite attuale delle nevi perenni di circa 400 metri e l’innalzamento del limite del bosco di conifere di quasi 500 metri, forse ci si rende contro di quanto grande sia tale piccolo numero sul paesaggio montano.

Nel territorio italiano – figura 2 – negli ultimi 65 anni, la temperatura è aumentata – rispetto al trentennio 1991-2020, di un grado e ciò che più colpisce è che a partire dal 2010, tutti gli anni sono stati “sopra media” rispetto a tale trentennio peraltro già molto caldo. Se analizziamo poi il comportamento delle temperature negli ultimi 10 anni (tabella 1) si nota che i valori medi sono aumentati di ben 0,4 gradi, con un incremento di addirittura 0.6°C nel trimestre giugno – agosto. Questo incredibile dato spiega facilmente molte delle fenomenologie che hanno interessato il nostro paese nelle ultime estati meteorologiche che vanno da giugno ad agosto. In primis la maggiore frequenza dei giorni molto caldi – figura 3 – delle ondate di calore (almeno 6 giorni con temperature massime mediamente superiori ai 32°C), dei giorni estivi (con temperature massime superiori ai 30°C) e delle notte tropicali (quelle insonni, con temperature mai inferiori ai 20°C).

Ma soprattutto tale enorme incremento termico ci fa capire quanto grande sia la quantità di calore “stoccata” in mare e presente generalmente in atmosfera. Allora occorre fare una considerazione razionale. Spesso si è alla spasmodica ricerca del “record” delle temperature da sbandierare su web; magari anche calcolato su pochissimi anni – dato statisticamente non corretto – rimanendo stupiti se, a fronte di previsioni metro peraltro sempre piu “esasperate” e generalmente “meno scientifiche”, il promesso record assoluto non si è verificato. Non è la punta estrema di calore che deve preoccupare quanto la persistenza di temperature molto elevate per periodo molto lunghi – tali da determinare problematiche di salute a chi è anziano o non in buone condizioni di salute – ed un elevato accumulo di calore nei mari, foriero poi di eventi atmosferici eccezionali o comunque di elevata potenza.
Quanto alle precipitazioni, i climatologi non hanno le idee molto chiare su cosa sta accadendo, visto che i numeri ci dicono che, in buona sostanza, piove mediamente come “una volta”. Spiego subito meglio il concetto. In Italia, in un anno, cadono mediamente circa 1000 millimetri di precipitazioni totali (somma di pioggia e neve); dalla figura 4 è facile comprendere come vi sia un numero non molto diverso di anni in cui piove meno di questo valore (colonne in rosso) e in cui piove di più (colonne in verde).

Dalla tabella 2 si evince che mediamente, almeno negli ultimi 10 anni – segnale confermato negli ultimi 30 anni, piove sempre la stessa quantità di acqua. Da alcuni studi climatologici sembrerebbe evidente che il numero di giorni con precipitazioni cali del 15% circa. Ovvio comprendere che, ogni volta che piove, l’intensità media sia aumentata del 15%, con ovvie conseguenze sui fenomeni di dissesto idrogeologico e idraulico, peraltro sempre più frequenti e dannosi. Il luogo comune poi, dà per scontato che stiano aumentando in frequenza ed intensità i nubifragi o le cosiddette “bombe d’acqua” –locuzione peraltro disconosciuta a livello scientifico. Un nubifragio si definisce tale quando in un’ora cadono almeno 30 millimetri di pioggia. In questo modo si giustificherebbe la sempre maggiore frequenza dei già citati fenomeni alluvionali o franosi che attanagliano il nostro fragile e complesso territorio.
Ma se si va ad analizzare i grafici relativi alla sommatoria delle precipitazioni che cadono nei giorni più piovosi, si nota che solo parzialmente e in particolare nelle regioni centrali, ciò corrisponde a realtà. Certamente però si nota una maggiore variabilità nel comportamento delle piogge intense nel periodo studiato, con brevi periodi molto piovosi alternati a fasi sempre più lunghe senza precipitazioni. Ma allora come mai gli effetti al suolo sono sempre più frequenti e devastanti? Cercheremo di comprenderlo a breve.
