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Patente sospesa a un gay: per la motorizzazione ha “una malattia psichica”. Ministeri condannati

I ministeri della Difesa e dei Trasporti dovranno versare 100 mila euro come risarcimento danni a Danilo Giuffrida, 35 anni, che si vide sospesa la patente di guida dopo che alla visita di leva aveva rivelato di essere omosessuale.
A cura di Biagio Chiariello
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Visita di leva del 2005. L’allora 18enne Danilo Giuffrida dichiara la sua omosessualità all'ospedale militare di Augusta. L'informazione viene trasmessa alla motorizzazione che dispone un "nuovo esame di idoneità psico-fisica" sulla base del fatto che il giovane gay non avrebbe avuto i "requisiti psicofisici richiesti" per guidare. Patente sospesa. Da allora Giuffrida inizia la sua battaglia giudiziaria che ora ha un nuovo epilogo. I ministeri della Difesa e dei Trasporti dovranno versare 100 mila euro come risarcimento danni a Danilo Giuffrida, oggi 35enne. La sentenza è della Corte d'appello civile di Palermo che ha riformato la decisione dei giudici di secondo grado di Catania che, il 10 aprile del 2011, avevano già confermato la sentenza del Tribunale del 2008, riducendo però da 100 a 20mila euro il risarcimento stabilito dalla Cassazione nel gennaio del 2015. C'è stato "un vero e proprio comportamento omofobico" oltre che "intollerabilmente reiterato", avevano decretato i giudici supremi, da parte della pubblica amministrazione nella vicenda della patente sospesa al giovane che si era dichiarato gay alla visita di leva. La stessa Cassazione, su ricorso dell'avvocato Giuseppe Lipera, aveva però annullato con rinvio la sentenza sull'entità del risarcimento sottolineando "la gravità del comportamento" dei due ministeri. E dunque, per i giudici di Palermo "una somma inferiore ai 100mila euro non sarebbe idonea al ristoro dei pregiudizi subiti".

All’epoca dei fatti il Tar di Catania sospese il provvedimento, sostenendo che l'omosessualità "non può considerarsi una malattia psichica" e restituì al giovane l'idoneità di guida. Nel dettaglio, la Suprema corte aveva ricordato che "il diritto al proprio orientamento sessuale, cristallizzato nelle sue tre componenti della condotta, dell'inclinazione e della comunicazione (coming out) è oggetto di specifica e indiscussa tutela da parte della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo fin dalla sentenza Dudgeon/Regno Unito del 1981″. Nel caso in questione, poi, "nonostante il malaccorto tentativo della Corte territoriale di edulcorare la gravità del fatto, riconducendola ad aspetti soltanto endo-amministrativi, non pare revocabile in dubbio che la parte lesa sia stata vittima di un vero e proprio (oltre che intollerabilmente reiterato) comportamento di omofobia". La "gravità dell'offesa", hanno rilevato i giudici di Cassazione, "appare predicabile con assoluta certezza".

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