L’omicidio di Chiara Poggi 18 anni fa: cos’è successo il 13 agosto 2007 nella villetta di Garlasco

Garlasco, 13 agosto 2007. Ore 13:50 e 24 secondi. Al centralino del 118 arriva una chiamata: "Serve un’ambulanza in via Pascoli". Dall’altra parte della linea c’è Alberto Stasi, 24 anni, studente di Economia alla Bocconi. La fidanzata, Chiara Poggi, 26 anni, giace morta nella cantina della sua villetta.
Nei successivi otto anni e mezzo, si celebreranno cinque processi. Un solo indagato, lo stesso sin dall’inizio: Alberto Stasi. Nessuna arma del delitto ritrovata. Perizie scientifiche contraddittorie, prove sequestrate in ritardo, tracce cancellate, oggetti spariti.
Chiara Poggi, una ragazza solare e una famiglia unita

Chiara Poggi era la figlia maggiore di Rita e Giuseppe, due persone stimate in paese: lei impiegata comunale, lui dipendente di un’azienda locale. Una famiglia semplice e unita, conosciuta per la gentilezza e la riservatezza. Chiara aveva studiato Economia a Pavia, si era laureata e da pochi mesi stava svolgendo uno stage nell’ufficio marketing di una società milanese, la “Computer Sharing”.
Era descritta da tutti come educata, dolce, precisa. Amava tenere la casa in ordine, cucinare e trascorrere tempo con gli amici. Aveva già programmato le vacanze con il fidanzato Alberto, con cui stava insieme da quattro anni. Quei giorni sarebbero stati, come confidato a un’amica, una “prova di convivenza”.
La relazione con Alberto Stasi

Alberto, due anni più giovane, era uno studente modello alla Bocconi. Viveva con i genitori in via Carducci, a meno di due chilometri da casa Poggi. Famiglia benestante, originaria della Brianza, proprietaria di un negozio di autoricambi. I due giovani conducevano una vita normale: uscite al pub, serate con amici, qualche viaggio.
Le famiglie si conoscevano bene. Chiara era di casa dagli Stasi, e il padre di Alberto, ricordandola, dirà:
"Era la madre che sognavo per i miei nipoti"
13 agosto 2007: il ritrovamento del corpo di Chiara Poggi

Ore 14:05 circa, 13 agosto 2007. Il portone della villetta di via Pascoli si apre davanti a due carabinieri: un brigadiere e un carabiniere scelto. Ad attenderli, fuori, c’è Alberto Stasi. Li ha preceduti in auto, indicando la strada, ma non varcherà la soglia. Resterà sul marciapiede, a distanza.
All’interno, tutto sembra sospeso: la televisione ancora accesa in soggiorno, la tazza di cereali sul tavolo con il latte ormai tiepido, le tapparelle abbassate a metà.
I primi carabinieri entrano per capire cosa sia successo, seguiti poco dopo da altri colleghi e dal pubblico ministero. Ognuno si muove cercando di fare il proprio lavoro, ma la concitazione è inevitabile: ci sono stanze da controllare, porte da aprire, fotografie da scattare, ogni dettaglio può essere importante. La casa diventa in pochi minuti un crocevia di passi, sguardi, appunti, ordini rapidi scambiati sottovoce.
Nella cantina, illuminata da una lampada accesa, Chiara è prona a terra, in pigiama rosa. I capelli scuri sono intrisi di sangue, il volto rivolto verso il muro. Intorno, piccole e grandi macchie che raccontano la violenza dell’aggressione. Il gatto di casa, spaventato, si muove da una stanza all’altra, talvolta avvicinandosi al corpo.
In quelle prime ore, ogni presenza umana diventa anche un rischio per le tracce più fragili: una macchia calpestata senza accorgersene, un oggetto spostato per guardare meglio, una porta toccata per aprirla.

Col passare delle ore, si iniziano a raccogliere prove: le scarpe di Alberto Stasi verranno sequestrate, il computer portato via per le analisi, i rilievi fotografici eseguiti. Ma alcuni elementi — come il tappetino del bagno o un album fotografico prelevato a casa di Alberto — finiranno al centro di discussioni e dubbi negli anni a venire.
In quella casa, il pomeriggio del 13 agosto, la verità era ancora lì.
L’ora della morte di Chiara Poggi e le perizie discordanti

Stabilire l’ora della morte sarà uno dei punti più controversi. Il medico legale, basandosi su dati incompleti (il corpo non viene pesato per mancanza di bilancia), colloca il decesso tra le 11 e le 11:30. La difesa di Stasi, invece, sostiene che Chiara sia morta tra le 9 e le 10, quando lui sarebbe stato al computer a lavorare alla tesi, supportato dalla telefonata quotidiana della madre.
Le abitudini di Chiara — colazione incompleta, tapparelle abbassate, casa non riordinata — portano i consulenti della famiglia Poggi a ritenere più plausibile una morte nelle prime ore del mattino.
La testimonianza della vicina dei Poggi e la bicicletta

Una vicina di casa, Franca Bermani, dichiara di aver visto alle 9:10 una bicicletta nera da donna appoggiata al muro della villetta di Chiara. Alle 10:20 non c’era più. La descrizione combacia con una bici della famiglia Stasi, che però sarà sequestrata soltanto nel 2014.
Fin dalle prime ore, l’attenzione degli investigatori resta puntata su Alberto Stasi. Non emergono altri sospettati credibili. Nonostante l’assenza di prove dirette, la ricostruzione dell’accusa si fonda su tracce come l’impronta di Stasi sul dispenser del sapone nel bagno, insieme al DNA di Chiara, interpretata come segno di lavaggio post-delitto.
La sentenza definitiva e la condanna di Alberto Stasi

Quello di Garlasco diventa il primo processo in Italia basato quasi esclusivamente su perizie scientifiche. Ma i risultati delle analisi — impronte, tracce ematiche, orari, compatibilità di suole — si rivelano spesso contraddittori. L’opinione pubblica si spacca: per alcuni Stasi è colpevole, per altri vittima di un’inchiesta mal condotta. Il 12 dicembre 2015, dopo otto anni e mezzo, la Cassazione conferma la condanna di Alberto Stasi a 16 anni di reclusione per l’omicidio di Chiara Poggi. Resta, però, l’amarezza per un’indagine segnata da errori clamorosi, omissioni e reperti spariti.