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Kabobo, il giudice: “La sua malattia aggravata da emarginazione sociale”

Nelle motivazioni della sentenza di condanna a venti anni, il giudice ricorda che il comportamento del ghanese fu influenzato dalle sofferenze dovute alle insoddisfazioni dei bisogni primari.
A cura di Antonio Palma
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Adam Mada Kabobo ha ucciso, lo scorso 11 maggio, tre persone a colpi di spranghe e piccone e da allora è rinchiuso in carcere. Il gip ha disposto la perizia che dovrà accertare la capacità di intendere e di volere dell’indagato.

"La condizione di emarginazione sociale e culturale" a cui era sottoposto Adam Kabobo, il ghanese che nel maggio 2013 uccise 3 passanti a colpi di piccone a Milano, "è stata valutata quale concausa della patologia mentale riscontrata, nel riconoscimento della seminfermità mentale ed è già stata quindi oggetto di adeguata considerazione ai fini della quantificazione della pena". È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza di condanna dello scorso 15 aprile, con cui il Gup di Milano Manuela Scudieri ha inflitto al giovane ghanese venti anni di carcere, più tre in una casa di cura e custodia, per triplice omicidio. Precisazioni che servono a rispondere alle richieste dei legali della difesa che durante il processo avevano aveva chiesto l’assoluzione di Kabobo per la totale incapacità di intendere e volere o lo sconto di pena per la semi-infermità mentale. "La decisione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza ha inciso sulla patologia di base, aggravando la sintomatologia delirante ed allucinatoria e la compromissione cognitiva”, si legge ancora negli atti. “Il comportamento omicida risulta funzionale alla soluzione di un’ampia varietà di problemi, i periti hanno riportato le motivazioni addotte dallo stesso imputato, il quale avrebbe agito per essere catturato, così ponendo fine alle sofferenze dovute alla insoddisfazione dei bisogni primari, per attirare l’attenzione di coloro che lo ignoravano costantemente, nonché per obbedire alle voci descritte come a tratti imperative a tratti consiglianti a tratti commentanti” scrive il Gup.

La malattia di Kabobo non ha agito al suo posto

"Non può dirsi che la malattia abbia agito al suo posto" sottolinea però il giudice richiamando alcuni passaggi della perizia psichiatrica disposta su Kabobo. "L'efferatezza dei gesti delittuosi commessi dall’imputato, e l’assenza di un movente immediatamente riconoscibile potrebbero indurre ad attribuire le condotte del Kabobo, secondo i canoni del comune sentire, alla follia del suo autore, come gesti incomprensibili che possono appartenere solo ad una mente totalmente offuscata dalla pazzia" scrive il giudice, spiegando però che non è così in quanto "la perizia dà conto della presenza della malattia mentale da cui è affetto l’imputato, concludendo tuttavia che il Kabobo non ha commesso gli omicidi in una condizione di totale assenza di coscienza".

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