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“Il farmaco che mi tiene in vita costa 2mila euro: vi spiego perché il sistema sanitario nazionale va difeso”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una donna affetta da una malattia neurodegenerativa che ci racconta la sua giornata alla ricerca di un farmaco da oltre 2000 euro che le consentirà di controllare la patologia: “Ricevo queste medicine senza pagare un euro, perché vivo in un Paese che si è dotato di un servizio sanitario nazionale. Un sistema con enormi lacune, che aumentano sempre più e che sembra destinato a peggiorare. Esattamente come me”.
A cura di Redazione
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Fanpage.it riceve e pubblica la lettera di una donna affetta da una malattia neurodegenerativa. Racconta la sua giornata alla ricerca di un farmaco che le consentirà di controllare la patologia: “È un prodotto di lusso: ogni siringa pre-riempita costa 2.035,31 euro. È il prezioso farmaco che dovrò iniettarmi a cadenza mensile e che, in teoria, mi proteggerà (un po’) dagli effetti devastanti della mia malattia. Non potrà curarla, né tantomeno sconfiggerla, ma potrà limitarne i danni. Ricevo queste medicine senza pagare un euro, perché vivo in un Paese che si è dotato di un servizio sanitario nazionale. Un sistema con enormi lacune, che aumentano sempre più e che sembra destinato a peggiorare. Esattamente come me”.

La lettera a Fanpage.it

La prima volta che andai alla farmacia ospedaliera penai un po' per trovarla. E quando la trovai, dovetti tornarmene a casa, visto che gli orari di apertura sono molto ristretti (10/12). Poi dovetti aspettare una giornata in cui potermi assentare per una mezz’ora dal lavoro, per recarmi a ritirare il farmaco, correre a metterlo in frigo a casa e rientrare al lavoro.

Comunque, una volta imparate le coordinate, la cosa è diventata quasi facile. L’ingresso è in un corridoio nascosto sotto un dislivello del terreno, all’interno di uno spazio dell’azienda sanitaria dove il pubblico solitamente non accede. Insomma, un posto un po’ nascosto e senza insegne. La medesima sensazione di recarmi in un posto di quelli da non mostrare, di cui vergognarsi, l’ho avuta quando sono andata al SERD ad accompagnare un’amica.

E insomma, si gira un po' per trovare l’edificio. Quando poi capisci (ovviamente chiedendo, non senza imbarazzo) dove è situato l’ingresso, ti chiedi se e dove devi suonare, visto che anche sui citofoni il tutto viene lasciato all’intuito o al fato. Alla fine un portone si apre e ti trovi in un posto che sembra una rimessa, con scatoloni e cose appoggiate ai lati.

Sali le scale – perché alternativa non c’è e dunque intuisci che devi andare in su – e alla fine arrivi davanti a una porta che magicamente si apre con una spinta e lascia intravedere un camice bianco. Ecco, sei arrivata, puoi varcare la soglia e consegnare la tua ricetta rossa.

Ti è stata lasciata dal tuo neurologo presso l’ambulatorio dove hai fatto il training per le iniezioni (giuro che hanno detto così). Sulla busta timbrata AST c’è scritto "consegnare alla paziente" e dentro c’è la chiave del paradiso: una ricetta rossa per un prodotto di lusso: ogni siringa pre-riempita costa 2.035,31 euro.

È il prezioso farmaco che dovrò iniettarmi a cadenza mensile e che, in teoria, mi proteggerà (un po') dagli effetti devastanti della mia malattia. Non potrà curarla, né tantomeno sconfiggerla, ma potrà limitarne i danni. In realtà, questo farmaco potrebbe causare effetti ancor più pericolosi della malattia, essendo "una bomba di veleno" (cito il dott) che abbassa drasticamente le difese immunitarie. Però, se mi va di culo, potrò rallentare l’ineluttabile processo di aggravamento delle mie condizioni psicofisiche.

Da quel che ho capito, i farmaci più costosi, non di largo consumo, vengono consegnati solo dalla farmacia ospedaliera e direttamente ai pazienti. Il che mi fa sentire un po’ speciale. Il medico farmacista non mi chiede nemmeno di identificarmi, gli basta la ricetta rossa e mi consegna la "roba buona", dopo averla nascosta in un sacchetto di carta che mi passa dicendo: "mi raccomando, subito in frigo!".

C’è fiducia, tra ospedale e paziente, la stessa che il neurologo dimostra lasciandomi le ricette. D’altronde, nessuno controlla che farò l’iniezione in modo corretto, nella data giusta… ovvio, la salute è mia e responsabile sono io, una volta che loro hanno prescritto e consegnato… Ormai sono stata in quel postaccio già quattro o cinque volte. Ogni volta mi è capitato di trovare fila su quelle scale.

Ogni volta ho avuto la "fortuna" (eh sì, posso dire di avere proprio un dono) di incontrare almeno una persona che conosco e che so avere una grave malattia. Ebbene, in nessuna di quelle volte mi è capitato di dover affrontare l’imbarazzante domanda "come mai qui?". Tra i pazienti, in quel posto lugubre, volano sguardi timidi e sorridenti, ci si saluta con rispetto e delicatezza, si comunica moltissimo evitando proprio di chiedere. Come se le malattie ci avessero insegnato il rispetto. Come se soltanto ora, che siamo passati da questa parte della società, avessimo compreso quanto è imbarazzante essere scrutati con commiserazione e curiosità. Non facciamo agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Chissà perché per imparare a vivere occorre sempre passare attraverso la sofferenza.

Con il pacchetto in mano mi dirigo verso la mia auto, lasciata appositamente all’ombra, per correre a mettere tutto in frigo. La sensazione di gratitudine è indescrivibile. Ricevo queste medicine senza pagare un euro, perché vivo in un Paese che si è dotato di un servizio sanitario nazionale. Un sistema con enormi lacune, che aumentano sempre più e che sembra destinato a peggiorare. Esattamente come me.

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