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Il video del ceo di Astronomer e della sua capa delle risorse che vengono inquadrati dalla kiss cam al concerto dei colplay lo abbiamo visto tutti. Qui non ripercorriamo quello che è successo, ma proviamo a fare una riflessione su come abbiamo reagito a quel momento sui social.
Appena il video è diventato virale è subito partita la caccia a chi fossero i due protagonisti. Con una velocità sorprendente, sono stati fatti nomi e cognomi. I due sono stati rintracciati, sono state rese note le loro identità così come altri particolari della loro vita. Il fatto che appunto lavorassero nella stessa azienda, lui come ceo e lei come capa delle risorse umane, il fatto che fossero sposati, che lui avesse anche dei figli.
E sui social è partita la valanga di meme. Tanti si sono fatti una risata, ci hanno scherzato sopra. Altri invece li hanno insultati con un fiume di cattiverie per quello che avevano fatto.
Noi di tutto questo dovremmo riflettere. Della leggerezza con cui trattiamo le vite degli altri sui social, come fossero un divertimento usa e getta, e non ci curiamo minimamente delle conseguenze, dell’impatto, che tutto questo ha sui protagonisti del nostro svago online. Quello che in queste ore per molte persone è stato un meme da ripostare, è la vita reale, quotidiana di molte persone. Ovviamente le reazioni sui social, come dicevamo, non si sono fermate al divertimento. In queste ore tra post e commenti è stata vomitata una quantità d’odio incommensurabile.
I due sono finiti al centro di una gogna mediatica mondiale, sono stati di mira da cyberbulli da ogni angolo del globo. Gente che ha sputato odio e giudizi su degli sconosciuti – persone viste per la prima volta in un post sui social – forse per avere una sensazione fugace di sollievo. Per avere quei cinque secondi in cui, ergendosi a giudici morali della vita degli altri alla fine ci si sente meglio nei confronti della propria.
È un piacere che dura pochi secondi. È momentaneo e va bene così. Perché tanto domani ci sarà il prossimo caso di cui cibarsi, per trovare quei cinque secondi in cui ci facciamo una risata e non pensiamo alle nostre vite, oppure ci pensiamo sentendoci meglio, dicendoci che noi siamo migliori di così.
Ma se per noi è solo qualche secondo, per delle persone è un pezzo di vita pesante come un macigno. Che non durerà qualche secondo, nemmeno qualche giorno. probabilmente definirà un prima e un dopo, nelle relazioni in famiglia, sul lavoro.
I linciaggi sui social non finiscono mai bene. Solo che non ce ne rendiamo conto. Perché appunto la prossima settimana avremo dimenticato i nomi di queste persone, non ci interesserà affatto sapere cosa sta succedendo nelle loro famiglie. Ci interroghiamo sulle shitstorm solo quando finiscono decisamente troppo male. Solo quando chi viene preso di mira si fa schiacciare dal peso dello scherno e dell’odio online. Solo quando magari ci scappa il morto. Ma anche lì, è sempre una riflessione momentanea, effimera. Che dura poco, che non mette davvero in discussione il nostro approccio al mondo social, la nostra consapevolezza sulla distinzione tra un contenuto e una persona, un meme a una vita in carne ed ossa. E al prossimo momento virale, il loop di derisioni, insulti e giudizi facilitoni, sarà di nuovo pronto per ricominciare.
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